Il ricordo del partito nato dai «fascisti della Rsi», come lo chiama Almirante. Ma anche le ricostruzioni abborracciate di alcuni giornalisti sul rapporto fra il fondatore e Berlinguer

(Davide Conti – editorialedomani.it) – Il Natale del 1946 era passato da un giorno e un gruppo di latitanti costretti a nascondersi per non essere arrestati dalle autorità della neonata Repubblica democratica trasformarono un organismo clandestino, che chiamavano in gergo «senato», nell’unico partito che in Europa fu erede diretto di uno stato collaborazionista filo-nazista ovvero la Repubblica Sociale Italiana di Salò.
Tra i principali latitanti figuravano il vero ideatore del Msi, Pino Romualdi (arrestato nel ‘48, scontò tre anni di carcere) e Giorgio Almirante. Quest’ultimo all’epoca era noto per essere fuggito dalla Prefettura di Milano, travestito da partigiano con tanto di fascia tricolore al braccio, il 25 aprile 1945.
Avrebbe dovuto aprire così, in ragione dei fatti della storia, il suo video-intervento il presidente del Senato Ignazio Benito La Russa, anziché evocare improbabili «resilienze» e ambigue «continuità» degli ex alleati di Hitler radunatisi sotto le insegne della fiamma tricolore del Msi.

Fascisti in democrazia
Fino al giugno 1946 Almirante vive in clandestinità sotto falso nome. Nei giorni successivi alla Liberazione è nascosto (lui, ex caporedattore de «La difesa della razza») in casa di Emanuele Levi, ebreo e suo ex compagno di scuola. Il 22 giugno viene promulgata con la firma del ministro di Grazia e giustizia Palmiro Togliatti (l’unico per prestigio politico in grado di sopportare sulle spalle proprie e del suo partito un provvedimento così impopolare ma indispensabile per la Repubblica) l’amnistia che rende possibile ai fascisti l’uscita dalle carceri e la riemersione da latitanze e fughe. Non è vero – come afferma La Russa – che i missini «accettarono il sistema democratico». Semmai fu la Repubblica ad accettare loro, concedendo cittadinanza anche a chi aveva ucciso, torturato, stuprato e deportato donne e uomini della Resistenza e civili inermi. «Il 25 aprile è nata una puttana, le hanno dato nome Repubblica italiana» cantavano i missini dopo la fine della guerra. D’altronde inequivoche furono le parole di Almirante nel decennale del partito: «Dobbiamo presentarci per quelli che veramente siamo e cioè i fascisti della Rsi. L’equivoco, cari camerati, è uno, e si chiama essere fascisti in democrazia».
È questa anomalia che segnala fin dai suoi albori il carattere «difficile» della nostra democrazia, segnata dall’azione di un partito che annoverò come presidenti Junio Valerio Borghese e Rodolfo Graziani. Il primo, ex capo della X Mas e organizzatore, con il suo Fronte Nazionale, del golpe del 7-8 dicembre 1970. Il secondo, criminale di guerra in Africa e poi guida dell’esercito di Salò. Al segretario Augusto De Marsanich, già deputato fascista e membro del governo Mussolini, si deve invece il motto, caro a La Russa, «non rinnegare non restaurare».
Gli incontri fra Berlinguer e Almirante
Del Msi hanno fatto parte i senatori Francesco «Ciccio» Franco, capo dei «boia chi molla» nella Reggio Calabria del 1970 e Mario Tedeschi, uno dei depistatori della strage alla stazione di Bologna del 2 agosto 1980. Vi militarono Carlo Cicuttini, segretario della sezione Msi di Manzano al momento in cui partecipò alla strage di Peteano del 31 maggio 1972 e Massimo Abbatangelo, deputato assolto dall’accusa di strage per l’attentato sul treno Rapido 904 del 23 dicembre 1984 ma condannato a sei anni per detenzione di «armi a fini terroristici» nell’ambito della stessa inchiesta. Membro del Comitato Centrale del Msi, fu il condannato per la strage di Piazza della Loggia a Brescia del 28 maggio 1974 Carlo Maria Maggi ovvero il braccio destro di Pino Rauti alla guida di Ordine Nuovo dalla cui cellula veneta scaturì il gruppo di Franco Freda e Giovanni Ventura, responsabili della strage di Piazza Fontana del 12 dicembre 1969.
