Guerra e politiche di difesa, questa è l’ora delle scelte. Eppure l’Europa tentenna. Mentre la Russia annuncia che i missili supersonici Oreshnik sono stati schierati in Bielorussia, mentre rulli di tamburi e fanfare di battaglia accompagnano la volontà di continuare il conflitto per raggiungere gli scopi dell’ “operazione militare speciale” se questi non verranno riconosciuti da una trattativa di pace, a Bruxelles incoscientemente si balla sul Titanic

(Gigi Riva – editorialedomani.it) – Ora che la diplomazia si è messa in moto, pure troppo, e sta dimostrando tutta la sua plastica impotenza, con summit che si susseguono a ogni longitudine, annunci di progressi che non si concretizzano, ripartenze, colloqui a due a tre a quattro ma senza mai che ci siano coloro che possono decidere, ora che succede tutto questo, dunque, l’Europa avrebbe l’obbligo di chiedersi chi è, cosa vuole rappresentare, quanto vuole contare.
Perché se è vero che Donald Trump non ce la fa a stare dietro al suo vacuo ottimismo e si infrange continuamente contro lo scoglio-Putin, la prova di sconcertante inconsistenza che sta offrendo l’Unione europea dovrebbe suonare come un sinistro campanello d’allarme sulla sua stessa sopravvivenza. Del resto si è spesso detto in questi anni di conflitto in Ucraina che “qui si fa l’Europa o si muore”.
Il presupposto aveva nel sottofondo un pensiero positivo. Anche in passato i (pochi) passi fatti verso l’integrazione del Vecchio Continente, erano stati spinti da situazioni emergenziali.
La globalizzazione aveva provocato l’idea meravigliosa dell’euro (senza il quale gli interessi sul nostro debito pubblico sarebbero stati incontrollabili), le crisi economiche i parametri di Maastricht, la libertà di movimento di industrie e cittadini.
Davanti alla sfida della guerra e delle minacce alle porte, erano la politica di difesa e quella estera le indiziate di un’accelerazione sulla via della cessione di quote di sovranità in nome di un progetto ambizioso che evitasse la retrocessione nell’irrilevanza.
Niente è successo nonostante i proclami, niente continua a succedere e la cartina di tornasole di una perniciosa frammentazione è emersa con chiarezza al Consiglio europeo. Dove i vari paesi hanno continuato a battibeccarsi come i polli di Renzo, mentre la storia cammina spedita per finire nelle mani del G3 (Stati Uniti, Cina e Russia) che si propone come dominatore del secolo ventunesimo. Il Vecchio Continente, un vassallo di qualcuno se non una colonia. Un briciolo di tempo per cambiare la geometria da triangolo a quadrato di potenze ci sarebbe ancora. Non se ne vede la volontà.

L’Europa è spaccata tra Stati, ed è spaccata all’interno degli Stati che a forza di coltivare dei supposti piccoli interessi di bottega, finiscono per scordare il quadro generale che imporrebbe ben altra postura.
Così mentre la Russia annuncia che i missili supersonici Oreshnik sono stati schierati in Bielorussia, mentre rulli di tamburi e fanfare di battaglia accompagnano la volontà di continuare il conflitto per raggiungere gli scopi dell’ “operazione militare speciale” se questi non verranno riconosciuti da una trattativa di pace, a Bruxelles incoscientemente si balla sul Titanic. Donald Tusk ammonisce che c’è da scegliere tra i soldi (dei beni congelati alla Russia) oggi «o il sangue domani», manca poco che l’ineffabile Viktor Orbán gli dia del cretino: si limita a definire stupida la proposta.
Salvini si traveste da spalla di supporto all’amicone ungherese e bolla come inqualificabili le parole di Tusk. Il governo italiano nella sua totalità non sa che pesci pigliare e si guarda attorno spaurito per annusare l’aria che tira, al solito indeciso tra fedeltà atlantica e fedeltà uralica, mentre Merz si dice pronto a usare il patrimonio della Banca centrale russa immobilizzato in Germania. Tutti in ordine sparso, l’unanimità è un sogno che si tramuta, al solito, in un incubo. Forse per salvare faccia si produrrà un comunicato edulcorato che smussa ogni angolo: completamente inutile.
Da chiedersi, alfine, se non sarebbe l’ora di spezzare questo incantesimo che tutto tiene bloccato, finirla con il giorno della marmotta e decidere di rompere il tabù del consenso di tutti per andare avanti decisi con chi ci sta a una maggiore integrazione della difesa e della politica estera. Varando infine un’Europa a due velocità nella quale un satrapo locale non possa paralizzare un intero Continente. Questo non è il tempo dei signori Tentenna, questo è il tempo delle scelte.
Le sanzioni a Baud sono la morte civile della Ue

