Il fascismo nasce a sinistra. Viva l’antifascismo, abbasso il monologo, viva Antonio Scurati, il revisionista che ci piace! 

(GIULIANO FERRARA – ilfoglio.it) – Non lo hanno capito, ma nella meravigliosa cornice del Palazzo Reale di Napoli lo scrittore Toni Scurati, che si è appena appena concesso il narcisismo della vittima illustre, comprensibile vista la puttanata che gli hanno fatta e si sono fatta, e lo ha declamato così, arronzando per fare titolo e ulteriori copie (“sono un bersaglio”), ha in realtà spiegato le origini del fascismo agli ignari moltitudinari di Repubblica senza idee. L’ho sentito con le mie orecchie in fibra ben connessa. Ha giustamente avvertito: non aspettatevi le camicie nere della rivoluzione fascista o la marcia su Roma, non esiste il fascismo eterno di Umberto Eco (scandaloso). Il residuo di populismo, con l’aggiunta posticcia del sovranismo temperato von der Leyen (questo lo aggiunge chi scrive), nasce dalle fiaccolate sotto la procura di Milano, dall’assassinio dei partiti e del Parlamento con l’accusa di corruzione generale, dalle intemerate di un poliziotto-magistrato e dei suoi mandanti, dalla “casta” di Stella Rizzo e Gabriele D’Annunzio (citazione maligna di Toni), dalle frasi di Mussolini (cit. di Toni) così simili alle grida di Beppe Grillo contro gli eletti del popolo e la classe dirigente da arrestare in blocco. Meloni arriva dopo, e con regolari elezioni. La Rai ha sempre saputo censurare con buongusto, è il buongusto che manca alla sovranità alimentare, niente vol-au-vent, zero Chateaubriand e vino della casa. Non è che censurano, è che non sanno censurare. Bastava lasciar perdere.

Però scherzo e non scherzo. Non si sa da dove gli sia venuta a Toni tanta saggezza per dire quello che diciamo da trent’anni quasi qui. Non si è spinto tanto in là da essere revisionista, ma ha sfiorato la cosa di fronte a orecchie istupidite e attonite. Il fascismo è un fenomeno di sinistra, nasce a sinistra, si nutre è vero della passione della paura e forgia il mito destrorso del ducismo e della nazione con la maiuscolissima, dell’autoritarismo e della violenza, ma nasce quando la sinistra divenne un elemento della dissoluzione della società italiana (Gramsci). Una democrazia è debole senza i partiti politici, con i grillini gli ellini le Strada che non sono la via maestra. Io sono il popolo, il popolo sono io, e gli iscritti e i funzionari e gli amministratori e gli eletti si fottano nel brago della loro corruzione: una vera scemenza ripetuta troppo e da troppi a sinistra in origine, a destra pure. Una scemenza togata, direi. Una belluria giornalistica in cottura lenta e insistita. O mediatica, come si dice ora. Comunque scotta, collosa. Di tutto questo nel monologo nulla c’è. Peccato. Era veramente molto brutto. Molto infedele storicamente. Meritava il palcoscenico della Rai, a pieno titolo. 

Meloni è donna di partito, e si vede. Ha fatto la gavetta. Non le davo un soldo, in linea di fatto e di principio. Sono pronto per un’eventuale insurrezione da tastiera, se smentito. Non posso sostenerla né appoggiarla, per ragioni come dire di famiglia. Ma non posso non essere contento del fatto che la Ducia liberale ed europeista, pro Israele e pro Ucraina, stia compiendo un percorso di integrazione della destra nella realtà repubblicana, se non ancora nei sogni e negli incubi dei republicones. Noi comunisti togliattiani e un po’ degasperiani e un po’ giolittiani, confusi come siamo, apprezziamo l’integrazione politico-costituzionale degli esclusi storici, ci sembra una buona cosa e l’alternativa non si costruisce con la fanfara dell’antifascismo di maniera, quello del monologo, ma ripristinando la serietà e il peso della vera politica.

Poi, comunque, censurare Serena Bortone poteva venire in mente solo a meloniani zelanti e sciocchi. Viva l’antifascismo, abbasso il monologo, viva Toni.