L’arrivo al potere di un partito di ascendenza neo-fascista realizza in pieno l’obiettivo di lungo periodo della destra post 1994. Riportare le lancette della storia a un passato che ignorava o, alla bisogna, calpestava diritti politici e sociali

(Piero Ignazi – editorialedomani.it) – Certi particolari sono illuminanti. La caparbietà con cui il governo tutto ha voluto una legge che sancisse che l’oro detenuto dalla Banca d’Italia «appartiene al Popolo» (in maiuscolo!) italiano rivela il tasso di populismo della nostra destra, in linea con una lunga storia.

L’affermazione reboante che siamo noi, we the people, come recita la costituzione americana, i detentori dei preziosi lingotti soddisfa quell’umore anti-istituzionale e anti-establishment che ha nutrito il successo dei populisti nostrani, e non solo.

I mandarini che si muovono nell’ombra, al riparo dei palazzi del potere, devono rendere conto al popolo, che sarà primo o poi chiamato a giudicarli, in un clima tra Robespierre e Mao Zedong. Queste pulsioni hanno una storia lunga nel nostro paese, ma gli anni Novanta segnano un punto di svolta, con l’irruzione, in sequenza, della Lega Nord e di Silvio Berlusconi.

Declino ideale e sociale

Quando nel 1993 il candidato leghista Marco Formentini, un perfetto sconosciuto fino al mese prima, ha ottenuto alle comunali di Milano il 57 per cento dei voti contro un esponente della società civile dal nome prestigioso e benemerito della Repubblica, Nando dalla Chiesa, è apparso evidente che non si erano mossi solo i barbari scesi dalle valle a urlare la loro rabbia contro il mondo, ma anche la borghesia meneghina attratta da un distruttivo furore popolano. Tanto sarebbe stata lei, inevitabilmente, a rimettere a posto i pezzi.

Da allora però l’Italia si è avviata lungo un lento, costante, declino politico-ideale, quanto economico-sociale. I due aspetti si intrecciano: quando viene spazzata via una cultura che imbriglia il conflitto politico entro regole accettate e metabolizzate da tutti, e si lascia libero corso alla protesta dentro e contro le istituzioni – e non dove è fisiologica e salutare e cioè nelle piazze (contrariamente a quanto sta facendo il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi, ormai da rubricare in ministro della Polizia) – anche la società va fuori squadra.

Cittadino vs popolo

Già predisposta da antica consuetudine a farsi le proprie regole a uso e consumo dei propri interessi, in quel frangente, senza linee guida autoritative, la società deborda degli argini. Lasciar correre e scorrere, tanto andrà tutto a beneficio a chi già possiede risorse: questo il progetto attuato nel lungo inverno berlusconiano.

Nella cultura della destra forzaleghista (come l’aveva coniata Edmondo Berselli) e ora meloniana, protagonista non è il cittadino, nella sua individualità depositaria di diritti inviolabili, quanto piuttosto una unità indistinta e organica identificata nel popolo (a cui va tutto l’oro, appunto).

Poi, nella declinazione dei Fratelli d’Italia, l’impostazione populista si alterna con quella nazionalista, riprendendo la storica antinomia fascista e post-fascista tra popolo e nazione, richiamata a suo tempo dal missino critico Beppe Niccolai. Ma queste sono sottigliezze.

Emigrazione dei migliori

Il punto è che l’arrivo al potere di un partito di ascendenza neo-fascista realizza in pieno l’obiettivo di lungo periodo della destra post 1994. Riportare le lancette della storia a un passato che ignorava o, alla bisogna, calpestava diritti politici e sociali. L’offensiva contro i poveri lanciata con la demonizzazione del reddito di cittadinanza, i tagli alla salute e all’istruzione, si è coniugata con la più clamorosa riduzione dei diritti civili attraverso il decreto cosiddetto Sicurezza, passato nel silenzio più assordante dei tanti liberali alle vongole di questo paese.

Se stiamo procedendo a velocità crescente verso il declino economico, rallentato solo, come ormai riconosciuto da tutti, dall’iniezione di soldi del Pnnr (ottenuto dal governo giallo-rosso del Conte II, ma di cui sta beneficiando l’esecutivo Meloni) è anche perché non c’è più fiducia nelle sorti di questo paese.

Lo certificano le centinaia di migliaia di giovani istruiti che continuano ad andare a lavorare all’estero. Altro che immigrazione clandestina: il nostro vero dramma è l’emigrazione delle forze migliori che, nel 2024, ha raggiunto il record storico di 155.000 partenze.

Le valigie di cartone di antica memoria si sono trasformate in zainetti con computer. Costruirsi un futuro in un paese che premia le rendite – tassisti e balneari a livelli bassi, grandi fortune a livelli altri – premia evasori ed elusori con condoni a raffica, mortifica il pensiero critico con varie forme di censura e prepara la galera per la disubbidienza civile non può attrarre la parte più innovativa e creativa della cittadinanza. Per questo la destra al governo è oggettivamente regressiva e reazionaria.