
(Andrea Zhok) – Nel documento sulla Strategia di Sicurezza Nazionale (National Security Strategy) appena pubblicato dall’amministrazione statunitense troviamo una dolorosa descrizione dell’attuale realtà europea.
Vi troviamo scritto:
“L’Europa continentale ha perso quota nel PIL mondiale, passando dal 25% del 1990 al 14% di oggi, in parte a causa di normative nazionali e transnazionali che minano la creatività e l’operosità.
Ma questo declino economico è eclissato dalla prospettiva reale e più concreta della cancellazione della civiltà. I problemi più ampi che l’Europa si trova ad affrontare includono le attività dell’Unione Europea e di altri organismi transnazionali che minano la libertà e la sovranità politica, le politiche migratorie che stanno trasformando il continente e creando conflitti, la censura della libertà di parola e la repressione dell’opposizione politica, il crollo dei tassi di natalità e la perdita di identità nazionali e di fiducia in se stessi.
Se le tendenze attuali dovessero continuare, il continente sarà irriconoscibile tra 20 anni o meno. Pertanto, non è affatto scontato se alcuni paesi europei avranno economie e forze militari sufficientemente forti da rimanere alleati affidabili. Molte di queste nazioni stanno attualmente raddoppiando il loro impegno in quella direzione.
L’amministrazione Trump si trova in contrasto con i funzionari europei che nutrono aspettative irrealistiche rispetto alla guerra, radicati in governi di minoranza instabili, molti dei quali calpestano i principi fondamentali della democrazia per reprimere l’opposizione. Un’ampia maggioranza europea desidera la pace, ma questo desiderio non si traduce in politica, in larga misura a causa del sovvertimento dei processi democratici da parte di quei governi.”
Ora, dare ragione all’amministrazione americana è spiacevole, spiacevole sia perché questa traiettoria europea è stata fino a tempi recentissimi supportata e alimentata dagli USA, sia perché sappiamo tutti che queste verità vengono dette non certo in buona coscienza e per amore della verità, ma solo perché al momento tornano utili alla prospettiva strategica americana.
Ciò non toglie che siano verità, e vengono dette perché, in quanto verità, appaiono riconoscibili ai popoli europei.
La traiettoria europea che viene delineata nel documento parte, correttamente, dal 1990, cioè dalla svolta neoliberale che ha luogo con il Trattato di Maastricht e la trasformazione della Comunità Europea in Unione Europea. Al tempo quella svolta significava seguire gli USA nel loro percorso storico, come unica potenza mondiale rimasta dopo il crollo dell’URSS. Allora – come ora – ciò che caratterizza le classi dirigenti europee è la loro astrattezza. Se agli USA si può imputare frequentemente un brutale pragmatismo, l’Europa soffre invece di una congenita astrattezza (che, peraltro, può essere precisamente altrettanto brutale, ma senza essere pragmatica, senza esercitarsi ad analizzare e reagire alla realtà circostante).
Negli anni ’90 quell’astrattezza si espresse nella forma di un’adesione incondizionata all’idea del trionfo liberale sul modello comunista, trionfo che si traduceva in una metamorfosi del senso dello stato.
Lo stato neoliberale non si voleva più né “stato sociale” come nella stagione ad economia mista del secondo dopoguerra, né “stato minimo” come nel liberalismo classico. Lo stato neoliberale si voleva interventista, ma non per interventi mossi da un’agenda sociale bensì con un’agenda dettata dall’ideale della “concorrenza perfetta”. Questo ideale microeconomico andava imposto a tutti i livelli, inclusi i monopoli naturali (ferrovie, forniture elettriche, ecc.) e inclusi i sistemi difficilmente privatizzabili (scuola, sanità, università). Là dove non si poteva senz’altro privatizzare, lì si inventavano sistemi di valutazione, di misurazione del prodotto, di competizione interna, di creazione di incentivi e disincentivi che mimavano i meccanismi di mercato.
Questo processo di snaturamento del settore pubblico, nel tentativo di assimilarne i meccanismi alla concorrenza privata è alla radice non solo della decadenza progressiva dell’istruzione pubblica e della sanità, dove le migliori risorse vengono spese in pseudocompetizioni e burocrazia, ma anche della frenesia normativa degli apparati europei. Qui il grande perdurante equivoco, sia per i detrattori che per i sostenitori, è che questo interventismo del centro amministrativo rappresenti un residuo socialista, mentre è neoliberalismo allo stato puro: infatti non è l’intervento centrale (stato, commissione europea) a fare la differenza, ma la sua agenda, i suoi intenti.
