Martedì l’evento “A trent’anni dal Tatarellum” al Senato con La Russa e Balboni. Il testo sarebbe pronto, incognita del “listone”. I dubbi di Lupi e Salvini, la sponda di Calenda

(Giulia Merlo – editorialedomani.it) – Lo spettro dei comunisti evocato più volte da Giorgia Meloni nel suo violento comizio di chiusura ad Atreju è più spaventoso che mai, nella testa di Fratelli d’Italia. E per renderlo innocuo la strada è una sola, per quanto impervia: cambiare la legge elettorale che oggi – non importa quanto la premier sia forte– rischia di riportare l’Italia al centrosinistra o almeno di rendere contendibile la sfida.

Come? Dentro il partito le tesi sono due, corroborate anche dalle simulazioni fatte dall’ufficio studi della Camera. La prima, che però poco piace interamente perché sa molto di prima Repubblica, è quella del proporzionale puro con premio di maggioranza. Lineare sulla carta, ma tutta da scrivere e potenzialmente poco vantaggiosa per Fratelli d’Italia.

La seconda, invece, è quella che più viene spinta da una componente trasversale nel partito di Meloni rappresentata dai cosiddetti “tatarelliani”: gli allievi di Pinuccio Tatarella, patriarca della svolta conservatrice e autore della legge elettorale delle regioni, il Tatarellum, che ancora oggi rimane pur con alcuni correttivi. E proprio per spingere questa seconda ipotesi non è passato inosservato a occhi attenti il convegno “A trent’anni dal Tatarellum”, organizzato dal nipote Fabrizio Tatarella a palazzo Giustiniani, con invitati che danno la dimensione di come questa strada sia molto più che una ipotesi: insieme a Luciano Violante, infatti, saranno presenti il presidente della commissione Affari costituzionali al Senato Alberto Balboni e soprattutto il presidente del Senato, Ignazio La Russa. Entrambi estimatori del padre nobile di An, entrambi ascoltati a palazzo Chigi.

Del resto, anche lo stesso capo dell’organizzazione Giovanni Donzelli, all’indomani dell’ultima tornata delle regionali, aveva parlato della necessità di riformare la legge elettorale sulla falsariga di quella delle regioni.

A spiegare i pregi della legge Tatarella – candidato presidente espresso in lista, soglia di sbarramento al 3 per cento con 80 per cento dei seggi distribuiti col proporzionale e 20 per cento assegnati come premio di maggioranza tra i candidati di listino – è un dirigente meloniano. «É la formula perfetta per ottenere un cambio di forma di governo modificando solo la legge elettorale: è la traduzione concreta del premierato», della madre di tutte le riforme che Meloni rincorre con scarse fortune da inizio legislatura.

I dubbi

Nei capannelli di dirigenti accorsi a Roma per Atreju, parlando di legge elettorale l’argomento principale è stato quello che «bisogna fare in fretta, anche prima del referendum». Cioè: i parlamentari in ansia per la rielezione sono convinti che non si debba nemmeno aspettare marzo, ma che una proposta vada presentata ai primi di gennaio. E quale proposta migliore di un testo chiavi in mano come il primo Tatarellum del 1995. «Non penso che sarà in commissione a gennaio», ha frenato il capogruppo di Fratelli d’Italia al Senato, Lucio Malan, ma senza toni assoluti.

L’operazione, del resto, non è semplice. C’è il problema di Noi Moderati di Maurizio Lupi, che difficilmente potrà arrivare al 3 per cento. Poi c’è la Lega, che non vuole l’indicazione del candidato presidente sulla scheda perché Matteo Salvini sa bene che provocherebbe un’ulteriore emorragia di voti verso FdI su trascinamento di Meloni. «Si farà quel che si fa in politica: mediazioni e compensazioni», spiega un parlamentare. Tradotto: offrire a Lupi posti blindati nel listino bloccato e barattare la Lombardia con la Lega.

Ci sono poi anche questioni tecniche da risolvere, visto che la legge nasce per regioni che non hanno la doppia camera. Il listino bloccato previsto dal Tatarellum assorbirebbe i collegi uninominali e potrà essere su base regionale per il Senato, mentre per la Camera servirà un “listone” nazionale, che però sa molto di partitocrazia. «Se questa fosse l’unica obiezione, saremmo a cavallo», è l’analisi di chi si sta occupando del dossier per FdI e non vuole sbilanciarsi.

Eppure, dentro FdI c’è fiducia. Del resto, all’evento al Senato a nessuno è sfuggita la presenza del leader di Azione Carlo Calenda, segno che il dialogo con altre forze politiche è aperto. A Calenda, del resto, lo sbarramento al 3 per cento andrebbe benissimo e anzi, lo farebbe decidere per una possibile corsa autonoma rispetto all’odiato campo largo. «Con noi o da solo, a noi basta che non corra con Schlein», è il ragionamento di FdI. Eppure, dentro Azione, un dibattito sulla legge elettorale non è nemmeno cominciato e se venisse aperto – confida una fonte interna – il rischio è che volino stracci.

Sul fronte del Pd, Elly Schlein ha negato sia l’intenzione di modificare la legge sia di abboccamenti con la maggioranza. Ciò su cui fanno leva i sostenitori del Tatarellum, però, è il fatto che la polarizzazione che questa legge produrrebbe possa giovare anche ai dem, incoronando la segretaria come l’unica avversaria di Meloni.Sarà la premier, infine, a fare la tara tra dubbi e vantaggi e decidere come procedere, con un occhio al calendario del nuovo anno.