
(Andrea Zhok) – La ragione per cui niente si muoverà nelle coscienze europee, la ragione per cui nonostante in moltissimi vedano l’attuale degenerazione dello stato di diritto, del rispetto dei diritti umani, dell’indipendenza della magistratura, della libertà di stampa ed espressione, ecc., la ragione per cui nonostante tutto questo le indignazioni saranno minoranza e prevarranno quelli che fanno spallucce, è molto semplice.
La maggior parte della popolazione agisce inconsciamente sulla scorta di un meccanismo di pensiero, di un sillogismo vincente, governato dall’informazione tossica.
La premessa materiale del sillogismo è data dalla persuasione che in ogni “altrove” rispetto all’Occidente viga la barbarie, l’oppressione sanguinaria, il dispotismo arbitrario, la legge della giungla. Le teste degli europei – più in generale degli occidentali – sono farcite come tacchini natalizi di luoghi comuni creati ad arte, immagini icastiche, pensierini a manovella: “In Russia ti fanno sparire senza tanti complimenti”, “Se non ti piace la nostra libertà di stampa perché non te ne vai in Cina?”, “In Iran se non metti il velo ti mettono in galera”, “Maduro è un dittatore brutale ed illegittimo”, ecc. ecc.
Questo strato di fondo di banalità orecchiate, sciocchezze inventate, fotogrammi senza contesto, spesso pure e semplici leggende metropolitane è coltivato accuratamente nel corso degli anni dalla stampa, che costruisce in questo modo – anche in tempo di pace, anche quando non serve immediatamente – un retroterra di demonizzazione a basso voltaggio di tutto il resto del mondo.
Questo strato deve la sua efficacia proprio al fatto di essere disseminata e alimentata nel lungo periodo, senza l’urgenza di essere usata, come una sorta di sfondo mitologico indiscutibile.
Il cittadino europeo medio non ha la più pallida idea neppure di come si vive alla periferia della sua città, non conosce la vita o i problemi di chi vive sul suo stesso pianerottolo, e tuttavia gli arrivano comodamente a domicilio saldissime certezze intorno a quanto oppressiva e umiliante sia l’esistenza in Cina, in Russia, in Iran, a Cuba, in Venezuela, o in molti altri paesi, paesi enormi, complessi, in cui non ha mai messo piede se non forse per una vacanza in un villaggio turistico.
Una volta che questo sfondo di screditamento e denigrazione è inerzialmente presente nella nostra visione del “mondo altrui”, le classi dirigenti occidentali hanno mano libera per le peggio porcate.
Infatti, di fronte a ogni inguardabile schifezza, di fronte ad ogni abuso manifesto, ad ogni ingiustizia sfacciata, si può sempre premere il pulsante mentale dell’ACQUIESCENZA COMPARATIVA:
“Sì, è uno schifo, ma comunque è pur sempre meglio qui che altrove.”
“Sì, tutto questo è orribile, ma comunque, con tutti i limiti, siamo fortunati a vivere qua e non altrove.”
“Sì, l’ingiustizia impera, ma teniamocela stretta perché l’alternativa sarebbe ben peggiore.”
Qui, come in moltissimi altri casi, la responsabilità del sistema mediatico, la criminale complicità del giornalismo mainstream è una volta di più decisiva.
Il ministro Ciriani a Lipari su una nave della GdF con i suoi cari: un cronista scatta le foto, denunciato
Sull’isola delle Eolie per un convegno con mezzo governo, ci è arrivato in motovedetta con moglie e figlio. Un giornalista in pensione li “pizzica” e finisce in tribunale
(di Giuseppe Pietrobelli – ilfattoquotidiano.it) – Il cielo è azzurro sopra l’isola di Lipari, il mare di un blu scintillante. È l’11 ottobre 2025. Il ministro Luca Ciriani tiene in mano un cappello della guardia di Finanza. Scende da una passerella e mette piede sul molo del porticciolo turistico, nel capoluogo delle Eolie, dopo essere sbarcato da un pattugliatore militare. Accanto a lui, entrambi con il volto girato e quindi non riconoscibili, una signora (la moglie) e un ragazzo (il figlio minorenne). La scenetta non passa inosservata. Infatti, l’arrivo del ministro per i rapporti con il Parlamento, friulano di Fratelli d’Italia, ha provocato una mobilitazione. Non solo l’imbarcazione lunga 50 metri partita dalla Sicilia con a bordo un equipaggio di una trentina di persone, ma anche un motoscafo e un gommone con una decina di finanzieri, a protezione dell’illustre attracco.
Il giorno precedente erano cominciati all’Hotel Tritone gli “Stati generali delle isole minori marine”. Presenze di primissimo piano, con i ministri Nello Musumeci, Matteo Piantedosi, Orazio Schillaci, Gilberto Pichetto Frattin, Carlo Nordio, Alessandro Giuli e Roberto Calderoli, oltre ai sottosegretari Maurizio Leo, Edoardo Rixi, Claudio Barbaro e il commissario europeo Raffaele Fitto. Addirittura era stata mobilitata la nave ammiraglia per trasportare tutti i relatori, con uno spiegamento di forze con pochi precedenti.
Luca Ciriani, a sua insaputa, si è imbattuto in un tranquillo pensionato, il giornalista pordenonese Mario Quaia, già direttore del Piccolo di Trieste. Il mestieraccio non si dimentica mai. Il movimento di divise a servizio della personalità di Stato lo ha incuriosito. Ha scattato alcune foto, si è rivolto a Ciriani (“Lei sì che viaggia in sicurezza”), ha fatto qualche domanda in giro. Appurato che il ministro era stato scortato a Lipari per partecipare al convegno, ne ha tratto un post ironico su Facebook in cui ha raccontato ciò che aveva visto. A corredo la foto dei Ciriani, convinto di aver compiuto un dovere di informazione civile.