Della stessa «comunità» facevano parte i camerati di Piazza San Babila a Milano, protagonisti degli scontri che il 12 aprile 1973 portarono alla morte dell’agente di Ps Antonio Marino. Un evento che vide in piazza anche Ignazio La Russa (allora presidente del Fronte della Gioventù del Msi) e che seguì di soli cinque giorni la tentata strage del treno Torino-Roma ad opera del neofascista Nico Azzi. Ai funerali del quale, nel gennaio 2007, giunse a rendere omaggio proprio l’attuale seconda carica dello Stato.
In un’epoca di oblio e abborracciate ricostruzioni giornalistiche su «gesti», strumentalizzati come reciprocamente legittimanti, tra Berlinguer e Almirante (dal 1973 rincorso dall’autorizzazione a procedere per ricostituzione del partito fascista) restano vivide le parole di Piero Calamandrei dedicate nel 1953 ai caduti della Resistenza nel giorno della formazione del primo gruppo parlamentare missino alla Camera: «Non rammaricatevi dai vostri cimiteri di montagna se giù al piano, nell’aula dove fu giurata la Costituzione murata col vostro sangue, sono tornati, da remote caligini, i fantasmi della vergogna».
Ma mi faccia il piacere
(Di Marco Travaglio – il Fatto Quotidiano) – Ossimori. “Accordo tra Meloni e Salvini. Sì alle armi. ‘Aiuti civili’” (Corriere della sera, 28.12). Dopo la “leva volontaria” e il “si vis pacem para bellum”, abbiamo le “armi civili”. Seguirà la pioggia asciutta.
Mister Talento. “Oggi seduta in Senato. Speriamo che nel 2026 ci sia meno populismo e più politica, mettendo al centro talento e merito” (Matteo Renzi, leader Iv, X, 28.12). Quindi mi sa che lascia di nuovo la politica.
Ho fatto cose… “Manovra, Giorgetti: ‘Fatte cose che sembravano impossibili’” (Stampa, 24.12). In effetti sembra impossibile fare così tante figure di merda in così poco tempo.
Agenzia Sticazzi. “Matteo Renzi e gli auguri di nonna Maria, al suo Natale numero 106. In un video girato presumibilmente a casa, vediamo il politico accanto a nonna Maria che, in francese, pronuncia i suoi auguri ‘à tout le monde!’ e dà a tutti ‘un grande abbraccio’. ‘Noi siamo internazionali’, sottolinea Renzi sottolineando come sua nonna sia ‘uno spettacolo’” (Corriere della sera, 26.12). C’è chi sottolinea sottolineando e chi lecca leccando.
Lupi putiniani. “La guerra di Putin uccide in Finlandia: i lupi sconfinano e fanno strage di renne”, “Abruzzo, nel borgo invaso dai lupi non si esce più la notte. ‘Ma è colpa dell’uomo’” (Repubblica, 24 e 28.12). Indovinate come si chiama l’uomo.
FanTocci. “La via europea per ribaltare le trattative. Ucraini e analisti non credono nella fine del conflitto. L’incognita è capire da che parte è Washington” (Nathalie Tocci, Stampa, 28.12). Che nessuno si azzardi a privarla del profumo del napalm la mattino presto.
Il mondo al contrario. “Davvero poco rassicurante, dunque, l’annuncio della portaminacce russa Zacharova: ‘Mosca è pronta a firmare un patto di non aggressione con la Nato’” (Antonio Polito, Corriere della sera, 27.12). Polito el Drito si sente rassicurato dai patti di aggressione.
