L’intenzione di spaccare l’Europa, ventilata dall’amministrazione Trump nella National security strategy, implica un piano di ingerenze massicce, ben altra cosa che i mezzucci di cui si sarebbero avvalsi spioni russi o le saltuarie operazioni di disinformazione operate da qualche prezzolato. In Italia occorre la collaborazione, o almeno la neutralità, di schiere di politici e di opinionisti. Ma a giudicare dalla rarità di reazioni agli insulti che il presidente Usa ci ha rivolto, i suoi legati non avranno difficoltà a trovare coadiuvanti nella vasta area dell’accondiscendenza

(Guido Rampoldi – editorialedomani.it) – In qualunque democrazia appena tonica la denuncia di Carlo Calenda («da tempo sono convinto che in Italia ci sia chi riceve finanziamenti dalla Russia di Putin») avrebbe prodotto quantomeno interpellanze al governo. Invece è caduta nel vuoto. Qualcuno obietterà che Calenda non è la persona più adatta per sdegnarsi, un tempo non considerava dirimente che il suo alleato Matteo Renzi fosse il testimonial di un regime tra i più feroci della Terra, quell’Arabia Saudita che continua a decapitare ragazzi sciiti arrestati per aver lanciato una molotov quand’erano ancora adolescenti. Ma questo non implica che si debbano ignorare le questioni trascinate da quel che denunciano il leader di Azione e molti altri.

Solo per stare alle cronache recenti: il ministro della Difesa, Guido Crosetto, racconta a Bruno Vespa di «un’infiltrazione formidabile che tende a destabilizzare» il nostro paese e allude a «persone insospettabili che sono state corrotte dalla Russia» (quali? Mah). Se Calenda intravede segreti commerci con Putin in area Lega e Cinque stelle, da quelle parti è consuetudine dare del pennivendolo della Nato e piazzista dell’industria bellica ai «guerrafondai», come chi scrive, che sostengono ad oltranza le ragioni dell’Ucraina.

Antonio Tajani si è beccato un «influencer prezzolato» da Israele dalla pentastellata Alessandra Maiorino. E alla legittima richiesta di scuse, Giuseppe Conte le ha negate poiché, ha detto, un tempo Giorgia Meloni gli aveva dato del «criminale».

Propalatori di sospetti

Questo confuso esternare riconduce al bivio tra due ipotesi non necessariamente alternative: se hanno ragione i propalatori di sospetti, si dovrà convenire che a giudicare dalle nostre scarse reazioni siamo assuefatti alle interferenze straniere, quasi fossimo l’Italia del Seicento, un paese troppo debole e troppo diviso per farsi padrone del proprio destino; se invece i propalatori hanno torto, dovremmo chiederci quale futuro preannunci la facilità con cui si dà del venduto e del traditore agli avversari politici. Di sicuro c’è che intanto ne soffre il diritto di opinione, ammaccato dalle risse in corso.

Alcuni esempi: a Torino comune e regione hanno negato una sala a una conferenza di cosiddetti “putiniani” (col risultato di moltiplicare notorietà e riverberi di un evento altrimenti soporifero). Collettivi di studenti antisionisti pretendono la sospensione degli accordi con tutte le università israeliane, incluse quelle, come la Tel Aviv university, che garantiscono spazi a intellettuali radicalmente ostili alla destra.

In parlamento si annunciano progetti di leggi utilizzabili per punire (perfino con la galera) chi muovesse critiche troppo aspre a Israele, iniziative condannate come sbagliate e controproducenti da alcune tra le più acute menti dell’ebraismo italiano. L’arbitrio pare la regola quando il ministero dell’Interno colpisce con fogli di via migranti musulmani, talvolta imam, per aver espresso tesi becere, false, gaglioffe: ma in teoria protette dal diritto di opinione. Più rare le espulsioni. A Torino un imam egiziano rischia di essere consegnato alle camere di tortura di al Sisi malgrado un vescovo abbia testimoniato in suo favore.

