(di Michele Serra – repubblica.it) – Non è molto chiaro quali vantaggi abbia portato alla popolazione di Gaza la cosiddetta pace. Probabilmente una drastica diminuzione (non l’interruzione) delle pallottole e dei missili che levano di mezzo persone e case. Per il resto tutto è ancora fango, macerie, attendamenti precari, penuria di farmaci e di cibo, e la notizia dell’altro giorno, che l’ong Save the Children non può più entrare a Gaza, conferma non solo che l’occupazione israeliana è condizione permanente e inamovibile, ma che non intende allentare la morsa contro le organizzazioni non governative che il governo Netanyahu considera ostili in quanto tali.

Quest’ultimo punto è, di quella tragedia senza fine, l’aspetto politicamente e umanamente più grave e lacerante. La presenza dell’associazionismo internazionale con funzioni di soccorso e cura delle vittime e dei profughi, e di educazione e protezione dei minori (questo sono le ong) è stata addirittura inserita nelle trattative per il cessate il fuoco, come se una presenza umanitaria extra-bellica ed extra-nazionale potesse essere parte integrante della lotta sul campo. Una empietà e una scelta di inciviltà spiegabili solo con il crescente disprezzo politico contro qualunque entità sovranazionale, avvertita come “nemica” perché interferisce con l’arbitrio degli eserciti e dei governi.

E dunque Save the Children vale tanto quanto le risoluzioni dell’Onu o le sentenze del Tribunale dell’Aia: interferenze da ricacciare fuori dai territori occupati con le armi. Con l’aggravante che Save the Children ha un nome, salvate i bambini, la cui smentita è: non salvateli, i bambini. A proposito: buon Natale.