L’ultimo emendamento smonta la legge di Bilancio varata dal governo a ottobre. Per fare cassa penalizzate le uscite anticipate e il riscatto degli anni di laurea

Il ministro dell'Economia Giancarlo Giorgetti

(Stefano Iannaccone – editorialedomani.it) – Il governo Meloni doveva abolire la legge Fornero con Matteo Salvini nel ruolo di alfiere. E invece, alla quarta legge di Bilancio, c’è la nemesi: fa cassa sulle pensioni per provare a dare qualche risposta alle imprese e accontentare Confindustria.

La sintesi del disastro meloniano è tutto nell’ennesimo emendamento alla legge di Bilancio, calato dall’alto per riscrivere pezzi portanti del provvedimento. Un testo che esce stravolto rispetto alla formulazione iniziale. Negli ultimi giorni c’è stata una sfilza di modifiche presentate dallo stesso ministero dell’Economia, guidato da Giancarlo Giorgetti.

Auto-bocciatura

Un’auto-bocciatura che ha lasciato esterrefatte le opposizioni, anche perché non si tratta della solita grandine di mancette che in genere appare nel corso del confronto.

«La legge di Bilancio, che abbiamo letto due mesi fa, non esiste più. Per fortuna hanno accolto alcune delle nostre critiche», dice a Domani Daniele Manca, capogruppo del Pd in commissione Bilancio al Senato. Se ogni manovra è difficile, quest’anno la destra si è superata.

Nel caos generale hanno almeno preso forma i 3,5 miliardi di euro promessi proprio da Giorgetti alle imprese per garantire il supporto a Transizione 5.0, l’iperammortamento, il finanziamento delle Zes e il fondo contro il caro-materiali. Per attingere alle risorse, il governo ha sostanzialmente rotto il salvadanaio del Pnrr, rimodulando – in pratica saccheggiando quel che resta del Piano.

La sorpresa arriva dal fatto che si poteva fare tutto fin da subito, prevedendo determinate misure, senza balletti last minute. Un modus operandi che lascia intendere la volontà della destra di agire con il “favore delle tenebre”, ossia con le votazioni in piena notte e in gran velocità con la scusa di dover evitare l’esercizio provvisorio. Una strategia utile anche a evitare qualsiasi dibattito nel merito. Ma che non è un modello di confronto, proprio mentre Fratelli d’Italia in piena celebrazione di Atreju ha esaltato “l’arena” di Castel Sant’Angelo, a Roma, come luogo di dialogo.

L’ultimo cortocircuito, il più clamoroso, è arrivato con le risorse drenate sulle pensioni, colpendo in particolare il riscatto della laurea per un “risparmio” dello stato tra i 500 e i 600 milioni di euro. «Una mega fregatura per chi ha riscattato la laurea», l’ha definita senza mezzi termini la deputata del Pd, Maria Cecilia Guerra. Mentre il Movimento 5 stelle ha parlato di una «macelleria», annunciando «battaglia». Un fatto è certo: gradualmente, fino al 2035, sarà annullato il beneficio del riscatto per i laureati intenzionati a far valere il loro titolo di studio ai fini previdenziali. Intervento ancora più duro sul pensionamento anticipato: la “finestra” di tre mesi si allargherà da tre a quattro (per chi matura i requisiti nel 2032 e 2033).

Diventerà di cinque mesi per il biennio successivo con un beneficio per la casse statali di mezzo miliardo nel 2033, ma con una cifra che è destinata a triplicarsi, arrivando quasi al miliardo e mezzo, nel 2035. Ma oltre i numeri c’è la scelta politica di un governo che diceva di voler introdurre Quota 41 come principio per andare in pensione, ossia la possibilità di uscire da lavoro – in maniera anticipata – alla maturazione di 41 anni di contributi.

Appena poche settimane fa, il sottosegretario al Lavoro, il leghista Claudio Durigon, aveva promesso interventi per favorire il pensionamento anticipato. Al contrario la previdenza viene impiegata come un bancomat. Il governo «peggiora le condizioni, allunga i tempi, scarica i costi sulle spalle di chi lavora e di chi studia», ha detto il deputato di Alleanza verdi-sinistra, Angelo Bonellio.

Per il partito di Salvini c’è un altro elemento negativo: deve mandare giù pure la rimodulazione dei fondi stanziati per il Ponte sullo Stretto. Sull’opera, peraltro, sono giunte anche le ulteriori motivazioni della Corte dei conti sulla bocciatura. «Dopo anni di slogan, la manovra chiude la propaganda e lascia Sicilia e Calabria senza risposte», ha commentato il senatore dei 5 stelle, Pietro Lorefice.

La linea leghista resta quella di minimizzare e tirare dritto con la promessa di provvedere ad aprire i cantieri «prima possibile».

Voto notturno e natalizio

Alla voce “impegni disattesi” sulla manovra, spicca quello sulla tempistica dell’iter. Il calendario prevedeva che il testo approdasse in aula al Senato il 15 dicembre, in quella data non c’era nemmeno stata una sola votazione in commissione Bilancio. Solo il 16 dicembre sono iniziati i primi voti sui temi comuni per avviare almeno un cammino che si annuncia ancora tortuoso. La seduta è stata aggiornata in attesa di avere un quadro più chiaro.

Uno scenario di improvvisazione che costringerà i senatori a maratone notturne per velocizzare l’esame e garantire il via libera dell’assemblea di palazzo Madama entro Natale.

Con questo timing, il testo arriverebbe di gran carriera alla Camera, che dovrebbe approvarlo tra il 29 sera e il 30 mattina molto probabilmente con la blindatura della fiducia. Fornendo l’ennesima immagine di un parlamento ridotto al ruolo di passacarte. A Montecitorio i deputati non hanno preso molto bene l’incartamento sulla manovra, benché molti avessero messo in conto il ritorno prima della notte di San Silvestro per “bollinare” la babele di norme firmata Giorgetti-Meloni.