Lo storytelling del potere meloniano si sforza di accreditare una narrazione che ha tutti i crismi di una riscrittura della realtà

(di Pier Luigi Celli – repubblica.it) – Corrono tempi strani, in cui lo storytelling del potere meloniano si sforza di accreditare una narrazione che ha tutti i crismi di una riscrittura della realtà. Come se l’urgenza di garantirsi un primato di continuità nel futuro guardi di sottecchi a ritroso, con nostalgie mal sopite, alla possibilità di riabilitare finalmente un pezzo di storia personale, passato ahimè senza gloria. Sempre più evidente è il tentativo di affermare un destino, vissuto ormai come inevitabile nei modi e nelle forme, ispirato alla voglia di cambiare la rappresentazione dei fatti del Paese (pardon, della Nazione) a misura delle proprie smisurate urgenze di rivalsa. Un universo di verità contro-fattuali orientato a costruire un nuova tessitura di pensiero. Uno schema e una trama semplificata e ossessiva di racconto che rimanda ad almeno tre caratterizzazioni identitarie, suggestive nella loro capacità di stravolgere punti di vista a lungo accreditati.
La prima è la rivalsa su quel mondo mal digerito che alla destra postmissina sembrava ruotare intorno, e avvalersi impropriamente, di ciò che passava sotto la formula magica di “egemonia culturale”. Appurato che, qualunque cosa volesse dire la suggestione del termine, la costruzione di una egemonia alternativa si presentava complessa, scivolosa e anche, per certi aspetti, foriera di più di una delusione, si è trovato il modo di supplire alla sostanza virando su una più redditizia formula operativa, ricca di ritorni quasi immediati: l’egemonia nella occupazione dei posti, culturali o meno.
Quelli disponibili, quelli liberati d’autorità, quelli dispersi anche ai livelli bassi delle organizzazioni di impresa e delle istituzioni, quelli creati generosamente ad hoc. Nella convinzione che occupare sia più semplice che meritare, stante che la semplificazione riduce i tempi e consente poi di imbrigliare le attività correlate alle posizioni attribuite. Avviando, oltretutto, un processo secondario: la propensione quasi inevitabile delle persone ad affiliarsi per “occuparsi”. Garantendosi così un controllo sull’esercizio dei meccanismi affidati e, insieme, sulla fedeltà dei beneficiati.
La seconda caratterizzazione ha a che fare con la decadenza della figura dell’avversario. A dispetto del fatto che, esauritesi le grandi spinte ideologiche, uno potesse aspettarsi esattamente il contrario, ha ripreso quota e considerazione la figura del “nemico”: qualcuno da combattere a livello personale, costi quel che costi.
Con l’avversario si discute, si negozia, ci si confronta su opinioni e scelte anche divergenti, ci si rispetta. Il nemico no, è per definizione uno da abbattere. I latini, che sapevano distinguere, chiamavano inimicus l’avversario con cui ci si confrontava; per loro il nemico era l’hostis, nei confronti del quale non c’era soluzione possibile se non l’annientamento. Non a caso poi i latini affermavano saggiamente che salus ex inimicis, nel senso che avere un avversario aiutava a rendersi conto della tenuta e della correttezza o meno delle proprie ragioni.
La terza caratterizzazione merita di essere narrata attraverso l’uso strumentale, e sostanzialmente falsificato, di un evento di poco tempo fa poi celebrato in comizi e pressioni giornalistiche. Ci si riferisce al famoso articolo del Financial Times, sbandierato come la legittimazione del nuovo ruolo dell’Italia in Europa, e di conseguenza della grandezza dei suoi condottieri. Un battage impressionante che, nell’idea del cerchio magico, avrebbe dovuto sgomberare ogni critica e officiare la presidente del Consiglio come nuova icona internazionale. Quello che si è nascosto nella costruzione dello storytelling fasullo è la sequenza che ha preceduto la grancassa.
Nella realtà i fatti sono andati così: un professore della Bocconi, firmandosi con il suo ruolo istituzionale di Dean della Sda Bocconi, manda un pezzo al quotidiano che il Financial Times colloca nella rubrica opinion, cosa che dice a sufficienza del peso con cui il giornale valuta il contributo. Il docente è un esperto di intermediari finanziari e non un macro-economista, e per di più l’articolo contiene almeno un paio di errori. Nel frattempo, peraltro, in un decreto governativo lo stesso docente viene nominato in una delle commissioni per la riforma del Testo unico della Finanza. Coincidenza curiosa!
A seguire la pubblicazione inizia il bombardamento di dichiarazioni trionfalistiche del cerchio magico meloniano su giornali e tv, fino ai toni sopra le righe della premier che, nelle sue uscite elettorali prima delle regionali in Campania e in Puglia, avalla la versione e sostiene che il Financial Times suggerisce che l’Europa copi dall’Italia. Ma non l’aveva detto il quotidiano.
Come si vede, uno storytelling assolutamente in grado di travisare la realtà. Un esempio lampante di come si apparecchiano ostinatamente gli elementi per portare mattoni a una costruzione fantasiosa delle magnifiche sorti e progressive del Paese. Come cantava non molto tempo fa un poeta norvegese, «un paese che non abbia una storia (…vera ) è destinato a morire di freddo».
Csx. Spese militari, Fassino attacca Conte: ovazione di dem, renziani e destre
Manovra, la notte dei lunghi coltelli alla Camera
(di Ilaria Proietti – ilfattoquotidiano.it) – Qualcuno si dà alla macchia, altri risultano in missione, Piero Fassino invece in buona compagnia di Lia Quartapelle, Marianna Madia e qualche altro dem, vota contro con gusto. Ma sull’ordine del giorno presentato da Giuseppe Conte durante la lunga maratona notturna alla Camera sulla manovra fa rumore anche l’astensione del resto del Pd, a partire da Elly Schlein: il leader del M5S vuole far prendere al governo l’impegno di riconsiderare gli stanziamenti previsti dal ministero della Difesa per sostituire le spese militari con risorse da destinare alla sanità, all’occupazione, all’istruzione, agli investimenti green. Ma sulle armi il fronte progressista si schianta nel segno di Piero.
