Agitando la bandiera della “sicurezza”, il governo fa nelle città il vuoto politico, cancellando non solo luoghi, ma comunità. Con altrettanta durezza, colpisce i movimenti dei giovani e giovanissimi, quelli che cercano di risvegliare le coscienze su urgenze come il cambiamento climatico o il genocidio a Gaza

(Giorgia Serughetti – editorialedomani.it) – Fanno un deserto e lo chiamano legalità. Lo sgombero del centro sociale Askatasuna a Torino, che segue di pochi mesi quello del Leoncavallo a Milano, e i prossimi annunciati ministero dell’Interno in tutta Italia, sono il volto più visibile e cruento di un disegno di potere che ha per obiettivo non solo le città come spazi di relazioni, vita collettiva e conflitti, ma l’idea stessa di cittadinanza come dispositivo di appartenenza, partecipazione, emancipazione.
Nell’anno che abbiamo alle spalle, una destra forte con i deboli e debole con i forti ha reso sempre più manifesto il desiderio di ridurre al silenzio ogni voce dissenziente, di azzerare ogni sussulto di resistenza, di demolire ciò che resta della storia e l’attualità di movimenti sociali di opposizione alla guerra, alla violenza dei confini, alla distruzione ambientale, allo sfruttamento economico.
Se il “decreto Sicurezza”, approvato lo scorso giugno, ha dato veste giuridica alla strategia di repressione del dissenso del governo guidato da Giorgia Meloni, la pratica degli sgomberi e delle intimidazioni verso attiviste e attivisti ha generato un clima di aperta ostilità a ogni espressione di espressione di conflittualità sociale.

Parti di una storia
I centri sociali di cui si minaccia la definitiva sparizione non sono stati e non sono semplici «occupazioni abusive» o «situazioni di illegalità», come piace descriverli al ministro Matteo Piantedosi, ma parti di una storia e punti di una cartografia di soggetti che fanno cultura fuori dai circuiti del consumo culturale, che praticano la solidarietà e il mutuo sostegno laddove non arrivano i servizi di welfare, e naturalmente fanno politica, in un tempo in cui gli spazi, per la politica, sono sempre meno, o non ci sono più.
Ora, agitando la bandiera della “sicurezza”, il governo fa nelle città il vuoto politico, cancellando non solo luoghi, ma comunità. Con altrettanta durezza, colpisce i movimenti dei giovani e giovanissimi, quelli che cercano di risvegliare le coscienze su urgenze come il cambiamento climatico o il genocidio a Gaza.

«Democrazia passiva»
Tutto questo avviene in un contesto come quello italiano in cui la partecipazione politica è già ridotta al lumicino. I dati dell’Istat mostrano un calo vistoso, negli ultimi vent’anni, dell’interesse per la politica e dell’impegno attivo, soprattutto tra i più giovani.
Il disimpegno si traduce anche nei numeri sempre più allarmanti dell’astensione. Come scrivono Paolo Natale, Luciano Fasano e Roberto Biorcio nel libro Schede Bianche (Luiss University Press), quella che va configurandosi è una «democrazia passiva», con il non-voto come «fenomeno generalizzato, in grado di investire trasversalmente diversi gruppi e categorie sociali», inclusi «i settori più attivi di una società». Se sempre più persone si astengono è perché cresce l’indifferenza alla politica, accompagnata dalla sfiducia nella sua capacità di produrre cambiamento.
L’interesse e il senso di efficacia per la politica non cominciano né finiscono, ovviamente, negli spazi sociali auto-organizzati. Chiamano in causa, come minimo, la condizione dei partiti e dei corpi intermedi. Ma quando le esperienze di partecipazione politica e sociale che non passa dai canali tradizionali vengono ridotti al silenzio, l’allarme dovrebbe suonare per tutte e tutti, per chiunque abbia a cuore la salute della democrazia.

Ridurre all’apatia
Perché questa politica della legalità non è una risposta alla crisi delle forme e dei luoghi della cittadinanza. Ne è, piuttosto, una causa, laddove separa la difesa della legalità da obiettivi di giustizia sociale, ovvero mette il rispetto cieco della legge davanti ai principi dell’eguaglianza, dei diritti fondamentali, della cura delle persone.
Il governo attuale non è né il primo né l’unico ad aver usato la leva della legalità contro i più deboli, anziché contro i più forti. Ma sembra questo il primo a inquadrare simili politiche in un disegno scoperto di riduzione della cittadinanza all’apatia. A voler produrre attivamente un deserto del disimpegno dove forme sempre più verticali di potere possano avanzare incontrastate.
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