
(Michele Agagliate – lafionda.org) – Non serviva andare lontano per accorgersene. Bastava uscire la sera, camminare, guardarsi intorno. Ma a volte serve cambiare aria per capire quanto l’aria che respiriamo sia diventata irrespirabile.
Sofia, per esempio. Una capitale europea che non dovrebbe insegnare nulla a nessuno. E invece insegna. Insegna senza parlare; insegna col silenzio, con la normalità; con il fatto che puoi camminare senza stringere le chiavi in tasca, senza guardarti alle spalle ogni trenta metri, senza chiederti se stai per finire nel posto sbagliato al momento sbagliato. Tutto qui. Niente di eroico. Solo questo.
E allora torni a casa e ti chiedi: com’è possibile?
Com’è possibile che l’Europa occidentale, quella ricca, sviluppata, civile, si sia trasformata nel luogo dove la paura è diventata una compagna abituale? Com’è possibile che proprio dove c’è più PIL, più istituzioni, più retorica dei diritti, ci sia anche più degrado, più insicurezza, più nervosismo sociale? Com’è possibile che le capitali storiche dell’Unione europea somiglino sempre più a spazi logorati, sporchi, aggressivi, mentre altrove — senza miracoli, senza modelli — si respira semplicemente una vita più normale?
Ci dicono che è solo una percezione. Che i dati vanno letti bene. Che non bisogna generalizzare. Che attenzione, perché la paura è una brutta bestia. Vero. Ma anche la rimozione lo è. Perché la politica vive di percezioni. E chi le ignora poi perde le elezioni, si rifugia nei comunicati stampa e dà la colpa agli elettori. Sempre colpa degli elettori.
Le città occidentali sono diventate così: luoghi dove il degrado amministrativo e quello sociale si confondono. Roma è sporca, lo sappiamo. Roma è trascurata, lo vediamo. Ma la sporcizia, da sola, non genera paura. La paura nasce quando al degrado si sommano l’assenza dello Stato, la sensazione di impunità, l’idea che certe zone non appartengano più a nessuno. O peggio: che appartengano ad altri.
Marsiglia, Birmingham, Liegi, Montpellier, Milano. Nomi che non stanno ai margini dell’Europa, ma nel suo cuore. Città che raccontano la stessa storia: microcriminalità diffusa, gang giovanili spesso composte da ragazzi ai margini di origine straniera, violenza di strada, tensione costante. Un’emergenza che non è più un’eccezione, ma una condizione strutturale, cronicizzata, quasi normalizzata.
Poi ci sono i dati, quelli ufficiali, quelli che nessuno può liquidare come ossessione securitaria o come semplice percezione distorta. In Italia, quasi metà dei reati si concentra nelle grandi città. Milano, Firenze, Roma in cima alle classifiche. Denunce che crescono. Rapine. Furti. Violenze. E sempre più spesso minori. Minori che non fanno più discutere, perché sono diventati parte del paesaggio. Un arrestato su quattro per rapina in strada ha meno di diciott’anni. Non è una deviazione: è un sistema che si è abituato a consumare anche l’adolescenza.
In Europa settentrionale va uguale. Svezia compresa. Il Paese modello. Quello che fino a ieri veniva citato come esempio di integrazione, welfare, civiltà. Oggi intercetta le conversazioni dei minori perché non sa più come arginare incendi dolosi, esplosioni, regolamenti di conti, omicidi. Succede quando per anni ti racconti che tutto si aggiusta da solo. Non si aggiusta.
E allora emerge la questione che nessuno vuole nominare per paura di sembrare impresentabile: la sicurezza è un diritto sociale. Non è un’ossessione reazionaria. Non è una fissazione borghese. È un diritto di classe. Perché chi può permettersi quartieri protetti, taxi, scuole private, vigilanza, non vive la paura come la vive chi prende l’ultimo autobus la sera, chi lavora fino a tardi, chi abita dove lo Stato arriva solo per fare conferenze stampa.
Qui entra in scena l’immigrazione. Tema tossico. Tema da maneggiare con i guanti, dicono. Ma il problema non è parlarne: è come se n’è parlato per anni. Accoglienza senza integrazione. Numeri senza politiche. Persone ammassate, lasciate lì, usate come manodopera a basso costo e poi dimenticate. Nessun progetto, nessuna distribuzione, nessuna responsabilità. Lo Stato accoglie, sfrutta, scompare. E quando esplode il conflitto sociale, se ne fotte.
La nuova destra su questo ci sguazza. Parla di sicurezza, starnazza, indica il nemico. Ma poi governa per il mercato. Difende gli stessi interessi economici che hanno prodotto il caos. Non può risolvere nulla perché non vuole risolvere nulla. Le serve la paura; le serve il disagio. È il suo carburante.
La sinistra progressista, invece, ha fatto peggio. Ha smesso di parlare di diritti sociali e ha iniziato a parlare solo di diritti individuali. Ha trasformato l’emancipazione in una questione privata. Ha lasciato i quartieri popolari soli, spiegando loro che la sicurezza è una parola di destra. Ha delegato tutto: al mercato, alla burocrazia, al tempo. E intanto farfuglia. Farfuglia quando si parla di salari, di case, di servizi. Farfuglia soprattutto quando si parla di ordine, di limiti, di responsabilità.
E poi c’è il grande spauracchio: il populismo.