Gli Stati Uniti di Trump

Fin qui saremmo all’inconcludente agitarsi italiano, eterno auto-complotto dei furbi e dei fessi, se il ministro Crosetto non avesse introdotto un elemento dirompente: stavolta siamo vittime di una cospirazione orientale per instillare «dubbio e insicurezza» ovvero «erodere la resilienza democratica, minare la fiducia dei cittadini nelle istituzioni, dividere le società, influenzare le opinioni pubbliche con false informazione».

Mandanti? Russia, Cina, Iran, Corea del Nord, risponde Crosetto. Il ministro risulterebbe più convincente se spiegasse chi, come, che cosa. E soprattutto se non ignorasse l’elefante nella stanza della nostra sovranità. Una presenza ufficialmente non ostile ma certo non amica, e anzi temibile, per quella sua intenzione quasi dichiarata di indebolire l’Europa e convertirla al credo della destra bianca e “giudaico-cristiana”. Gli Stati Uniti di Donald Trump.

Il nostro primo alleato, dice Meloni. Il suo, forse. Ma tutt’altro che un alleato dell’europeismo e della Ue. Fingere di non saperlo è tanto più autolesionista perché quando si parla di manipolazione delle opinioni pubbliche nessun oriente ostile ha la potenza di fuoco garantita agli Usa dal loro high-tech informatico, un’area strategica nella quale gli americani non riconoscono agli europei il diritto di stabilire alcuna regola.

È bastata una blanda multarella appioppata dalla Ue alla piattaforma di Elon Musk per scatenare le reazioni inviperite del vertice americano (J.D. VanceMarco Rubio, lo stesso Musk). Col che è stato chiaro che Washington ci vorrebbe docile colonia commerciale (ne ha scritto Nadia Urbinati su queste pagine). Ma per riuscirvi deve persuadere l’Europa a sottomettersi, accettando tanto il dominio cibernetico americano quanto i valori del “nuovo” Occidente in versione Maga.

Da qui il carattere curiosamente ideologico impresso da Trump alla dottrina di sicurezza nazionale, quella National security strategy dove si lamenta lo sbiadire in Europa «della civiltà e della identità occidentali» e si ammicca ai «patrioti» europei, nel senso di partiti “bianchi” e giudaico-cristiani, perché convertano il continente e lo difendano dall’orda promiscua dei migranti – ovvero lo spacchino e lo regalino all’egemonia Usa.

Convertiti e renitenti

Quale sia il metodo suggerito all’Europa per ritrovare la propria identità, quella desiderata a Washington, potrebbero indicarlo due eventi recentissimi occorsi in rapida successione: Washington ha messo al bando come «organizzazione terrorista» i Fratelli musulmani e pochi giorni dopo a Strasburgo il gruppo nazional-conservatore (innanzitutto FdI e polacchi) ha presentato con enfasi una ricerca che intende confermare la pericolosità dei Fratelli.

Nella realtà la categoria “Fratelli musulmani” contiene di tutto, da un ripugnante islamo-fascismo fino a partiti come il tunisino Ennahda che hanno dimostrato nei fatti molto più rispetto del sistema democratico di quanto ne stiano palesando tanti regimi arabi “filo-occidentali”. Ma per mettere in scena la “nuova” destra illiberale e antieuropeista è fondamentale scegliersi un bau-bau che sia nemico dell’identità giudaico-cristiana e “bianca”: nel ruolo l’islam politico funziona perfettamente.

Di sicuro l’intenzione di spaccare l’Europa tra convertiti e renitenti, ventilata dall’amministrazione Trump nella National security strategy, implica un piano di ingerenze massicce, ben altra cosa che i mezzucci di cui si sarebbero avvalsi spioni russi per confonderci o le saltuarie operazioni di disinformazione operate da qualche prezzolato. In Italia occorre la collaborazione, o almeno la neutralità, di schiere di politici e di opinionisti. Mica poco. Ma a giudicare dalla rarità di reazioni significative agli insulti che il presidente americano ci ha rivolto nella sua National security strategy, i suoi legati non avranno difficoltà a trovare coadiuvanti nella vasta area dell’accondiscendenza, dalla destra dei finti patrioti fino ai populisti passando per i moderati. «Ahi serva Italia, nave senza nocchiere in gran tempesta…».