Manovra, quegli emendamenti estranei alle leggi: dal Colle l’ultimo stop. Con i cinque altolà alle norme il Quirinale torna a segnalare il superamento di un limite. Leo ammette: “Rischio incostituzionalità”

(di Concetto Vecchio – repubblica.it) – I cinque altolà imposti l’altro giorno dal Quirinale al governo sulla manovra chiudono un anno di coabitazione non sempre semplice con l’esecutivo di Giorgia Meloni. Al Colle spiegano che gli emendamenti bocciati erano del tutto fuori contesto. Non c’entravano niente con la legge di bilancio. Un modo educato per definire le furbizie degli esponenti della maggioranza di centrodestra che hanno cercato di trarre vantaggio dalla confusione di una legge vasta e complessa come la finanziaria. «Li hanno infilati col favore delle tenebre», nell’icastica definizione del leader M5S Giuseppe Conte.

Non è la prima volta che succede. Anzi. Ma al Quirinale fanno ancora il Quirinale e quindi vigilano, correggono, e nel caso bloccano. Nei mesi scorsi reiterate sono state le bocciature degli uffici del presidente Mattarella per emendamenti inseriti surrettiziamente in decreti legge del tutto estranei all’oggetto. E anche stavolta, si fa notare, è stata superata una soglia.

Il caso più clamoroso di questi giorni riguarda la tutela agli imprenditori condannati per avere sottopagato i lavoratori. L’aveva proposta in Commissione il senatore di Fratelli d’Italia, Matteo Gelmetti (prima di lui ci aveva provato nel decreto Ilva il collega Pogliese). Avrebbe limitato la possibilità per i lavoratori di ottenere gli arretrati salariali, anche nei casi in cui un giudice stabilisce che la retribuzione percepita è stata troppo bassa. Una norma che riduceva quindi le tutele dei lavoratori, spostando nettamente l’equilibrio a favore delle imprese. Era del tutto incongruo rispetto alla natura della legge di bilancio, fanno notare al Quirinale. Una questione di metodo, insomma.

Ma qui non si può non sottolineare che sui salari troppo bassi, le mancate tutele dei lavoratori, la piaga del precariato, Mattarella tuona, inascoltato, da dieci anni. Due emendamenti li ha presentati la Lega. E prevedevano meno paletti per chi passava da un incarico pubblico a uno privato e viceversa. Più precisamente si riduceva il lasso di tempo da tre a un anno. Poi c’erano due emendamenti di Claudio Lotito, il senatore di Forza Italia e presidente della Lazio. Uno era sui magistrati fuori ruolo e puntava a a ridurre da dieci a quattro anni l’anzianità di servizio per poter essere autorizzati al collocamento fuori ruolo, e quindi fare altro. Un’altra norma che non c’entra nulla con la legge di Bilancio, è stato fatto notare, invitando il ministro per i Rapporti col Parlamento, Luca Ciriani, a depennarle. E infatti ai dirigenti dei gruppi di maggioranza è arrivato un foglietto con su scritto «norme da sopprimere».

Lotito voleva anche rivedere la disciplina per il personale della Covip, l’Autorità che vigila sui fondi pensione. Ieri fonti di governo hanno fatto sapere che in quest’ultimo caso il Quirinale intendeva cambiare sola una parte della norma, ma per un difetto di comunicazione è stata cassata per intero.

«Non volevamo esporci a rischi di incostituzionalità» del testo: sintetizza il viceministro all’Economia Maurizio Leo spiegando lo stralcio delle cinque norme.

Resta il fatto che finora tutte le petizioni di Mattarella, espresse in varie lettere di accompagnamento alle leggi, non sono servite granché. A ottobre, sul pasticcio della festività di San Francesco, aveva richiamato tutti all’ordine: «Non posso non sottolineare l’esigenza che i testi legislativi presentino contenuti chiari e inequivoci». Alla fine dalla maggioranza ci provano comunque a fare passare leggi mancia, norme elettorali, emendamenti per gli amici degli amici. Come il condono edilizio. Non sarebbe mai passato, hanno fatto trapelare da lassù. E a quel punto al Senato, anche su pressione delle opposizioni, l’hanno derubricato a ordine del giorno.