(di Gianluca Roselli – Il Fatto Quotidiano) – Finora, in questa pazza crisi di governo, il voto anticipato è stato utilizzato più come spauracchio che altro. Un modo per terrorizzare le truppe, mettere pressione e tentare di riannodare i fili di una maggioranza che non c’è più. Del resto la forza politica che ha meno interesse ad andare alle urne è proprio quella che ha provocato la crisi, Italia Viva, che verrebbe spazzata via. Ora, però, che la crisi si è attorcigliata sempre più, con il governo ancora lontano da numeri certi in Senato, ecco che le urne tornano a fare capolino come una reale possibilità. Ieri l’hanno ribadito sia Silvio Berlusconi, spegnendo definitivamente le sirene di una maggioranza “Ursula” che arrivano da Palazzo Chigi, sia Goffredo Bettini. “Le elezioni possono essere considerate una sciagura, ma non un colpo di Stato”, ha sottolineato quest’ultimo, ovvero colui che si sta dando più da fare per evitarle. Musica per le orecchie di Nicola Zingaretti, che da settimane ai suoi confida di non essere disposto “ad arrampicarsi sugli specchi”.

Il Pd, sul tema, è diviso, con il segretario e l’area “partitica” più pronti all’ipotesi voto, mentre l’area parlamentare, a cominciare dai capigruppo Graziano Delrio e Andrea Marcucci, disposta a tentare il tutto per tutto per scongiurarlo. Un po’ la stessa linea dei 5 Stelle. “Dobbiamo fare di tutto per aiutare Conte ad andare avanti. Altrimenti c’è il voto”, ha ribadito ancora Luigi Di Maio. In maggioranza poi c’è Leu: erano i più contrari al voto, ma ora non lo escludono. “Per noi le urne sono una sciagura perché rischiamo di consegnare il Paese alle destre, ma non si può ingoiare tutto e fare pastrocchi. Quando le crisi si avvitano, si sta su un piano inclinato e alle urne ci si arriva per inerzia”, osserva Loredana De Petris.

Poi c’è il centrodestra. Che questa settimana è salito al Quirinale per chiedere le elezioni al presidente Mattarella. Del resto, se si andasse al voto, lo si farebbe con l’attuale legge elettorale, il Rosatellum, con cui, secondo le proiezioni basate sui sondaggi, la coalizione avrebbe una solida maggioranza nei due rami del Parlamento. Tra i tre, Giorgia Meloni è sempre stata la più ferma sulle elezioni, con Lega e Forza Italia assai ambigue e frastagliate (Giorgetti e Carfagna in primis). Ieri però è tornato a parlarne Silvio Berlusconi. “Avevamo proposto un governo di unità nazionale, idea esclusa da Pd e M5S. È chiaro che questo rifiuto avvicina il ricorso alle elezioni”, ha detto l’ex Cav. Aggiungendo che “una paralisi di due mesi farebbe meno danni di una paralisi di due anni di non governo”. Qualcuno spiega la svolta pro urne dell’anziano leader con l’accordo che sarebbe stato raggiunto con Salvini per 30 collegi blindati alla Camera e 10 al Senato per FI. Poco rispetto ai 145 attuali, ma “accettabili” nel nuovo Parlamento decurtato. “Governo con dentro tutti o voto”, dice quindi Berlusconi. Per lui quasi una soluzione win-win.