(Giuseppe Di Maio) – Siccome è fresco arrivato dall’America, è un concetto ancora crudo, passibile di stravolgimento. Il suo momento di svolta è stato il luglio dell’anno passato, quando il fermento successivo alla morte di George Floyd ha registrato una furia iconoclasta incapace di un vero assetto ideologico. E’ arrivata sino a noi la reazione antitrumpista e antirazzista, che s’è appoggiata allo spirito conservatore da tempo ribollente nel mondo democratico. Ma qual è questo spirito conservatore e di che cosa è fatto? Ebbene, se fosse stato relatore Strepsìade, il protagonista de “Le nuvole” di Aristofane, non sarebbe stato meno eloquente descrivendo, in una Atene all’età di Pericle ricolma d’improvviso benessere, la spocchia della moglie cagona e l’ottusità del figlio. Invece oggi si chiama “Cancel culture” e qualche decennio fa era confinato tra i radical chic e il Greenwich Village.

L’amministrazione Trump e l’oscurantismo cieco della provincia americana sono stati cacciati a fatica dai palazzi del governo, ma il maggior nemico del razzismo bieco e disperato è stato un altro razzismo che il popolo trumpista avversava da tempo. La cultura della cancellazione appunto, cioè la gelosia della propria cerchia ristretta che ha per guardiane alcune idee perbeniste tratte dalla momentanea egemonia culturale, e che impediscono qualunque nuovo e libero pensiero. E’ dunque la cultura dei conservatori, che non metterebbero mai a repentaglio le proprie convinzioni, fatte di formale adesione ad alcune regole che in America sono tratte dalla dottrina femminista, nera e lgbt.

E chi pensa diversamente, fuori! E’ cacciato dalla cerchia con la facilità con cui si caccia un indesiderato da un social. Eh sì, me lo ricordo. In un primo momento anch’io non riuscivo a capire come poteva scatenarsi questo razzismo profondo. Poi capii. E’ una difesa di classe, e non ha nulla a che vedere con il razzismo della reazione, che è invece paura del concreto pericolo per le sorti del proprio benessere economico e civile. E’ piuttosto una diffidenza, un’avversione di ceto, e per guardiano ha il conformismo, che è in ogni sua forma accettazione acritica delle idee dominanti del gruppo sociale di appartenenza.

Anche se gli esempi che seguono appartengono più all’ignoranza reazionaria che all’ottusità conservatrice – dal rogo della biblioteca di Alessandria da parte dei Cristiani, ai Bücherverbrennungen, ai roghi nazisti delle opere messe all’indice dal regime, al romanzo di Ray Bradbury, Fahrenheit 451 -, non fanno meno danni delle cancellazioni di cui stiamo trattando. E chi non si adegua al dettato egemone deve essere espulso, bruciato. E’ un’esclusione pretestuosa, collettiva, come spesso avviene nelle questioni di mobbing, e contro la quale non c’è difesa legale. Al contrario la Cancel culture di femmine, neri e gender, ricorre ai tribunali con frequenza irritante. E la semplificazione, l’abitudine a trasformare questioni politiche complesse in certezze morali accecanti, sono l’esca preferita per giudici e pubblica opinione. Di qui la sentenza, l’ostracismo con cui si punisce chi ancora tenta di avere un pensiero interclassista.

In Italia l’ignoranza reazionaria la stiamo subendo nelle piazze sobillate dai negatori del virus, l’ottusità conservatrice nei talk show che negano i negatori. Anche da noi i perbenisti espellono dalle redazioni, dalle università, dalle cerchie amicali, politiche e religiose, come dice Noam Chomsky nella sua lettera firmata con 153 intellettuali a sostegno della libertà di pensiero. Ma da noi di preferenza per un nonnulla ti chiamano fascista: ti espellono dalla sinistra, o meglio dal PD, che è quanto di meglio abbia selezionato in Italia la cultura della gelosia di classe.