(di Daniela Ranieri – Il Fatto Quotidiano) – Il senatore di Scandicci e degli Emirati Arabi si è esibito ieri in Senato nel suo consueto show, lo spettacolo d’arte varia di uno innamorato di sé, poche ore dopo aver comunicato al mondo l’epigrafe del libro in uscita: una citazione di Machiavelli (“Ognuno vede quel che tu pari; pochi sentono quel che tu sei”), casualmente, ha scoperto qualcuno, la prima che viene fuori digitando su Google le parole “Machiavelli citazioni”.

Ebbene, quel che pare è risaputo: il drappello che guida e a cui ha dato il nome chiaramente antifrastico di “Italia viva” ha una lista di richieste, un foglietto che periodicamente viene tirato fuori e fatto balenare sotto gli occhi di Conte, come la lama dei coltelli nel buio dei bassifondi della Londra di Dickens. L’occasione è casuale, marginale, può esser questo come quello, la riforma della prescrizione come le misure economiche contro gli effetti della pandemia.

Su cosa c’è scritto nell’incunabolo, che è al contempo il manifesto e il testo sacro del renzismo, da quasi un anno si esercitano analisti, esegeti, indovini, aruspici e sensitivi. La versione ufficiale dice “i cantieri, la giustizia”. C’è chi sostiene sia una lista di piccolo cabotaggio: il sottosegretariato alla Presidenza, la delega ai Servizi, la presidenza di una commissione… ovviamente da affidare a qualcuno dei loro (a caso, tanto sono tutti uguali, non possiedono identità propria ma solo quella assorbita per osmosi dal leader della setta).

È la potenza in termini numerici di Italia in Coma Farmacologico in Senato, a far sì che ogni volta che c’è un problema nel governo (di cui essa fa parte) il suo leader ci si infili e minacci di allargare la falla, disposto ad appoggiare chicchessia pur di fare pressione psicologica.

L’uomo che parla coi morti di Bergamo e Brescia (che gli chiedono da tempo di intercedere con Conte per riaprire tutto, così che i loro congiunti possano raggiungerli presto) è un carattere distruttivo, “vede dappertutto una via” (W. Benjamin). Ovvio che non crede alla “scarcerazione dei boss ordinata da Bonafede”, né alla combutta del ministro coi mafiosi per silurare Di Matteo al vertice del Dap, e non gli importa della doppia mozione auto-negantesi “Bonafede scarcera troppo-Bonafede scarcera troppo poco”; ma aveva un’occasione doppia, troppo ghiotta per un bulimico come lui: maramaldeggiare godendo della disgrazia altrui (“Essere additati ingiustamente e costringere le proprie famiglie a subire l’onta di un massacro mediatico fa male…”) e fiatare sul collo di Conte, a cui ha fatto ri-pervenire il famoso foglio mediante apposita Boschi.

“Vogliamo contare di più”, dicono gli esponenti di Italia Agonizzante a chi gli chiede che vogliano: e qui entriamo nella filosofia, o meglio nella metafisica, giacché la politica consente una sfasatura tra quel “contare”, cioè avere potere, e la nullità persino ontologica nel mondo reale.

Ora il leader di Italia Esanime ha in uscita l’ennesimo libercolo che conterrà il mix che (non) l’ha reso grande: frainteso garantismo, cantierismo, frecciatine, lotta ai “populisti”, aneddoti personali su Obama, citazioni prese da Google. Negli anni l’abbiamo studiato, ne abbiamo rigirato la psicologia come un prisma. Ieri, l’ennesima conferma della diagnosi: egli è un tossicodipendente dell’estemporaneo, uno schiavo del contingente. È mosso dall’etica dell’attimo. Non valuta le conseguenze delle sue azioni, perché non ha il senso del futuro come costruzione laboriosa, ma solo come luogo ideale, come un eCloud del regno a venire in cui comandano lui e quelli come lui, i Ceo del silicio, i delocalizzatori, i ricattatori dei lavoratori, gli sbloccatori a ogni costo.

Ma forse aveva ragione De Mita: “Renzi non ha pensiero”.