L’attacco preventivo è sempre stato il sogno nascosto dei nostri ammiragli e generali. Perché aspettare? Ci vuole qualcuno che inizi

(Luciano Casolari, Medico psicoanalista – ilfattoquotidiano.it) – Capisco la frustrazione degli ammiragli e dei generali che da quarant’anni si preparano alla guerra e che vedono il rischio che la trattativa di pace allontani la tanto agognata possibilità di dimostrare il loro valore. Non è che dovranno andare in psicoterapia per affrontare la loro frustrazione?
Che sfortuna! Mi metto nei loro panni. Sarebbe come se un medico studiasse per tanti lustri come curare per non avere mai un paziente. Tutti sani per fare un dispetto ai medici. Siamo capitati in un’epoca strana in cui molte persone, quelli che ora hanno circa meno di 80 anni, non hanno attuato una bella guerra totale. Nelle epoche precedenti più o meno ogni generazione aveva la sua in cui mostrare preparazione e determinazione. E’ vero che l’Italia con la scusa delle attività “umanitarie” ha contribuito a bombardare i suoi vicini in Jugoslavia e Libia che ora, grazie a questa nostra bontà d’animo, sono ex nazioni. E’ vero che abbiamo partecipato come comparse in tante altre guerre nel mondo, ma vuoi mettere quella “vera” con un nemico “vero” e non con dei poveri cristi senza difese da bombardare?
Finalmente in questi anni le aspirazioni dei nostri ammiragli e generali potrebbero essere esaudite. Ci si mette in mezzo la riluttanza dei plutocrati a rischiare di perdere tutto. Costoro vogliono vendere, arricchirsi, speculare sulla guerra; ma di fronte alla possibilità che questa li coinvolga in prima persona si tirano indietro. Fomentano le guerre lontano da casa, ma quando arrivano a lambirli desistono. Vili! Per questo occorre fare delle belle dichiarazioni in cui si auspica l’inizio della guerra con un attacco preventivo.
L’attacco preventivo è sempre stato il sogno nascosto dei nostri ammiragli e generali. Perché aspettare? Ci vuole qualcuno che inizi. Tanto si sa che la propaganda, una volta in guerra, sarà tale da affermare che c’erano tutte le ragioni per sferrare il primo colpo. Tre soldati sono già sconfinati calpestando il nostro sacro suolo; questo è certamente un motivo più che valido! Il nemico, brutto e cattivo, come verrà descritto dagli organi di informazione dopo l’inizio del conflitto, è un orco disumano che sicuramente aveva già in mente di sferrare lui, l’attacco preventivo.
Quindi prima che lui attacchi preventivamente è doveroso che noi attacchiamo ancor più preventivamente. Tra l’altro siamo sicuri che i generali e gli ammiragli dall’altra parte, tra i nemici, non stiano già preparando un attacco molto ma molto più preventivo del nostro? Finora le dichiarazioni sono mitigate da aggettivi che sminuiscono un poco la portata di questi attacchi. L’attacco potrebbe essere ibrido, asimmetrico o altro. La sostanza però non cambia. L’importante è che si inizi a menare le mani. Le mani saranno di poveri soldati che senza alcuna preparazione sulla guerra vera verranno mandati al fronte. I nostri ammiragli e generali rimarranno seduti alle loro poltrone a pianificare nuovi assalti, ritirate, perdite “accettabili” anzi “necessarie” per avere un poco di gloria e un posto nella storia.
Ottanta anni di pace hanno fiaccato le menti rendendo le persone mosce. Tutti pensano alle vacanze di Natale, ai regali, ai baci e agli abbracci fra amici, senza stare a rimuginare sui nemici che devono essere colpiti ora preventivamente. Qualche politico prova a scuotere le coscienze dicendo che “dobbiamo esser pronti a sacrificare i nostri figli” ma i più pensano al panettone. Fortunatamente la più alta carica dell’Unione europea, teutonica, donna in controtendenza con sette figli (altro che tutte quelle smidollate che non producono prole per la patria) afferma che dobbiamo prepararci alla guerra. Peccato che non conti molto e che le persone pensino solo al cenone di Capodanno.
Questo buonismo prenatalizio ci rende smidollati, incapaci di reagire. Pensiamo solo a dare baci ai nostri figli e genitori mentre dovremmo rimuginare su come rifilare qualche sganassone ai nemici. Questo Gesù poi era un perdente che invece di incenerire i suoi avversari con una bella bomba ha lasciato che prosperassero. Verso i 20 anni avrebbe dovuto distruggere tutti quelli che non la pensavano come lui. Questo è quello che dovrebbe fare un Dio che si rispetti!
Per l’attacco preventivo occorre fare presto, prima che le elezioni in alcuni paesi non portino al potere persone vili che vogliono evitare la guerra e colludono col nemico. Quindi daje!
Articolo fuori tempo massimo, o male indirizzato: attualmente, la dottrina della guerra preventiva sembra essere passata di moda in Occidente, ma si sa che le mode vanno, vengono e girano, nel mondo globalizzato.
