(di Antonio Padellaro – Il Fatto Quotidiano) – “Mi scappò detto che la politica non doveva più entrare nella tv. Da allora iniziò la guerra perché quella mia frase fu letta come una questione personale”. Fabio Fazio, intervistato dal “Fatto Quotidiano”

A un certo punto c’è un giovane disabile ammesso ad assistere alle riprese della scalcinata fiction, “Gli occhi del cuore 2”. Si sparge la voce che sia il figlio di un senatore, panico nella troupe finché qualcuno osa chiedergli con voce tremante: “Senatore di che partito?”. E lui: “Dei Verdi”. Allora tutti scoppiano in un “mavvatteneaffanculo” liberatorio, stante che nel borsino politico Rai i Verdi non hanno mai contato nulla. In “Boris” – strepitosa serie televisiva prodotta dieci anni fa dalla Fox, e riproposta su Netflix a grande richiesta – non si cita mai la Rai, ma c’è la Rai calzata e vestita. Dove è impossibile che la politica “non entri più” perché la Rai è la politica, intrisa di politica come un babà nel rum, attaccata avidamente alla politica come un vitello alle mammelle di una vacca. Anzi, se non ci fosse la politica la Rai non esisterebbe proprio, altro che storie. “Boris” squaderna al completo il bestiario di viale Mazzini e dintorni. Da Corinna, la protagonista femminile, chiamata la “cagna maledetta”, priva di qualsivoglia talento che ha ottenuto la parte grazie al suo amante, il Dottor Cane, potente capo della rete televisiva da tutti temuto. Fino al povero Lopez, dirigente della rete costretto a camminare in bilico, sospeso tra ascolti declinanti e “raus” dei partiti. Eppure “Boris” appartiene a un’epoca in cui, per esempio, la satira della politica conservava un suo spazio sacro. Tempi nei quali Corrado Guzzanti era il Pieferdinando Casini, abbigliato come l’autista di Berlusconi. Oppure il Francesco Rutelli-Alberto Sordi che rivolto all’onnipotente Cavaliere piagnucolava: “Ricordati degli amici, di chi t’ha voluto bene”. C’era Sabina Guzzanti che perculava Massimo D’Alema e il suo “dicciamo così”, la “Tv delle ragazze” dove Neri Marcoré massacrava Maurizio Gasparri, e c’erano le mille maschere grottesche pescate direttamente nei palazzi romani. Oggi per trovare Corrado Guzzanti devi andare su La7 e Maurizio Crozza sul Nove. Mentre l’ultima memorabile licenza concessa alla satira in Rai risale al 2014: Virginia Raffaele nell’allora ministra Maria Elena Boschi intervistata in una cascata di bolle di sapone accompagnata dalle note sdolcinate di “Un uomo, una donna” (il “Ballarò” di Massimo Giannini, infatti durato poco). Una favola poi più nulla. Nella Rai odierna la parola satira è da anni una parolaccia impronunciabile, mentre le Corinne e i Lopez continuano a imperversare. Perciò quando, a proposito di politica e servizio pubblico televisivo (!), leggiamo Fabio Fazio piangere calde lacrime su chi tocca i fili muore, saremmo tentati di dirgli: embé?