Mosca frena sull’accordo di pace: nessuna concessione sul Donbass e chiusura totale sulle truppe Nato in Ucraina. No alla tregua di Natale

Ucraina, no di Mosca alle condizioni di pace Ue: chiusura totale su Donbass e truppe Nato

(di Raffaella Malito – lanotiziagiornale.it) – In attesa di un nuovo incontro, probabilmente nel fine settimana, tra Ucraina e Stati Uniti, la Russia frena l’entusiasmo di Stati Uniti, Europa e Kiev scaturito dai colloqui di ieri a Berlino. Mosca parla sì di progressi importanti, sostenendo che si è vicini a raggiungere un accordo, ma non cede sul Donbass, dice no alla tregua di Natale e ribadisce il suo veto alle truppe Nato in Ucraina.

Mosca frena sull’accordo di pace a Kiev

Il viceministro degli Esteri russo Sergej Ryabkov ha dichiarato in un’intervista esclusiva ad Abc News di ritenere che le parti in conflitto siano “sul punto” di raggiungere una soluzione diplomatica per porre fine alla guerra. “Siamo pronti a raggiungere un accordo”, ha detto Ryabkov, aggiungendo di sperare che un accordo venga raggiunto “il prima possibile”. Eppure le condizioni di Mosca non vengono meno.

Il Cremlino dice chiaramente che non accetterà alcuna presenza di truppe Nato sul territorio ucraino né è disposta a concedere nulla sui territori. Ryabkov spiega che Mosca non sottoscriverà, accetterà o sarà soddisfatta “di alcuna presenza di truppe Nato sul territorio ucraino”. E non accetterebbe la presenza di militari neanche come una garanzia di sicurezza.

Inoltre sottolinea che la Russia non farà concessioni sui territori contesi come Donetsk, Lugansk, Zaporizhzhia, Kherson e Crimea: “Non possiamo assolutamente scendere a compromessi”, dice. Il Cremlino respinge pure la proposta di una tregua di Natale avanzata dal cancelliere tedesco, Friedrich Merz, e sostenuta anche dal presidente ucraino, Volodymyr Zelensky.

I veti russi, l’ostinazione dei volenterosi

“Vogliamo la pace, non una tregua che dia sollievo agli ucraini e permetta loro di prepararsi a continuare la guerra”, afferma il portavoce del Cremlino Dimitry Peskov. Che sottolinea anche come non ci sia stata alcuna telefonata tra Donald Trump e Vladimir Putin dopo quella del 16 ottobre, contrariamente a quanto lasciato intendere dal presidente statunitense.

Nonostante i veti russi i leader dei Paesi che fanno parte della Coalizione dei Volenterosi hanno espresso la loro disponibilità a inviare forze di supporto in Ucraina come parte delle garanzie di sicurezza dopo la fine della guerra. Lo ha affermato il vice capo dell’ufficio del presidente dell’Ucraina, Ihor Zhovkva. Oltre “trenta Paesi” sono disposti a contribuire alle garanzie di sicurezza, ha spiegato Zelensky, ma “non tutti con le truppe”. Francia e Gran Bretagna sono pronti a scendere in campo mentre l’Italia si sfila.

Zelensky ha affermato che le proposte negoziate con gli statunitensi su un accordo di pace potrebbero essere finalizzate entro pochi giorni, dopodiché gli inviati americani le presenteranno al Cremlino. Il leader ucraino ha spiegato che il Congresso Usa deve votare sulle garanzie di sicurezza.

Nasce a L’Aja la commissione per risarcire i danni di guerra all’Ucraina

Intanto è nata la commissione internazionale per il risarcimento dei danni di guerra all’Ucraina: la convenzione istitutiva promossa dal Consiglio d’Europa è stata adottata a L’Aja. Il nuovo organismo dovrà quantificare i danni dell’invasione russa ed esaminare le richieste di risarcimento sulla base del registro dei danni che conta già oltre 86 mila segnalazioni. “Si tratta di un passo storico”, ha detto il segretario generale del Consiglio d’Europa Alain Berset. Il fondo per i risarcimenti verrà istituito nel 2026.

Domani intanto è previsto uno dei Consigli europei più difficili della storia recente comunitaria. Sul tavolo l’uso degli asset russi congelati. Ieri l’Eurocamera ha approvato, per alzata di mano, la richiesta di accelerare il processo legislativo relativo al progetto di legge per il prestito all’Ucraina basato sui beni di Mosca a seguito della decisione di applicare la cosiddetta procedura d’urgenza. Al momento, sull’uso dei beni di Mosca per finanziare l’Ucraina ci sono due Paesi contrari – Ungheria e Slovacchia – e cinque molto vicini ad esserlo (Italia, Malta, Bulgaria e Belgio della dichiarazione congiunta in cui si chiede di studiare soluzioni alternative più la Repubblica Ceca). L’Ungheria frena pure sull’adesione di Kiev nell’Unione europea.

