(di Antonio Padellaro – Il Fatto Quotidiano) – Nell’autobiografia Il Portavoce, Rocco Casalino racconta che, nel 2013, quando i grillini arrivarono in Parlamento pensavano di essere accolti con una certa simpatia. “Eravamo tutti ragazzi nuovi, giovani puliti, uomini e donne, esattamente quello che invocavano i giornali. Ci tagliavamo pure lo stipendio per oltre la metà. Allora perché invece degli applausi prendevamo sputi? Da subito era partita una vera e propria campagna di distruzione: incompetenti, incapaci, ridicoli”. Ecco, il primo consiglio, non richiesto, che darei a Giuseppe Conte nel momento in cui pensa di farsi carico del M5S, è quello di comprendere le ragioni profonde di questa costante antipatia. Di non accontentarsi della spiegazione più immediata, certamente vera, ma che coglie solo una parte del problema, a cominciare dall’ostilità dei giornalisti. Dice Casalino: “Nel Movimento abbiamo capito che i giornali facevano parte del sistema di potere, avevano padroni con interessi particolari”.

Figuriamoci se noi del Fatto possiamo essere insensibili all’argomento, visto che siamo nati impegnandoci con i lettori a scrivere “tutto ciò che gli altri giornali non pubblicano”, comprese le notizie non manipolate sui 5 Stelle.

Un’avversione mediatica preconcetta che l’ex premier, in questi anni, ha subito sulla pelle compensata, e forse anche provocata, dagli alti indici di popolarità riscossi dal suo operato. E però se Conte intendesse scrivere una pagina nuova del Movimento non sbaglierebbe a fare punto e a capo con vittimismi e manie complottiste cominciando a chiedersi sinceramente: dove abbiamo sbagliato? A interrogarsi, per esempio, se al di là del “sistema di potere”, un certo malinteso complesso di superiorità non abbia fatto danni. Soprattutto nel mondo dell’informazione dove non è detto che tutti quelli che esprimono critiche fondate siano per forza “servi dei padroni”. L’immagine rassicurante di cui gode Conte – rafforzata dall’uscita da Palazzo Chigi senza alcuna polemica e dal passaggio di consegne a Mario Draghi in un clima di collaborazione tra uomini di Stato – potrebbe consentirgli di mettere mano a due “riforme” di cui forse chi scrive non è il solo ad avvertire l’urgenza. Primo: una semplificazione della burocrazia grillina, quella che ha trasformato la cosiddetta democrazia dal basso in una giungla di leggi, regole, codicilli e ricevute. In un turbinio di garanti, segreterie collegiali e piattaforme Rousseau che accreditano la fama (respingente) di una setta governata da oscure liturgie. Secondo: se deciderà di prendere le chiavi del M5S proclami una bella amnistia per il plotone di espulsi colpevoli di non avere votato il governo Draghi. Li riammetta. Ristabilire la dialettica delle opinioni (diverse) non potrà che fare bene al Movimento e alla democrazia tutta.