Con un esempio, avere una Banca Centrale Europa avrebbe potuto di principio essere un fattore compatibile col socialismo-comunismo, nel momento in cui la Banca Centrale avesse orientato la produzione di moneta e il suo indirizzamento a sostegno della piena occupazione, delle politiche di ricerca e sviluppo, di un consolidamento dell’industria pubblica; ma nel momento in cui l’agenda della BCE è dettata prioritariamente dal fine della stabilità della moneta, essa pone al centro dei propri interessi i detentori di capitale (oligarchie finanziarie in primis) e non i cittadini lavoratori.
La combinazione tra interventismo centrale e priorità degli interessi delle oligarchie finanziarie è catastrofica, è la peggiore delle combinazioni economico-politiche immaginabili. Essa unisce tendenze centrali al normativismo, alla sorveglianza, all’autoritarismo con la mancanza anarchica di un indirizzo politico, sostituito dall’interesse economico delle oligarchie. Questa combinazione è incomparabilmente peggiore dei sistemi dove l’autoritarismo si radica nel perseguimento di un interesse nazionale (es., Cina) ma anche di quelli dove la priorità dell’interesse economico individuale si abbina ad una cornice libertaria, anarcocapitalista (come gli USA).
Tutte le tendenze più catastrofiche degli ultimi trent’anni sono da ricondurre a questa devastante combinazione.
La distruzione delle identità collettive (nazionali, etniche, religiose, comunitarie, famigliari) è stata funzionale alla sostituzione della società tradizionale con un sistema di transazioni individuali, idealmente con un mercato universale.
La cosiddetta “sostituzione etnica” non è mai stata pianificata, e tuttavia essa di fatto avviene come esternalità di un simultaneo processo di indebolimento delle identità interne e di un ricorso massivo a risorse lavorative a basso costo (migranti). L’opzione opposta, quella di aumentare salari, compattezza politica e potere contrattuale dei lavoratori autoctoni avrebbe rappresentato una riduzione percentuale della fetta di profitti per le oligarchie finanziarie, dunque non è stata presa in considerazione.
L’indebolimento del potere contrattuale dei lavoratori è andato di pari passo con una riduzione della loro capacità di consumo, e questo si è abbinato alla tendenza europea al mercantilismo, cioè a puntare tutte le proprie carte sulle esportazioni, su una bilancia commerciale favorevole. Ma questo naturalmente significa che, a fronte di qualunque sconvolgimento esterno, a qualunque turbativa dei meccanismi del commercio estero (crisi subprime, covid, guerre) l’Europa non è più in grado di compensare le carenze del mercato esterno ricorrendo al mercato interno.
In un contesto dove solo l’interesse economico individuale viene santificato, il ceto politico ha iniziato ad essere rappresentato sempre più da mediocri arrivisti, da quaquaraquà, da gente priva di qualunque spina dorsale ideale e disposta ad ogni compromesso pur di arrivare. Ovviamente questo si è ripercosso in forma di un degrado complessivo della politica, in un collasso delle capacità autenticamente politiche, in un crollo della lungimiranza strategica, in un disfacimento di ogni qualità personale sostituita dalla fedeltà alla lobby di riferimento (e ogni riferimento a von der Leyen, Kallas, Merz, Starmer, Macron, ecc. è puramente casuale).
Alla fine ci ritroviamo nella situazione paradossale di aver preso un modello pragmatico di matrice americana come un’ideologia eterna, di averla coltivata e implementata con tipica astrattezza europea, di esserne caduti vittima, e di rimanere alla fine con il cerino in mano mentre gli stessi americani – come hanno fatto più volte nella storia – girano la nave di 180° perché ora è nel loro interesse fare così.
Impoveriti, invecchiati, senza futuro, senza identità, senza visione, marginali ma con la presunzione di essere ancora chi dà le carte.
Materialmente i margini per cambiare rotta ci sarebbero ancora, ma il muro di ottusità creato ad arte negli ultimi decenni – e consolidato nei luoghi strategici di formazione della pubblica opinione – non sembra essere prossimo a cedere, e senza una rivoluzione culturale nessuno spiraglio si può aprire.
Della serie… becchi e bastonati!
Ma tutto nasce con gli USA.
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Se gli ingredienti del discorso sono quasi tutti abbastanza genuini, nella cottura Zhok ci inserisce il suo “sciroppo”,come spesso accade.
Ma carissimo Zhok,personalmente, è passato già da un pezzo, il periodo in cui la mia mamma mi fregava,miscelando in un buon minestrone la medicina per la tosse di modo che non mi accorgessi del suo sapore.E tu non sei la mia mamma.
Furbacchione
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Se ti vuoi rapportare con lui, meglio che lo cerchi o gli scrivi. Dubito che legga i commenti di Infosannio! Alternativa, fatti un diario e scrivici i tuoi pensieri.
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Carissimo chiamalo tu e chiedigli se mi vuol far compagnia in metropolitana quando torno dal lavoro,così risolviamo.A quanto sembra tu non hai alternative…continua a leggermi.
