Così gli arabi israeliani sono al bivio del futuro

(ANNA FOA – lastampa.it) – Tra Israele e Palestina non c’è pace e, seppur limitati di numero rispetto al periodo che precede la tregua di ottobre, molti sono ancora i palestinesi che muoiono sotto i colpi dell’esercito israeliano nella striscia di Gaza, mentre la situazione in West Bank peggiora ogni giorno, sotto l’aggressione congiunta di coloni ed esercito. L’attenzione in Israele si è però in gran parte spostata, dalla guerra, alle elezioni che dovrebbero tenersi nell’autunno prossimo.

Riuscirà l’opposizione a scalzare Netanyahu e il suo governo di estremisti? E ove ci riuscisse, questo comporterebbe un reale cambiamento nella politica israeliana, o solo un ammorbidimento dei suoi aspetti estremi e contrari a ogni legge e ogni umanità?

Nelle ultime settimane l’attenzione si è spostata in particolare sugli arabi israeliani. Sono oltre il 20% dei cittadini israeliani, votano e possono essere eletti al parlamento, sono organizzati in partiti non esclusivamente arabi, come Hadash, e hanno teoricamente gli stessi diritti (o quasi) dei cittadini ebrei. Essi sono rimasti però in gran parte silenti nel corso degli ultimi due anni, senza rispondere alle sollecitazioni alla rivolta fatte loro da Hamas ma anche senza impegnarsi a fondo, in generale, nella battaglia contro il governo.

Molti i motivi di questo scarso impegno: sono molto più degli ebrei ricattabili ed esposti a repressione giudiziaria e politica. Molti di loro hanno perso il lavoro dopo il 7 ottobre, oltre a risentire anche dello stigma sociale che li ha colpiti in questi due anni di aumento esponenziale del razzismo e della diffidenza nei loro confronti. Negli ultimi mesi, però, le organizzazioni congiunte di ebrei e palestinesi che lottano contro la politica di Netanyahu hanno molto esteso il numero dei loro aderenti anche fra gli arabo-israeliani.

In particolare quella che è oggi l’organizzazione più ampia, Standing together, i cui attivisti si sono molto impegnati nel sostegno ai palestinesi del West Bank contro le aggressioni dei coloni, e che sembra ora, almeno secondo la stampa di opposizione israeliana, far emergere figure di spicco nel panorama elettorale del prossimo anno.

Sono figure nuove, di giovani, che nascono non dalle diatribe dei partiti ma dall’impegno civile, spesso rischiosissimo, sul campo. La più significativa oggi di queste figure è Alon-Lee Green leader ebreo di Standing together, il cui programma politico mira ad allargare il più possibile le adesioni dei palestinesi e a creare un vasto movimento politico dal basso misto di ebrei e palestinesi.

Il voto dei cittadini arabo-israeliani si prefigura così, anche secondo i più recenti sondaggi, come decisivo per determinare una vera e propria svolta nelle prossime elezioni e non solo un maquillage di facciata.

I problemi sono evidentemente enormi. C’è molta diffidenza, fra i deputati stessi palestinesi della Knesset che non hanno avuto un gran sostegno dall’opposizione ebraica, sulla effettiva recezione dei loro partiti dentro l’opposizione, e il timore che dopo aver vinto le elezioni grazie a loro si possa metterne da parte le aspirazioni politiche e i programmi.

Dall’altra parte, anche nell’opposizione a Netanyahu ci sono forti esitazioni a formare un fronte unito con i palestinesi. Si preferisce, è stato detto, un fronte “sionista” contro Netanyahu. Sono due opposte paure che esprimono alla perfezione le paure della società, anche di quella che combatte l’estrema destra di Netanyahu.

Da parte palestinese sono soprattutto diffidenze, basate però su solidi precedenti. Da parte ebraica, più che di paure possiamo forse parlare di chiusura. Un accordo che non si limiti al momento elettorale per far entrare davvero i palestinesi nella sfera della politica – il che vuol dire risolvere il problema dell’occupazione e quello dello Stato palestinese – sembra loro urtare contro le ragioni stesse della nascita col sionismo di uno “Stato degli ebrei”. E ancora, il governo, consapevole del rischio, sta mettendo in moto proposte di legge e disposizioni per controllare e limitare al massimo la partecipazione degli arabi israeliani alle prossime elezioni.

Possiamo solo sperare che i dati dei sondaggi abbiano ragione delle paure degli uni e dei pregiudizi degli altri. E che sia un accordo tra ebrei e palestinesi, convinti che le speranze degli uni possono realizzarsi solo insieme a quelle degli altri – a spazzar via gli orrori di questi ultimi due anni e la crisi profonda dei due ultimi decenni, e ad aprire a una vera pace.