(Giuseppe Di Maio) – Quando Fanfani e Almirante, durante il referendum del ‘74, cercavano la lancetta dell’asse politico italiano, confidavano che il nostro paese fosse ineluttabilmente di destra. E in effetti lo era, anche se furono sconfitti nella battaglia referendaria. Oggi, abbiamo bisogno di riposizionare quella lancetta e, senza aggiornare il linguaggio, andiamo a rivisitare con poca analisi la composizione sociale e l’indirizzo politico della penisola. Gli italiani sono in maggioranza reazionari. Desiderano cioè ottenere attraverso la politica dei vantaggi sui loro competitors sociali. L’odio per l’accoglienza agli immigrati nasce da qui. Una larga minoranza è invece conservatrice. E’ cioè orgogliosa e gelosa del suo stato attuale o di quello che prevede al più presto di conseguire. Essa accetta le regole esistenti che la tutelano, ed è capace di intenerirsi per le sorti dei miseri, ma non cambierebbe una virgola dell’ordine sociale che ha permesso il suo vantaggio.

In tutte le società lo scontro politico genera e riproduce lo scontro sociale. Evolve dalla lotta di classe che attraversa le generazioni e che impone ad ognuna di esse degli stèps, dei traguardi da conseguire. La somma del pensiero unico, delle fantasie, dei miti a cui è soggetto ogni essere umano, non gli fa desiderare all’istante i più alti livelli della considerazione sociale, della disponibilità finanziaria, oppure la proprietà di abitazioni signorili e stili di vita dispendiosi. Ognuno deve concepire per sé una gradualità che passa inevitabilmente per il possesso di denaro, uno strumento di cui si percepisce l’immediato utilizzo, i chiari benefici, l’unica invenzione umana indiscutibilmente democratica.

Poi, il pensiero unico, le mitologie della nostra società, seguitano a far sognare una vita di successo, un cursus honorum che riservi con saggia moderazione alcune mete per le generazioni successive, giacché pure l’immaginazione più sfrenata intuisce l’irrealizzabilità dell’intera fantasia. Malauguratamente, proprio la democraticità del denaro è alla base dell’inganno sociale, del trucco. Si dice che la ricchezza possa appartenere a chiunque. Ma il denaro, che è solo teoricamente accessibile a tutti, ha un accesso reale regolato dalla politica secondo un ferreo gioco di inclusioni e di esclusioni. Milioni (nel mondo miliardi) di individui, cittadini con differenti gradi di opportunità, sono fermi ai nastri di partenza, senza aver percorso un solo passo delle proprie illusioni, e senza che alle generazioni future sia consentito di rimediare. Il sogno è infranto.

In questa condizione ci sono cittadini che a naso avrebbero perso ogni fiducia nella società del Capitale, ma (salvo i tecnici della sociologia, dell’economia e della politica) le evidenti limitazioni intellettuali non consentono loro di svelare l’arcano sociale, non permettono loro di leggere per intero la contraddizione. E, quand’anche uno di essi con fatica e destino riesca a decifrare l’inganno, troppo spesso gli è proibito di passare la sua consapevolezza alla generazione successiva, assillata com’è dalla superbia della giovinezza, dall’impellenza di vivere, dagli affetti concorrenti, e dall’infestante ordine sociale: ordine normativo, dunque politico.

La lotta di classe porta ad un inevitabile crocicchio in cui l’animo sociale si divide. L’io-politico assume un temperamento moderato o eversivo. Sicché, manco a dirlo, i moderati comunque la pensino sono conservatori; mentre gli eversivi, sono reazionari. Il radicalismo, specie quello rivoluzionario, se riesce ad esibire una condizione sociale, è ancora come una volta quella di “figli degeneri della borghesia”. Tuttavia, molto più più frequentemente, è una condizione psicologica e morale di un cittadino disadattato. Non che esserlo sia un male in sé – anzi, essere disadattati in questa o in altre società è una reazione naturale, a volte persino un merito. Ma il valore politico di questi cittadini dipende solo dalla loro condizione. Al mutare della quale, spariscono anche le convinzioni radicali. La malattia infantile di cui parlava Lenin è appunto quella che si lega a questa condizione transitoria…