Ucraina, Cacciari: “Ormai l’Occidente si sente in guerra contro la Russia e tacita il dissenso”

“Irragionevole gridare allo scontro con Mosca, Trump vuole conflitti a bassa intensità”

Ucraina, Cacciari: “Ormai l’Occidente si sente in guerra contro la Russia e tacita il dissenso”

(di Riccardo Antoniucci) – “È normale questa situazione, è tipica di uno stato di guerra. E l’Occidente ha deciso di essere in guerra, da un lato con il mondo islamico, dall’altro con la Russia e un domani con la Cina”. Il filosofo Massimo Cacciari ha chiaro quale sia la posizione dell’intellettuale “L’intellettuale che fa il suo mestiere sa come stanno le cose e deve dire quello che gli consente di stare a posto con la sua coscienza, ma se è onesto è anche realista, e si rende conto i poteri in guerra mentiranno, sa che potranno perfino censurarlo e metterlo in galera, certo”.

È così che si sente?

Io sono tranquillo, dico quello che devo dire a chi vuole ascoltarmi. Sono in pace col mio dio. Ma riconosco che siccome il mainstream occidentale ha deciso di essere in guerra, allora deve cercare di pacificare il dibattito interno, sussumere le voci dissonanti. In guerra c’è un diritto sovrano, lo ius mendacii ossia il diritto di dire il falso, perché lo scopo è vincere. È chiaro che la voce critica, quella che stona quando bisognerebbe cantare la marcia tutti insieme e andare alle armi, non può che aspettarsi di essere frainteso, o ricondotto al mainstream, se non censurato. Dà fastidio, ed è vero, come dava fastidio Karl Kraus nella prima guerra mondiale. Non per questo si smette di essere critici. Lo siamo in tanti, tra i miei colleghi. Limes lo è con un accento più scientifico del mio.

La “polizia del linguaggio” si è esercitata molto anche sul conflitto a Gaza. In Parlamento si discutono ddl per assimilare le critiche alle politiche dello Stato di Israele, o l’antisionismo, all’antisemitismo, ispirati dalla definizione dell’Ihra americano contestata da noi da oltre 1200 docenti…

Assimilare la critica al sionismo all’antisemitismo è semplicemente un errore storico. Anche importanti intellettuali ebrei della diaspora hanno criticato il sionismo. È ancora più sbagliato e ignorante usare la categoria dell’antisemitismo quando si parla delle critiche all’attuale Stato di Israele, al suo governo. Trattandosi di uno Stato come gli altri, può essere combattuto esattamente come gli altri. C’è un disegno politico, che è fondato sulla falsificazione. Ma ripeto, in guerra la falsificazione è un diritto del potere.

Il problema allora è: chi ha deciso che siamo entrati in guerra?

Bisognerebbe chiederlo a chi ci vuole andare, ai potenti. Di certo siamo all’irragionevolezza totale. Questo parlare di ‘guerra ibrida’ usando i termini a sproposito… è guerra e basta. Io credo che nella testa di Trump ci sia il progetto di creare una situazione in cui la guerra continui come un basso in sottofondo, fissata sostanzialmente attorno all’asse Israele-Palestina e a quello Russia-Ucraina: che continuino a massacrarsi, ma a bassa intensità.

Però in Europa i leader parlano di una guerra diretta, epocale, con la Russia…

Sono parole per coprire una crisi strutturale. L’Unione europea è passata in 20 anni dal 25% al 14% del Pil mondiale, scavalcata da Usa e Cina, ha una crisi demografica spaventosa e non la sa affrontare con la politica dell’immigrazione. I leader europei, che non sono ciechi, hanno bisogno di colossali diversivi: paventare un nemico alle porte è una tecnica vecchia come il mondo per attutire i contrasti sociali. Ma la situazione è delicata. L’Ue è in crisi radicale, ma dall’altra parte la Russia non lo è di meno, costretta ad appoggiarsi economicamente sempre più a Oriente, non intenzionata a cedere nulla sul fronte ucraino. È un rischio quando si scontrano due debolezze, perché possono scattare scelte irrazionali e istintive. Non credo però che gli Usa permetteranno il suicidio della Russia o dell’Ue. Ricondurranno anche questa crisi dentro l’alveo di un conflitto a bassa intensità.