Populista? Sei un populista? Come se fosse un insulto. Come se ascoltare il popolo fosse una colpa. Ma chi dovrebbe ascoltarlo, se non la politica? I tecnici? I mercati? I commissari? Certo che serve populismo. Populismo vero. Non quello urlato, televisivo, da becera campagna elettorale. Ma quello che parte dai bisogni materiali, dalla vita concreta, dal conflitto sociale.
Fa paura perché rimette in discussione i rapporti di forza. Fa paura perché parla di salari, di welfare, di sovranità democratica. Fa paura perché non accetta che tutto sia deciso altrove.
Non è un caso che esperienze come il Bündnis Sahra Wagenknecht in Germania, La France Insoumise in Francia, o alcune parti del Movimento 5 Stelle in Italia vengano isolate e ridicolizzate. Meglio un populismo finto che un popolo vero.
Arriviamo alla sovranità. Altra parola sporca. Sovranismo, dicono, come se fosse automaticamente nazionalismo etnico, chiusura, barbarie. Ma la sovranità, in fondo, è una cosa semplice: decidere. Decidere sul lavoro, sui confini, sulla sicurezza, sull’economia. Quando rinunci a decidere, non diventi più civile ma più debole.
L’Unione europea, incapace di garantire sicurezza sociale, prova a ricostruirsi una legittimità altrove. Spostando lo sguardo fuori. Costruendo il nemico. La Russia oggi, domani chissà. La guerra come collante. Il riarmo come grande progetto industriale. La paura esterna come antidoto al fallimento interno.
Nelle città la vita è sempre più dura, più incerta, più violenta; ci chiedono sacrifici per una guerra che non risolve nulla. Mentre i quartieri si svuotano di servizi, si riempiono di retorica woke. Mentre la politica arretra, avanza la tecnocrazia. E quando la tecnocrazia non basta più, resta solo il conflitto armato come orizzonte.
Alla fine rimane questo: un deserto politico. La destra che non può cambiare il modello e la sinistra che non vuole più rappresentare il popolo. Hanno ridotto la democrazia a procedura.
Non siamo in una crisi passeggera: siamo già nella fase successiva. Quella che arriva dopo la rappresentanza, dopo il conflitto sociale, dopo la politica intesa come mediazione e scelta collettiva.
Conflitti. La narrazione bellicista non può essere alimentata dal Colle
(Gianluca Ferrara – ilfattoquotidiano.it) – Il presidente Sergio Mattarella pare aver dimenticato le parole di Papa Francesco, che definì il riarmo una follia. Anche Papa Leone lo ha detto chiaramente: “È scandaloso riarmarsi per preparare la pace”. Quando Mattarella afferma che la spesa per dotarsi di strumenti militari efficaci, per quanto impopolare, oggi è necessaria, non sta facendo una riflessione neutra. Sta legittimando politicamente questa folle corsa agli armamenti. Sta dicendo che è giusta, che è inevitabile, che è il prezzo da pagare.
Le guerre non accadono mai per caso, sono pianificate e la narrazione bellicista serve per convincere i popoli che siano inevitabili. Questa narrazione è in perfetta sintonia con le imposizioni degli Stati Uniti e della Nato per aumentare drasticamente le spese militari. Ciò che dovrebbe inquietare è che si è individuato il nemico nella Russia: ma come si fa a sconfiggere un paese con 6000 ordigni atomici? Un paese che non vuole la guerra con l’Ue. Inoltre, Stati Uniti ed Europa rappresentano circa il 10% della popolazione mondiale, ma concentrano oltre il 60% della spesa militare globale. La Nato, nel suo complesso, spende circa 10 volte di più della Russia in armamenti. E allora di cosa stiamo parlando esattamente, di difesa, o di una corsa agli armamenti che non ha più alcuna proporzione con la realtà?
Il ruolo del Capo dello Stato non dovrebbe essere quello di alimentare la narrazione bellica, bensì di mantenere aperto uno spazio di equilibrio, di mediazione, di de-escalation. Il presidente della Repubblica non è un analista strategico, è il custode della Costituzione che all’articolo 11, ripudia la guerra. Il compito del Capo dello Stato dovrebbe essere quello di rompere il meccanismo della corsa agli armamenti, non di accompagnarlo con parole rassicuranti, non di spingere verso la polarizzazione.
Sandro Pertini, da presidente della Repubblica, affermava che la pace non si difende con le armi, ma con la giustizia sociale. Ripeteva che i popoli necessitano di lavoro, di dignità, non di cannoni. Pertini usava il suo ruolo per alzare la voce contro la guerra, non per normalizzarla. La storia insegna che le guerre non cominciano all’improvviso. Iniziano quando le armi entrano nella normalità del discorso pubblico, quando nessuno spezza più il meccanismo. Chi rappresenta i valori fondamentali del Paese dovrebbe essere il primo a farlo.
Gianluca Ferrara
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Paragonare Pertini a Mattarella è una colossale bestemmia!
Mattarella probabilmente sta ancora ringraziando chi lo ha fatto ri-eleggere e probabilmente le sue dichiarazioni non sono farina del suo sacco.
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Standing ovation!!!
👏🏻👏🏻👏🏻👏🏻👏🏻👏🏻👏🏻
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“..Sahra Wagenknecht in Germania, La France Insoumise in Francia, o alcune parti del Movimento 5 Stelle in Italia..”
Questi signori facciano gruppo e cerchino di riempire piazze, magari assieme.
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Quella delle armi è l’industria con il più alto fatturato al mondo, più della droga, avranno la possibilità di comprarsi (o di “convincere”) chiunque, o no!!?
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