La violenza e le minacce di Usa e Russia rischiano di far implodere il nostro mondo. Questo è il momento per giocarsi il futuro dimostrando che la pace, la giustizia sociale e i diritti possono ancora fare la differenza

La bandiera dell’Europa simbolo dell’Unione nata nel 1955 per volere del Consiglio d’Europa. Nella foto una manifestazione in piazza del Popolo a Roma

(ANNA FOA – lastampa.it) – I recenti attacchi di Trump e del suo vice all’Europa e all’Unione Europea, di cui Vance auspica lo scioglimento puro e semplice, ci pongono seri interrogativi sulle ragioni di questo conflitto nuovo e in fondo inaspettato tra il vecchio e il nuovo mondo. Si tratta soltanto delle posizioni della destra americana, riunita intorno a Trump, e ci possiamo quindi aspettare che un cambiamento politico negli Stati Uniti, magari già dopo le elezioni di mid term del prossimo anno, riassorba il dissidio, o si tratta di un conflitto indicatore di una divergenza profonda, emersa soltanto ora alla luce del giorno?

Che vi siano motivazioni politiche ed economiche serie a determinare questi attacchi, è stato detto giustamente da molti commentatori. Vorrei qui invece affrontare il tema delle loro motivazioni culturali ed ideologiche, su cui già il direttore di questo giornale si è soffermato in un suo recente editoriale. Quali sono infatti le radici ideologiche dell’Europa di oggi, quella dell’Unione Europea, quella che è emersa vincitrice, con l’aiuto dell’America di Roosevelt, dal secondo conflitto mondiale e dall’incubo di un’Europa dominata dalla svastica nazista? Non possiamo non pensare alla vittoria della democrazia, almeno nell’Occidente europeo, all’idea di un mondo che eliminasse dalle sue prospettive nuove guerre, che diminuisse le disuguaglianze, che considerasse tutti gli esseri umani uguali, indipendentemente dalla loro religione, dalle loro idee e dal colore della loro pelle. Un mondo basato sul diritto e non sull’uso della forza.

Certo, l’Europa non ha realizzato questi obiettivi, ma non ha finora mai rinunciato ai principi a cui si ispiravano. Principi che traevano origine da radici che abbiamo in comune con gli Stati Uniti, il pensiero liberale, l’Illuminismo, l’esercizio del dubbio rispetto alla prepotenza del fanatismo. Principi, certo, anche questi, non sempre realizzati, come dimostrano il genocidio dei nativi americani, il fanatismo dei puritani e la caccia alle streghe, la schiavitù e la discriminazione razziale nelle Americhe, e nella vecchia Europa altri disastri immani, tra cui le guerre di religione, le guerre mondiali, l’Olocausto.

Sia pur a fatica, l’Europa si è risollevata dagli orrori del Novecento, e sembrava che anche negli Stati Uniti, con il riscatto dalla segregazione razziale e con la fine delle guerre seguite al 1945 ci si avviasse verso un mondo aperto all’uguaglianza e alla pace. Pace raggiunta in Europa per decenni, nonostante la Bosnia, proprio grazie all’Europa unita.

Che cosa è andato storto negli Stati Uniti per arrivare a rovesciare radicalmente questi principi, ad affermare come unico criterio quello della forza, ad anteporre la ricchezza dei miliardari alla giustizia sociale, a ridare importanza al colore della pelle, a rifiutare la scienza e la cultura? E potremmo continuare a lungo su questo drammatico elenco. E a rendere ancora più grande il baratro tra la vecchia Europa e questa America non sono forse proprio questi principi, a cui l’Europa non rinuncia nonostante gli alleati di Trump vi proliferino sempre più? Non vi rinuncia, credo, perché queste radici culturali e politiche sono troppo profonde per consentirlo, e perché troppe sono state finora le battaglie fatte per difenderle, da permettere a noi europei di cedere all’esaltazione della forza e della disuguaglianza, alla violenza e alla paura.

