(di Nanni Delbecchi – Il Fatto Quotidiano) – C’è voluto un videomessaggio di Sigfrido Ranucci per chiarire che l’allarme social in favore di Report, dato a rischio chiusura causa bassi ascolti, era una fake news. Dunque l’immunità assoluta al fake non esiste, se riesce a colpire perfino il programma-vaccino per eccellenza. Detto questo, le fake news sono come il bluff nel poker: per renderle contagiose bisogna saperle costruire, evocare quel che non esiste.

Come diceva quello, “se non è vero, è verosimile”. È verosimile, anzi, è vero che Report è scomodo, non ha riguardi per nessuno, colleziona denunce; è verosimile che ai piani alti molti vorrebbero sbarazzarsene per la semplice ragione che è un programma di inchiesta esemplare.Immutabile nella scelta dei temi e nella tigna investigativa dai tempi di Milena Gabanelli, brilla più forte da quando siamo entrati nell’era del talk show. È fattuale.

Report – i fatti e nient’altro, a ogni costo – è l’esatto contrario del talk alla panna montata. Nei talk si fanno le stesse domande agli stessi ospiti sette giorni alla settimana; gli inviati di Report devono braccare i loro muti interlocutori mentre si arrampicano sugli specchi. Si tace più in venti minuti di Report di quanto si insinua e si pontifica in 24 ore di talk. Però in quei venti minuti si impara molto di più, per esempio, sulla gestione della pandemia in Italia. Si impara che sotto ferragosto in Sardegna le discoteche rimasero aperte sulla base di un fantomatico parere del Comitato tecnico scientifico, alla prova dei fatti rivelatosi l’amichevole email di un unico componente.

Ma che, davéro davéro? Questo consesso che calcola col teodolite chi può entrare a scuola e in quanti possiamo sedere al bar si è lasciato sfuggire i privé della Costa Smeralda? Una svista? Una manipolazione? Un parametro sull’incidenza di vip in Costa Smeralda? E questo Cts di sapore orwelliano, di preciso cos’è?

Ecco un’altra inchiesta che ci piacerebbe vedere, un lunedì sera su Rai3.