(Giuseppe Gagliano – lafionda.org) – C’è un’Europa che predica bene quando deve punire i deboli e razzola malissimo quando deve obbedire ai forti. È la stessa Europa che ieri spiegava ai greci, agli italiani, agli spagnoli e ai portoghesi che “non ci sono pasti gratis”, che il debito è peccato mortale e che la spesa pubblica è un vizio da estirpare con lacrime, sangue e tagli lineari. Poi, d’improvviso, scopre il debito comune. Ma guarda un po’. Non per salvare pensioni, sanità o scuola. No. Per la guerra.

Novanta miliardi all’Ucraina, chiamati prestito per educazione semantica, ma concepiti come denaro a fondo perduto. Un’operazione presentata come prudente solo perché, per ora, si rinuncia a mettere le mani sugli asset russi congelati, cioè a compiere apertamente un’espropriazione che farebbe impallidire qualsiasi manuale di diritto internazionale. Il punto però non è la prudenza: è l’ipocrisia.

Perché questa stessa Unione, a trazione tedesca, ha costruito la propria identità politica sull’austerità come virtù morale. I Paesi del Sud erano spreconi, pigri, inaffidabili. I famosi PIIGS, l’insulto trasformato in categoria economica ufficiale. A loro niente eurobond, niente solidarietà, niente flessibilità. Dovevano espiare. Oggi, invece, gli eurobond diventano improvvisamente accettabili, persino urgenti, purché servano a finanziare una guerra senza sbocco politico, con livelli di corruzione mai realmente affrontati e rischi sistemici che nessuno osa più nominare.

Nel frattempo ai cittadini europei si dice che bisogna stringere la cinghia. Pensioni troppo costose, sanità insostenibile, welfare da ridimensionare. Però il debito, quando serve a comprare armi o a sostenere Kiev, non è più un problema: diventa un dovere morale. Un miracolo contabile che trasforma l’austerità in carta straccia e la coerenza in un optional.

Il risultato è sotto gli occhi di tutti: un’Unione europea più divisa, politicamente esausta, prigioniera delle proprie contraddizioni. Un’Europa che ha rinunciato a qualsiasi ruolo diplomatico e si limita a fare il bancomat e il megafono. La pace non è nemmeno più un obiettivo: è un fastidio, una parola sconveniente, quasi sospetta.

Il vero vincitore, manco a dirlo, è Washington. Che osserva compiaciuta un continente che si indebolisce da solo, socializza i costi, privatizza le conseguenze e si convince pure di stare difendendo la democrazia mentre smonta la propria. A rappresentarlo, una classe dirigente che scambia la fedeltà atlantica per statura politica e l’obbedienza per coraggio.

Così l’Europa continua a consumare i pochi beni residui che le restano: credibilità, consenso sociale, capacità di visione. E lo fa nel nome di una guerra che non sa come finire, ma che sa benissimo come pagare. Con il conto, come sempre, presentato agli stessi.