Ed allora ecco le minacce, minacce che vengono dall’America di Trump come dal suo omologo europeo, lo zar Putin. Ambedue terrorizzati dalla forza della legge e desiderosi di usare solo la legge della forza. Per questo, è non solo importante ma determinante per tutti noi europei sostenere l’Ucraina aggredita e combattere, anche, le spinte al razzismo e alla violenza indiscriminata che ci vengono da un Paese dove tanti europei hanno trovato rifugio e dove, anche, molto sembra essere andato storto. Per questo l’Europa deve impegnarsi a farlo con più forza, perché sono i due terreni, simili e non contrapposti, dove si gioca il nostro futuro. E dove, se non cediamo, possiamo anche dimostrare all’America di Trump che l’Europa è vecchia ma non è ancora morta.

I più seri sono i comici

(di Marco Travaglio- il Fatto Quotidiano) – L’unica speranza di riuscita dei negoziati sull’Ucraina è affidarli ai comici russi Vovan e Lexus, che già beffarono Meloni, Kissinger, Johnson, Erdogan, Merkel, Lagarde, Guaidó, Duda, Trudeau. Stavolta, spacciandosi per collaboratori di Zelensky, hanno sfruculiato Amanda Sloat, ex assistente di Biden e direttrice senior per l’Europa al Consiglio di sicurezza nazionale, sulle cause della guerra. E la sventurata ha risposto: “Anche prima della guerra abbiamo avuto conversazioni su cosa sarebbe accaduto se l’Ucraina si fosse fatta avanti nel gennaio 2022 per dire alla Russia: ‘Ok, non entreremo nella Nato, resteremo neutrali, se questo fermerà la guerra, l’invasione’. Avrebbe potuto benissimo farlo… Potevamo evitare una situazione del genere, abbiamo commesso qualche errore? Sì, se si vuole una versione alternativa della storia, una possibilità era quella”. Però “Biden non riteneva fosse suo compito dire all’Ucraina cosa fare… non perseguire l’adesione alla Nato”. Peccato che lì non si entri su richiesta dell’aspirante socio, ma su invito di chi lo è già (specie del primo: gli Usa). “Io ero a disagio con l’idea che gli Usa potessero spingere l’Ucraina a… dare implicitamente alla Russia una sorta di sfera d’influenza o potere di veto. Ma a tre anni di distanza viene un dubbio: era stato meglio farlo prima che iniziasse la guerra o nei colloqui di Istanbul? Di sicuro avrebbe evitato la distruzione e la perdita di vite umane… L’Ucraina avrebbe potuto raggiungere un accordo nel marzo-aprile 2022 a Istanbul. Ma c’erano opinioni diverse tra i nostri Paesi e l’apparato militare sulla controffensiva. Sotto Biden si sperava che Kiev avrebbe riconquistato del territorio e negoziato un accordo migliore. È andata come nessuno si augurava e ci sono diverse interpretazioni, in Usa e in Ucraina, sul perché le cose non abbiano funzionato”. Ma va?

Voi direte: il Fatto lo scrive da quattro anni. Già: ma chi osa scriverlo finisce nelle liste dei “putiniani” e ora anche sotto sanzioni Ue. Invece a dirlo è un’alta funzionaria dell’amministrazione Biden. Come tutti gli atlantisti quando credono di parlare in camera caritatis. La Meloni ora sostiene il piano Trump per un compromesso territoriale con Putin. Ma due anni fa scommetteva in pubblico sulla “vittoria dell’Ucraina” e legava la pace al ritiro incondizionato dei russi; ma in privato coi due comici dichiarava fallita la controffensiva e necessario un accordo con Mosca. E già nel 2022, in chat coi suoi, additava le colpe di Biden&C. Come Macron che, parlando off the record con Sachs, riconobbe le colpe della Nato. E la Merkel, che le ha messe nero su bianco nelle sue memorie. Se ora i comici russi fanno confessare anche i Volenterosi, poi il trattato di pace si scrive da solo.