Da qualche tempo accade che tale moda abbia preso piede nel più grande Paese del mondo, e così capita che la grande fortuna di non rischiare d’incorrere nella frustrazione, che (Dio non voglia) potrebbe portare alla psicoterapia, al momento stia toccando a quei fortunelli dei generali russi; tuttavia, si tratta di un genere di fortuna che può essere soggetta a qualche inconveniente tecnico:
Però, guardiamo il lato positivo: Sarvarov il problema della psicoterapia per la frustrazione non ce l’avrà mai.
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Per affrontare la loro frustrazione, preventivamente, sarebbe opportuno metterli in celle bianche e ben imbottite.
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Nelle epoche precedenti più o meno ogni generazione aveva la sua in cui mostrare preparazione e determinazione.La partecipazione nel biennio 1900-1901 di un contingente militare italiano alle operazioni per la repressione della rivolta dei Boxer in Cina è stata ampiamente analizzata dalla storiografia militare sia per quel che riguarda il ciclo operativo sia per alcuni aspetti particolari come quello uniformologico. Manca tuttavia uno studio dettagliato sulle vicende politico-parlamentari connesse alla rivolta dei Boxer, ovvero sulle reazioni della politica italiana di fronte agli episodi chiave – o come tali percepiti – della campagna internazionale in generale e del Corpo di Spedizione italiano in Cina in particolare. Occorre quindi indagare su quali furono le reazioni dei parlamentari rispetto alla rivolta dei Boxer e quanto dette reazioni fossero ispirate dagli organi di stampa e, più in generale, dall’opinione pubblica.Alla vigilia della spedizione cinese l’Italia aveva radicalmente cambiato la propria politica coloniale: se fino al 1896 l’espansionismo era stata la linea dominante, dopo Adua Roma aveva optato per un periodo di “raccoglimento” che sembrava aver messoAntonio di Rudinì (sx) e Francesco Crispi (dx) i due poli della politica coloniale italianaBersaglieri italiani alla Grande Muraglia durante la spedizione di Calgan.jpgfine ai piani dei più convinti assertori dell’africanismo. Il successore di Francesco Crispi, il conservatore siciliano Antonio Starabba di Rudinì, stipulò il trattato di pace con l’Impero d’Etiopia (26 ottobre 1896) e cedette Cassala ai britannici (dicembre 1897) dopo una violenta crisi diplomatica con Londra dovuta alla pubblicazione, non concordata, di documenti diplomatici riservati delle trattative intercorse tra le due capitali nel “Libro Verde” relativo alla questione abissina. Il fronte anti-coloniale ottenne così la sua rivincita sul “crispismo” ed ai più pareva impossibile che l’Italia potesse imboccare nuovamente, in un futuro prossimo, la via dell’espansione.Il disastro di Abba Garima aveva influito anche sui bilanci militari: se gli anni ’80 erano stati contrassegnati dalla dilatazione delle spese militari con una corposa disponibilità economica per i programmi d’ammodernamento, nel decennio successivo – anche a causa della crisi finanziaria dello Stato – si era passati ad una contrazione degli investimenti. Il ministro della Guerra, generale Cesare Ricotti Magnani – che già aveva ricoperto la carica con alterni risultati nel 1870-1876 e nel 1884-1887 – accettò i tagli imposti dal di Rudinì; il suo successore, un uomo della “sinistra monarchica”, il generale Luigi Pelloux, tentò di arginare la politica della “lesina” dirudinana applicata anche ai bilanci militari ma potè fare poco di fronte alle montanti correnti dell’opinione pubblica per le quali al blocco della politica coloniale corrispondeva necessariamente una diminuzione radicale delle spese per le Forze Armate. A rendere ancora più acuta la crisi arrivarono i moti del 1898 repressi nel sangue dall’Esercito – famoso restò l’ordine del generale Fiorenzo Bava Beccaris a Milano di cannoneggiare la folla – che, se politicamente ed istituzionalmente garantì così la tenuta dello Stato unitario, culturalmente aprì una spaccatura profonda tra la società civile e quella con le stellette.
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L’Italia uscita dalla seconda guerra mondiale era un Paese distrutto e diviso. In tanti decisero di fuggire dalla fame o dall’incubo di una guerra persa o di una rivoluzione mancata. Reduci della RSI, che volevano lasciare un’Italia in cui non si riconoscevano, ex partigiani che avevano abbandonato la Patria per motivi simili, anche se ideologicamente opposti, poveri in fuga dalla fame e in cerca di lavoro. Sono le storie degli italiani della Legione Straniera francese, andati a combattere e morire in Indocina. Oltre 7mila italiani hanno combattuto in Vietnam, tra il 1946 e il 1954. 1.300 sono morti in azione, per ferite o malattie; centinaia sono rimasti invalidi, mutilati o con disturbi post traumatici, oppure sono sopravvissuti ai campi di prigioni viet.
http://www.instoria.it/home/truppe_italiane_vietnam.htm
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