(di Pino Corrias – Il Fatto Quotidiano) – A nome e per conto del Sistema (che sta in gran forma) i banchieri si preparano a incamerare e dividere il bottino prossimo venturo dei 209 miliardi di euro. Giocheranno al centro del campo. Mentre noi che guardiamo dagli spalti, abbiamo tutto il tempo di interrogarci se la politica abbia vinto oppure perso la guerra lampo accesa dai due presidenti, Sergio Mattarella e Mario Draghi, ora che le loro bandiere sventolano alle folate gelide del Burian.

Per accerchiare e dissolvere il governo Conte, l’intruso, non è stato necessario invaderlo. È bastato il pacco bomba spedito da Rignano. Diradato il fumo non sono comparse all’orizzonte le urne, ma tre buone ragioni per escluderle: l’emergenza sanitaria che ci assedia, l’abisso economico che ci attende, il terremoto sociale che ci minaccia. “Avverto pertanto il dovere – ha scandito nel silenzio generale Mattarella, lo scorso 2 febbraio – di rivolgere un appello a tutte le forze politiche affinché conferiscano la fiducia a un governo di alto profilo che non debba indentificarsi con alcuna formula politica”. E la formula non era un numero, ma il nome proprio del banchiere.

Il nuovo corso, a dispetto delle lentezze di ogni consueta burocrazia in tempo di pace, è stato varato alla velocità della genesi divina, in sei giorni di buio. E solo il settimo la luce ha illuminato l’elenco dei ministri, scelti in privato, e dettato in pubblico: prendere o lasciare.

E dunque eccoci alla nostra questione. Ha davvero perso la politica perché è stata appena commissariata dalle tecnocrazie che marciano al seguito degli interessi economici? Oppure la politica ha trionfato, con tutti i suoi arzigogoli, compreso quello nuovissimo di una formula capace di “non identificarsi in alcuna formula”? Gli appassionati di giochi di prestigio stanno applaudendo. Ma chi crede nella politica del prestigio in gioco, può fare altrettanto?
Per rimanere a bordo campo, tutti i partiti (o quasi) hanno cambiato idea e posto in gradinata. I democratici mai con Salvini si sono seduti accanto a Salvini. I grillini mai con Berlusconi gli hanno portato il tè caldo, i biscotti e l’aspirina. Berlusconi, mai coi comunisti, mai con i grillini, ha ringraziato, offrendo in cambio quel che aveva nel frigo, Brunetta, Gelmini e Carfagna. Salvini, che aveva appena infilato la felpa “Elezioni, elezioni!” se l’è sfilata mansueto, ha smesso di odiare l’Europa, la Fornero e forse persino la patrimoniale. In quanto all’affidabile Matteo Renzi, tutti hanno dovuto sotterrarne un pezzetto, sperando funzioni contro gli spiriti maligni e i traffici di Verdini. La sola Giorgia Meloni si è allontanata iraconda, candidandosi a una irrilevanza onorevole oppure ottusa, a seconda dei vantaggi che incasserà in futuro, maneggiando le sue parole d’ordine pescate dal passato.

Da bordo campo i partiti continueranno il solo gioco autorizzato, quello dei tweet, dei social, dei talk in tv, da presidiare dall’alba al notte fonda, isole comprese, per litigarsi gli alti ideali consentiti dallo Spettacolo, ma senza sovrapporsi troppo nella stessa diretta. Se per esempio ci sarà un europeista, tipo Carlo Calenda, l’altro dovrà dirsi sovranista alla maniera di Cuccarini e Bagnai. I democratici dovranno sempre pretendere un congresso, oppure una scissione, ma mai contemporaneamente. Le destre parleranno contro gli immigrati. I cattolici a favore. I moderati un po’ a favore e un po’ contro. In mancanze d’altre contese, si ricorrerà a quella intramontabile delle quote rosa.

La politica, nata per sbrogliare i gomitoli dei problemi sociali, è diventata il gioco di passarseli al volo. La vacanza continuerà whatever it takes. Fino a quando con i vaccini delle competenti multinazionali verrà raggiunta l’immunità di gregge. E il gregge, finalmente, l’immunità alla politica.