Nel senso di Fassino, che ci mette il sale e anche il pepe cucinando il piattino: nel mirino la “propaganda” pentastellata e nessuno dai banchi dem ha qualcosa da obiettare. “Prendo la parola perché ho ascoltato adesso l’onorevole Pellegrini, prima ho ascoltato l’onorevole Conte e l’onorevole Ricciardi. Io penso che tra di noi ci debba essere almeno un’onestà intellettuale, per non fare tra di noi dei comizi propagandistici”, dice incassando gli applausi a scena aperta di Fratelli d’Italia e di Forza Italia, dei renziani e dei seguaci di Calenda, ma anche del Pd che approva e sottoscrive ogni parola di Fassino. Che sbotta perché disturbato dal riarmo evocato dai 5 Stelle che per lui è un bene, altro che.
“Naturalmente sono parole che evocano immediatamente delle reazioni, anche emotive e sentimentali” premette per poi tirare fuori il randello, una goduria per la maggioranza che si gode lo spettacolo. “Parliamo delle cose per come sono, perché si fa credere agli italiani che ci stiamo predisponendo a fare la guerra… semmai, al contrario, (c’è l’impegno, ndr) a lavorare perché di guerre non se ne facciano e di mettere l’Europa nelle condizioni di difendersi qualora qualcuno volesse mettere a rischio la sua sicurezza”.
Un po’ come il bombardamento umanitario del Kosovo o l’uso della forza per portare pace e giustizia in Iraq che Fassino ricorda benissimo: da leader dei Ds aveva sostenuto l’intervento, ma il 20 marzo 2004 si era presentato avvolto dalla bandiera arcobaleno alla grande marcia della pace a Roma organizzata nell’anniversario della guerra in Iraq. E, sorpresa! era stato contestato da alcuni pacifisti. I Ds avevano parlato di “trappola”, di “squadristi”. Autocritica? Non pervenuta.
Per il resto
l’episodio diventò anzi il pretesto per regolare altri conti. L’Unità in prima pagina si era presa la responsabilità di raccontare innanzitutto l’enorme partecipazione di popolo: condannando l’episodio, nel titolo e nell’editoriale del direttore Furio Colombo, ma insomma la notizia di giornata non era certo Fassino che pure venne intervistato il giorno successivo. Ma non bastò: ecco abbattersi sul quotidiano una grandinata di lettere di dirigenti diessini che accusarono il giornale di aver nascosto la contestazione. In particolare un’alta dirigente dello stesso partito, Anna Serafini in Fassino si disse “molto colpita dall’interpretazione data dal giornale alla giornata di sabato”. Avvertendo “una mancanza di rispetto”, perché “dall’Unità ci aspettiamo più generosità”. Un ventennio di disastri dopo è ancora l’ora dei randelli e degli applausi. Fassino: ieri, oggi e domani.
"Mi piace"Piace a 1 persona
"Mi piace""Mi piace"
” “Prendo la parola perché ho ascoltato adesso l’onorevole Pellegrini, prima ho ascoltato l’onorevole Conte e l’onorevole Ricciardi. Io penso che tra di noi ci debba essere almeno un’onestà intellettuale, per non fare tra di noi dei comizi propagandistici”, dice incassando gli applausi a scena aperta di Fratelli d’Italia e di Forza Italia, dei renziani e dei seguaci di Calenda, ma anche del Pd che approva e sottoscrive ogni parola di Fassino. Che sbotta perché disturbato dal riarmo evocato dai 5 Stelle che per lui è un bene, altro che.”
Questo è anche quello del ABBIAMO UNA BANCA, circa 20 anni fa.
Questa è la gente che dovrebbe combattere FdI e poi sono TUTTI schierati sulla linea del riarmo a discapito dello stato sociale.
Maledetto lui e le sue profezie. E i suoi profumi RUBATI, e i suoi 4718 euro guadagnati al mese immeritatamente.
Ma il problema maggiore è che il PD la pensa COME LUI, inclusa la moglie-badante di Martelli (Quantepalle) e la Picierno, e gli italiavivaisti e calendariati.
"Mi piace""Mi piace"
Che vi piaccia o no, dovete ringraziare Fassino e il resto del PD se riuscite a soddisfare la fame di poltrone che ormai ha preso il sopravvento sui sogni che Grillo aveva risvegliato nel cuore degli italiani. Chi ha ucciso il movimento grillino non può poi lamentarsi se viene trattato come ruota di scorta che non può pretendere di guidare la macchina del “campo largo”.
"Mi piace""Mi piace"
Conte ha voluto una prova….. quindi caro Presidente andiamo da soli!
"Mi piace"Piace a 1 persona
Ormai solo qualche nessuno vuole andare solo alle elezioni. Per capirlo dovrebbe rileggersi le dichiarazioni dei capi pentastellati relative ai risultati delle elezioni regionali della Toscana. Quelle dichiarazioni confermano che per i politicanti pentastellati é meglio prendere il 4% e 2 consiglieri come ruota di scorta del PD che non quasi il 7% e due consiglieri delle elezioni precedenti. Come ruota di scorta verrà soddisfatta la fame di poltrone (assessorato) di qualche politicante, mentre da soli le poltrone bisogna guardarle da lontano.
"Mi piace""Mi piace"