Il rischio del conflitto nell’ora dei sonnambuli

(di Lucio Caracciolo – repubblica.it) – Ci sono tre modi di finire in guerra. Volerla, subirla o slittarci dentro senza accorgersene. Per noi italiani valgono la seconda e la terza variante. Ottant’anni di fortunosa amnesia strategica sotto l’ala americana ci hanno disabituato a ragionare sul male estremo. L’invasione russa dell’Ucraina è stata uno shock relativo, nell’illusione che non ci riguardasse direttamente. Dopo quasi quattro anni cominciamo ad accorgerci che ci riguarda eccome.

Mentre gli americani sono impegnati a evitare di finire in guerra con sé stessi, i cinesi sfruttano le difficoltà della Russia per penetrarla e i “volenterosi” europei si preparano allo scontro con Mosca, noi siamo trascinati dalla corrente che porta alla cascata ultima: la guerra in Europa. Come invertirla?

Il nostro destino non è nelle nostre mani. Oggi tutti, chi più chi meno, sono nelle mani di nessuno. Succede quando tramonta un’egemonia senza che ne subentri un’altra. Siamo nel momento di massima incertezza, che potrebbe durare anni o decenni. Nell’ora dei sonnambuli cresce il rischio di trovarci inghiottiti nella pancia di un conflitto scatenato per accidente o follia.

Colpisce che in questo trambusto i soggetti più deboli e più esposti all’allargamento del conflitto di Ucraina, anche solo agli effetti della sua continuazione a tempo indeterminato, non siano in grado di elaborare una strategia per contenerlo e sedarlo. Né gli italiani né altri europei dispongono di un piano di tregua, che chiameremo pace. Non è certo tale lo slogan della “pace giusta”, l’altro nome della guerra infinita. Né abbiamo tempo e risorse per mettere le nostre Forze armate in condizione di esercitare una seria deterrenza, per la quale contavamo fino a ieri sulle basi Usa. Oggi non sappiamo quale sarebbe la reazione americana a un attacco russo o di chiunque altro ad Aviano, Vicenza o Ghedi. Temiamo non lo sappiano nemmeno a Washington, dove si combatte il “nemico di dentro”. Preoccupa la retorica bellicista, tanto più paradossale data l’impossibilità di vincere qualsiasi guerra vera. Soprattutto perché al nostro “bastone” che non spaventa i russi né rallenta l’erosione di ciò che resta dell’Ucraina si accompagna il sonno della diplomazia. I negoziati separati di Trump con Zelensky (sull’Ucraina) e Putin (qui l’Ucraina è nota a piè di pagina) non frenano l’offensiva russa né il disastro ucraino, con cui faremo i conti per un paio di generazioni. Possibile che Roma, magari d’intesa con la Santa Sede e/o altri, non sia interessata a offrire ai belligeranti uno spazio protetto per avviare un negoziato diretto e segreto? La pace si fa tra nemici o non si fa.

L’inerzia è contro di noi perché spinge russi, ucraini e “volenterosi” verso la guerra totale. Diversi europei sono certi che i russi stiano per attaccarli, e viceversa. Le rassicurazioni verbali non convincono nessuno.

Rieccoci al “dilemma di Crowe”: il pericolo deriva dalle capacità o dalle intenzioni dell’avversario? Siamo nel 1907. Allarmata dal colossale riarmo navale tedesco Londra si chiede se annunci l’imminente assalto della Germania al suo impero oppure sia solo conseguenza della formidabile crescita industriale e tecnologica del Reich. Sir Eyre Crowe, alto dirigente del Foreign Office, nato a Lipsia da madre tedesca e padre britannico, educato a Düsseldorf e a Berlino, non richiesto produce per il suo ministro un memorandum che resterà nella storia della diplomazia inglese. Secca la tesi: il Reich punta al primato navale per assurgere a egemone mondiale. Indipendentemente dalla volontà del Kaiser. In formula: la capacità crea l’intenzione. Il dilemma è sciolto sul nascere. Ergo, prepariamoci alla guerra.

Aggiorniamo Crowe. A prescindere dalle intenzioni e dalla logica, la militarizzazione dell’economia russa può in futuro spingere Mosca a invadere altri paesi europei? A Varsavia, Stoccolma o Vilnius, in minor misura a Berlino e a Parigi, la risposta è positiva. Per costoro gli ucraini devono continuare a combattere per indebolire i russi e limitare le proprie future perdite. A Oslo alcuni osservano che la ricostruzione dell’Ucraina costerebbe il doppio del prezzo pagato per sostenerne la resistenza. Sull’altro fronte, i “falchi” non vogliono arretrare di un pollice per ragioni eguali e contrarie. Mutua distruzione assicurata: ieri deterrente, oggi attraente?