(di Elena Basile – ilfattoquotidiano.it) – Le sanzioni europee a Jacques Baud, politologo e analista del conflitto russo-ucraino, ex colonnello dei servizi svizzeri in pensione, sono un atto di una gravità assoluta che indica la trasformazione dell’Ue in un regime in grado di abolire le libertà costituzionali create nel Secondo dopoguerra.
Il silenzio sulla maggior parte dei media mainstream è inquietante. Il Consiglio di politica estera e di sicurezza, composto dai rappresentanti degli Stati membri e guidato dall’Alto Rappresentante, l’estone Kallas, ha congelato il 16 marzo i beni e i conti correnti di Baud al quale viene anche impedita la libera circolazione sul territorio europeo. Il potere esecutivo dell’Ue colpisce un cittadino svizzero, ex funzionario della Nat, per avere analizzato il conflitto russo-ucraino nei suoi numerosi libri in maniera non allineata alla narrativa occidentale, basata sulla negazione dei fatti accaduti. Non è un organo giudiziario che dopo avere accertato i fatti e ascoltato la difesa di Baud condanna l’imputato alle sanzioni. È un organo esecutivo che colpisce un cittadino inerme senza dargli alcuna possibilità di difesa. A chi dovrebbe ricorrere Baud? Alla Corte europea per vedere rispettati i suoi diritti individuali cancellati dalle istituzioni europee? La Corte era stata in effetti concepita per proteggere a nome dell’Europa i cittadini europei contro il potere nazionale. Siamo chiaramente in una situazione tragicomica.
Jacques Baud insieme agli statunitensi Jeffrey Sachs e John Mersheimer era un punto di riferimento per coloro che cercavano fonti libere e attente sul conflitto russo ucraino. La Kallas intende mettere sotto sanzione anche Sachs e Merasheimer? Non vi è nulla di quanto affermato da Baud che non sia patrimonio comune di tanti altri analisti, inclusa la sottoscritta, autori di questa testata. L’accusa di essere un propagandista russo dovrebbe essere basata su accertati legami dell’analista con il Cremlino. Si è propagandisti quando si ricevono fondi e prebende dal potere. Situazione consona piuttosto a quella vissuta da accademici e giornalisti, che scrivono sui giornali più letti e dal loro allineamento alla propaganda europea e Nato, che ricevono oggettivi favori in termini di visibilità e carriera. Essere un propagandista significa affermare che la guerra in Ucraina è stata provocata dall’Occidente e ideata a partire dal 1997, anno in cui venne sostituita l’Osce con la Nato? Che lo affermi anche Putin (non ho idea se lo faccia o meno) non significa a priori che la ricostruzione non sia vera e comunque meritevole di attenzione. Jacques Baud è accusato di teorie cospiratrici in quanto ha riferito le dichiarazioni di Oleksij Arestovich, consigliere di Zelensky, il quale prima che scoppiasse la guerra aveva già affermato che l’ingresso nella Nato sarebbe avvenuto in virtù di una guerra con la Russia. Come sappiamo, gli stessi giornalisti del New York Times hanno scritto che a partire dal 2014 gli anglosassoni hanno addestrato, armato e reso compatibile con la Nato l’esercito ucraino. Povero paese ostaggio, poveri ragazzi ucraini costretti a combattere perché il loro paese non poteva essere come l’Austria o la Svizzera, un Paese neutrale! Si è quindi propagandisti russi se si affermano verità storiche e si ha la sfortuna che le stesse siano illustrate anche dal Cremlino? Ma se anche Baud avesse simpatie ideologiche per la Russia (cosa che non ha senso in quanto Mosca non è più il rivale ideologico, faro del comunismo internazionale) e fosse portato a scrivere libri critici verso la narrativa occidentale, non sarebbe nel suo pieno diritto di esprimere liberamente il proprio pensiero? L’Ue considera quindi morte le libertà costituzionali. Siamo entrati in uno Stato di eccezione che abolisce i diritti individuali e le garanzie iscritte negli stessi trattati europei? Il presidente Mattarella dovrebbe spiegare agli italiani quando è stata dichiarata la guerra alla Russia e con quale coinvolgimento del Parlamento. Dovremmo tutti autodenunciarci come traditori della Patria per non pensarla come Parsi e Camporini? Come Mieli e Panebianco? Che vengano stabiliti campi di rieducazione per i liberi pensatori non omologati! Abbiamo almeno il diritto di capire cosa è possibile e cosa non lo è più? Saremo schedati se assistiamo a un concerto russo o se assistiamo a una conferenza all’ambasciata russa? Stefan Zweig nel Mondo di ieri ci racconta come alla vigilia della Prima guerra mondiale l’odio dei francesi verso i tedeschi e viceversa fosse arrivato a tal punto che non era più possibile leggere i libri del paese considerato nemico. Piccola feroce umanità che ripete gli stessi crimini. In Approdo per noi naufraghi analizzo il deficit di legittimità democratica dell’Ue, la mancanza di divisione dei poteri, la transizione delle oligarchie liberali verso l’autoritarismo. Siamo tutti in pericolo.
I social sono pieni di gente che inneggia alla leva obbligatoria senza capirne le conseguenze. Non c’è speranza di far comprendere anche cose basilari come l’autoconservazione. Che strazio.
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