(di Ila.Pro. – Il Fatto Quotidiano) – Incendiare i social con dichiarazioni al vetriolo non è reato, ma esercizio del libero diritto di critica. E pure rivelare segreti d’ufficio o fare pressioni e minacce contro pubblici funzionari purché obbediscano ai desiderata del politico di turno non è grave: rientra tra i suoi doveri di parlamentare. Senato, interno giorno: si discute di una valanga di pratiche istruite in Giunta per le autorizzazioni a procedere, compresa quella di Luigi Cesaro al secolo ‘a Purpett nei guai per corruzione elettorale. Ma presto il dibattito prende un’altra piega. Possibile, si chiedono i senatori di centrodestra, che dobbiamo stare qui a giustificarci con i magistrati per quel che diciamo o facciamo? Possibile sì, perché l’art. 68 della Costituzione ancora sancisce che per ottenere l’immunità devono sussistere alcuni requisiti: che ciò che si dice in piazza, in tv e pure su Fb sia la replica fedele o comunque qualcosa di molto simile a quello che si è già sostenuto nell’ambito dell’attività parlamentare. Insomma è necessario che ci sia un nesso funzionale, altrimenti lo scudo accordato agli eletti sarebbe un mero privilegio. E invece no. Sentite qui che piega prende il dibattito quando si avvicina il momento di discutere sulla querela rimediata da Maurizio Gasparri per aver strapazzato via social un magistrato, chiedendo al Csm di cacciarlo a pedate ed esponendolo alla forca del web. “L’art. 68 della Costituzione è una prerogativa irrinunciabile che viene riconosciuta ai singoli parlamentari per le opinioni espresse nell’esercizio delle loro funzioni, a prescindere dal contenuto, dalla veridicità e dalla gravità delle espressioni” dice Adriano Paroli di Forza Italia che vorrebbe che lo scudo fosse addirittura più esteso, manco fosse un elastico. E che importa se la 5S Agnese Gallicchio fa notare che “in modo assolutamente macroscopico e oggettivo, qui mancano completamente i requisiti per concedere l’insindacabilità per le opinioni espresse”.

Alla fine pure Gasparri, che della Giunta per le autorizzazioni è presidente, si salva alla grande (come Anna Maria Bernini, che in tv aveva dubitato della terzietà dei magistrati che hanno condannato Berlusconi). E anzi finiscono sulla graticola i magistrati accusati di aver scomodato il Senato. A quelli di Bologna – che vogliono processare Carlo Giovanardi per concorso nei reati di rivelazione e utilizzazione di segreti d’ufficio e violenza o minaccia a pubblico ufficiale nel tentativo di far inserire a tutti i costi una ditta tra quelle abilitate ai lavori della ricostruzione post terremoto – il centrodestra fa addirittura il contropelo. “Giovanardi ha ricevuto una segnalazione dal suo territorio da parte di un’azienda esclusa dalla white list. Cosa fa un parlamentare? Si attiva in tutte le sedi e con le modalità a lui possibili.” dice Simone Pillon della Lega, che giura: “Avrei fatto lo stesso”. Pazienza se poi si è scoperto che quella ditta era in odore di ’ndrangheta: Giovanardi “uno di noi”. Meglio, santo subito.