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Non ti montare la testa, ho letto perché era uno dei primi commenti. Impressionato dai ragionamenti e dalle argomentazioni. Insisto per il diario!
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Carissimo,se ci fossero stati Ragionamenti e Argomentazioni non lo avresti letto:Il target di lettori del Mio Diario,edito a breve Paper First, guarda alla fascia 8-10anni. Il marketing ha funzionato visto le tue reazioni.
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Chissà se l’amico @lionheart70 è d’accordo con Zhok!? (io si, al 100%); non credo, dato il forte collegamento con gli argomenti contenuti nel video di Guzzi che ho postato in altra sede e da lui fortemente criticato .
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Sono sempre d’accordo con Andrea Zhok e sempre d’accordo con Gabriele Guzzi.
Peccato essere in minoranza. E privi di megafono per far sì che queste idee/riflessioni/analisi sì moltiplichino nell’opinione pubblica.
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Ancora ti brucia eh?
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Partire da una dichiarazione di Trump come fonte principale è già di per sé problematico, dato il contesto e soprattutto il soggeto.
.Comunque, se ci si concentra sui fatti concreti, l’Europa ha effettivamente perso peso relativo nel PIL mondiale, passando dal circa 25% del 1990 al 14–15% odierno.
Questo è un dato incontrovertibile; i numeri possono variare leggermente, visto che nel 1990 l’UK faceva parte dell’UE e oggi no, ma al netto di tutti i possibili distinguo, il calo c’è stato.
Il problema emerge quando l’articolo tenta di spiegare le ragioni di questo fenomeno, scivolando nel surrealismo. L’errore non è plateale, è un errore per definizione: come si può affrontare un argomento del genere senza neanche lontanamente menzionare le economie asiatiche?
La Cina, l’India? Manco un bambino di 3a elementare farebbe un errore così madornale.
Ignorare del tutto l’ascesa delle economie emergenti, che hanno investito massicciamente in tecnologia e imprese di grandi dimensioni, rende l’analisi dell’articolo totalmente fuori dalla realtà.
Attribuire il calo della quota europea del PIL alla sola ideologia neoliberista è un altro errore clamoroso.
Rendere responsabile il declino europeo di un neoliberismo selvaggio o di norme interne è roba da rincoglionito totale o di estrema malafede.
L’UE non è mai stata neoliberista in senso puro: mantiene uno stato sociale molto più ampio degli USA, impone regolazioni dettagliate, ha una tassazione più alta e molti settori strategici restano poco liberalizzati.
Basta prendere un taxi o guardare una bolletta per rendersi conto che di liberalizzazioni selvagge non c’è traccia.
Ancora più incredibile è il trattamento della BCE.
L’articolo sostiene che la banca centrale ponga al centro gli interessi delle oligarchie finanziarie, ma questa è una bestialità.
La stabilità monetaria è nell’interesse di tutti, non delle oligarchie.
Quando ci sono tassi di interesse alti i primi a rimetterci sono le persone povere; sono proprio i ricchi che invece ne traggono vantaggio.
E’ proprio paradossale, segno di un’ignoranza conclamata: la stabilità dei prezzi è una istanza socialdemocratica; al contrario è di stampo liberista invocare, come fa Zhok, politiche accomodanti da parte della banca centrale; perchè si avrà si la piena occupazione ma quale sarà l’inflazione? quali saranno i tassi? Il pieno occupato come fa a comprarsi una casa?
La BCE tutela salari e risparmi e ha sostenuto l’economia reale con il quantitative easing e i tassi bassi.
Il calo del potere contrattuale dei lavoratori non è dovuto a norme europee o neoliberismo, ma alla globalizzazione.
Se il sindacato alza troppo la voce, il padrone prende tutto e se ne va altrove; è quello che è successo.
Delocalizzazioni, concorrenza globale e ingresso massiccio di lavoratori low-cost hanno compressi salari e sindacati, spiegando molto più degli errori politici europei.
Infine, le osservazioni sulle migrazioni e sulla perdita di identità rientrano in un registro ideologico, non in un’analisi economica.
Presentare questi fenomeni come causa del calo della quota europea del PIL è fuorviante e conferma il tono catastrofista dell’articolo.
In sintesi, l’articolo prende un dato reale e lo trasforma in una narrazione ideologica.
Ignora le dinamiche globali e tecnologiche, travisa la realtà della BCE e della struttura industriale europea e mescola economia con retorica identitaria.
L’Europa ha problemi concreti di competitività, innovazione e coesione industriale, ma questi non hanno nulla a che fare con presunti complotti o un neoliberismo “selvaggio”.
Lascia semplicemente sgomenti: sarebbe sufficiente guardare alle economie asiatiche, alla tecnologia e alle imprese globali per capire immediatamente che si tratta di una
KAGATA PAZZESCAAA!!!!!!!!!!!!!!!