I Legnanesi. “Quando i maschi parlano della guerra… La guerra è una pratica arcaica e maschile… Come e quanto muterebbero le sorti dell’umanità alla luce di una più forte presenza e influenza della cultura femminile” (Michele Serra, Repubblica, 28.12). Ma quindi le von der Leyen, Kallas, Machado e pure Tocci sono tutte maschi travestiti?
Saliva. “Renzi è uno dei pochi con l’autorevolezza necessaria per indicare la strada al centrosinistra”. “Buffon scivola sulla saliva e fa autogol ad Atreju” (Fabrizio Roncone, Corriere della sera, 16 e 24.12). Era la saliva di Roncone.
Due gocce d’acqua. “Hitler e Putin. Il modello retorico che li rende uguali. Non è un parallelo banale e sensazionalistico: se si ascoltano il discorso del primo per giustificare l’attacco alla Polonia e del secondo per giustificare quello all’Ucraina, le similitudini sono tante e impressionanti. A cominciare dall’accusa agli aggrediti di essere i reali aggressori” (Sofia Ventura, Huffington Post, 22.12). Peccato che le svastiche gliele abbia fregate il battaglione Azov.
Cazzolate. “La Russia vince solo nella propaganda. Mosca perde sul campo” (Giovanbattista Fazzolari, FdI, sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Stampa, 24.12). Gliel’ha detto suo cugino rettiliano.
Il foreing fighter. “Pacifisti per convenienza. Davanti all’aggressione russa all’Ucraina, in Italia c’è chi preferisce fingere che non li (sic, ndr) riguardi… La sinistra liberale o radicale non dovrebbe dimenticare quanti europei nel 1937 andarono a combattere volontariamente in Spagna per difendere la repubblica del Fronte Popolare contro il fascismo del generale Francisco Franco. Quei volontari avrebbero dovuto essere pacifisti?” (Alfonso Berardinelli, Venerdì-Repubblica, 27.12). Ma no, anzi: arruòlati anche tu volontario e noi ti batteremo le mani.
Gli amuleti. “Prove di alleanza fra Gualtieri e Calenda” (Corriere della sera, 2.12). “Gualtieri e il ‘laboratorio Roma’: Iv in maggioranza (senza M5S)” (Messaggero, 23.12). “Campidoglio, Renzi entra in maggioranza”, “Gualtieri, è campo largo: Iv in maggioranza” (Repubblica, 23.12). Si sarà stufato di fare il sindaco.
Lo storico. “Mi pare che finora nessuno abbia messo a fuoco l’analogia tra l’arrivo a Palazzo Chigi della destra guidata da Meloni, tre anni fa, e l’arrivo al governo dei cattolici guidati da De Gasperi nel 1948” (Ernesto Galli della Loggia, Corriere della sera, 22.12). E non ti sei domandato perché?
Il titolo della settimana/1. “In Germania elogiano l’abolizione del reddito grillino” (Verità, 28.12). Infatti la Germania stanzia 44 miliardi all’anno per uno dei Redditi di cittadinanza più alti del mondo.
Il titolo della settimana/2. “Scetticismo di Usa e Ue sul negoziato con Putin: ‘Vuole vincere la guerra’” (Repubblica, 27.12). Pensavano che volesse perderla.
Il titolo della settimana/3. “L’agenda Occhiuto ‘in libertà’: ‘Dobbiamo trovare il coraggio di continuare il lavoro di Berlusconi innovandolo. Se non ora, quando?’” (Foglio, 22.12). C’è ancora tanto da rubare.
Il titolo della settimana/4. “Garlasco, Sempio trema: l’impronta di una scarpa” (Giornale, 22.12). Per forza: l’unico a portare le scarpe a Garlasco 18 anni fa era lui, tutti gli altri giravano scalzi.
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Myrnorad ufficialmente caduta.
Gulyapolie ufficialmente caduta.
Altre 2 pedine perse.
Zeze che farà, ora che ha perso pure gli aiutanti con il WC d’oro?
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Ops.
I russi con le loro pal(l)e hanno conquistato un posto di comando di un battaglione senza quasi sparare un colpo. Oramai è una corsa (all’indietro per gli ucronazi).
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