Apriti cielo. Il ministro si è sentito diffamato nell’onore e colpito, come padre, per la foto del figlio minorenne, anche se non identificabile. È partita una pec all’indirizzo di Quaia. Poi una richiesta al giudice di Pordenone, con un ricorso inaudita altera parte per ottenere l’eliminazione immediata della foto dal web. Non è vero che la giustizia è lenta: il 25 ottobre il giudice ha firmato un’ordinanza fissando la discussione al 16 dicembre (poi rinviata per impedimenti ministeriali). L’avvocatessa Caterina Belletti ha spiegato il motivo. “Il soggiorno dei familiari era stato pagato personalmente dal ministro con fondi propri. Il servizio d’ordine era predisposto dalla presidenza del Consiglio dei ministri e dal Ministero per la protezione civile, il ministro non poteva sottrarsi alla protezione accordata…”. Siccome la partecipazione al convegno c’è stata, ecco “la natura diffamatoria delle affermazioni contenute nel post, le quali, volutamente distorte, infondate e prive di qualsivoglia riscontro oggettivo, risultano dirette esclusivamente a ledere gravemente l’onorabilità e il prestigio personale e familiare del ministro”, avendo insinuato l’idea “che il ministro, insieme alla famiglia, avesse approfittato dei mezzi dello Stato per un periodo di vacanza sull’isola siciliana, sotto il paravento della partecipazione ad un evento istituzionale”. Come aggravante, aver pubblicato senza autorizzazione la foto di un minorenne, con la richiesta di 100 euro per ogni giorno di permanenza della foto sul web e anche per “ogni eventuale futuro episodio di violazione della richiesta inibitoria”. Il giornalista, con gli avvocati Gloria Favret e Cesare Malattia, si è opposto alla richiesta, anche se ha obbedito all’ordinanza. Le controdeduzioni: esercizio del diritto di cronaca e critica, opposizione a un tentativo di censura, inconsistenza dell’accusa di diffamazione, in quanto totalmente “generica”. Inoltre, il minore non è riconoscibile. “La critica, anche pungente ha colto nel segno – spiegano i legali – infatti il ministro si è trovato in palese difficoltà a giustificare l’impiego di una flotta navale per un trasporto familiare che non ha giustificato”.
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ha ragione il politico,
non è colpa sua se la Melona lo ha nominato ministro,
e garantire la sicurezza del governo, in tempo di guerra,
è dovere dello stato, anche se si tratta di una gita in barca su un’isola delle Eolie con la famigliola al seguito, doveva esserci la Cavour, altro che un semplice pattugliatore di 50m.
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Esimio Zhok a mio parere,l’inerzia delle coscienze europee non è adeguatamente spiegabile come semplice effetto di un sillogismo mediatico fondato sull’“acquiescenza comparativa”.
La comparazione non costituisce una deviazione del giudizio politico, ma la sua struttura aristotelica elementare (phronesis), senza la quale ogni valutazione istituzionale si riduce ad astratto moralismo. La critica alla regressione dello Stato di diritto presuppone criteri normativi storicamente prodotti nello spazio occidentale, configurando una forma di critica immanente (Hegel) più che un’autoassoluzione ideologica.
La rappresentazione dell’“altrove” non può essere liquidata come mera costruzione discorsiva senza scivolare in un relativismo simmetrico che neutralizza la valutazione dei regimi non pluralisti. Seguendo il gigante Baruch Spinoza l’indignazione, lungi dal fondare una virtù civica, può trasformarsi in passione sterile e paralizzante . Ogni giudizio politico è inevitabilmente situato e comparativo (Kant), e, in ambito istituzionale, dipendente da condizioni di equità procedurale (Rawls). Il problema teorico non è dunque il confronto in quanto tale, ma la sua trasformazione in criterio dogmatico che sospende il pensiero critico anziché orientarlo.
Efficace sul piano polemico,ma troppo semplicistica.
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E’ da dopo la guerra del Vietnam, che il potere Uccidentale cerca in tutti i modi di controllare i media e c’è riuscito in pieno, basti vedere chi sono i proprietari.
Anche quando la proprietà passa di mano, sono sempre i soliti a comandare, la luce della libertà di stampa e di informazione è ridotta ad un lumino.
Non ci sarà mai più casi come Watergate o Pentagon Papers, basti vedere cosa hanno fatto ad Assange, la fuga di Snowdem, le sanzioni e le persecuzioni alla Albanese, il caso Baud e centinaia di migliaia di altri episodi, la lista è lunghissima, come i servi che operano a comando.
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Zhok fotografa molto bene la maggioranza, rintronata dal coro assordante dei bugiardi a cottimo, che a forza di sentirsi ripetere le bugie le scambia per verità, anche se non hanno senso logico.
Questo sito ha diversi rappresentanti di questa maggioranza ingannata, convinti di vivere dalla parte dei buoni, accerchiati dai selvaggi (in pratica gli indiani dei film, bruti assassini con le frecce e le penne), col culoalcaldo e mamma democrazia a vegliare sul loro sonno, una mamma poco materna ok, più matrigna ok, tesa, violenta, fredda, bugiarda, ingiusta e traditrice, ma vuoi mettere con le mamme degli altri? Sono molto peggio! E chi lo dice? Lei.
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Noi viviamo nel giardino dell’ Eden mentre gli altri stanno nella giungla tra pitoni e anaconde , belve feroci e rapaci aggressivi che però non sono niente rispetto a tiranni spietati e sanguinari tipo Putin .Poveri imbecilli analfabeti funzionali.
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