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Tutto giusto
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Ciò che ha cambiato maggiormente l’economia è stata la globalizzazione, che è stata impostata secondo il modello neoliberista. Le regole sono state imposte soprattutto dagli USA, che si stanno ora suicidando grazie ad una economia che è di base finanziaria. Le economie emergenti sono tali perché si basano su un’economia reale.
L’inflazione non è un problema se poi tendi a compensare la perdita del potere di acquisto, come si faceva un tempo. La stabilità monetaria serve a chi ha tanta grana accumulata!!!
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Si però non puoi scrivere una cosa del gnere e pensare di farla franca.
Le regole sono state imposte soprattutto dagli USA, che si stanno ora suicidando grazie ad una economia che è di base finanziaria.
Dovresti spiegare in concreto come avrebbero fatto ad IMPORLE, con la forza, con le minacce? come?
L’inflazione non è un problema se poi tendi a compensare la perdita del potere di acquisto, come si faceva un tempo.
Come si faceva un tempo? non me lo ricordo bene; spiega.
La stabilità monetaria serve a chi ha tanta grana accumulata!!!
Basta così con le fesserie o hai intenzione di continuare l’elenco?
A parte il fatto che puoi sempre fare degli esempi; per adesso ti le faccio io così capisci la minkiata che hai scritto, per di più coi punti esclamativi.
Cominciamo col dire che l’inflazione è chiamata con una metafora come “tassa dei poveri”; non lo sapevi perchè se lo avessi saputo non avresti scritto quello che hai scritto pure coi punti esclamativi; adesso una breve spiegazione.
I ceti più ricchi spesso hanno investimenti finanziati a debito; se il debito è a tasso fisso, viene ripagato con denaro che vale meno.
Il povero non ha investimenti.
I ceti agiati possiedono più spesso immobili, azioni, partecipazioni aziendali, opere d’arte, terreni, beni rifugio
Questi beni tendono a crescere di valore con l’inflazione, o almeno a difendersi meglio rispetto al reddito da lavoro.
Chi è imprenditore, detiene capitali. è azionista può scaricare l’aumento dei costi sui prezzi finali, mantenendo o aumentando i margini.
I lavoratori dipendenti, invece, subiscono l’inflazione perché i salari si adeguano lentamente o per nulla.
L’inflazione tende a penalizzare risparmi liquidi, a colpire chi spende quasi tutto il reddito in beni essenziali
Poiché i ceti più poveri consumano una quota maggiore del reddito in beni essenziali, subiscono un impatto più diretto, mentre i ceti agiati riescono a rimodulare consumi e investimenti.
Quindi a chi serve la stabilità monetaria?
Sono sicuro al 100% che mi risponderai con dei contro- esempi.
Domanda: ti è almeno chiaro cosa è la stabilità della moneta e che il suo contrario si chiama inflazione?
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Non e’ un virologo, non e’ un economista, non e’ un esperto di geopolitica, ma da anni scrive disinvoltamente e con una certa prosopopea di argomenti di cui
non s’intende. Non importa, tanto ha i suoi estimatori…
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Tu ne perdi qualcuno dei suoi articoli? Gli estimatori hanno almeno un senso, i detrattori seriali hanno probabilmente problemi psicologici irrisolti.
È solo uno che studia, ragiona e sa scrivere: cosa voi che sia nel mondo digitale!!!
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Quando leggo di ” rivoluzione culturale” mi viene in mente Mao, il 1966, il disastro e poi l’arrivo nei primi anni ’90 di Deng Xiao Ping che smonta tutto e pone le basi dell’attuale Cina. Quanto poi all’invecchiamento della popolazione non credo che ci sia soluzione diversa se non il morire giovani o l’eliminazione dei anziani: il primo scenario è quello perseguito dalla NATO il secondo da Pol Pot. Ah Zocche, ma che stai a scrive ?
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L’America non sarà più quella che abbiamo conosciuto?
Piuttosto, l’America non è quella che abbiamo sognato che fosse
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Andiamo al dunque! Gli Usa vogliono staccarsi dall’alleanza con l’Ue?? Approfittiamone, diamo una spinta allo scioglimento dell’Alleanza Atlantica o alla fuoriuscita degli Usa o almeno almeno dal comando in capo (sempre un generale yankee, abbiamo avuto) sostituendolo con uno europeo. Siamo ora obbligati a pagare (salato) la presenza delle basi americane (solo in Italia sono 60)?? Tanto vale, allora, che il comando militare sia dell’Europa. In altri termini: lascino (loro) le basi con le armi in esse contenute a noi europei, mentre il personale americano se ne ritorni oltre oceano. Faremo da soli a gestirle! Vogliono invece far pagare a noi l’onere della baracca CONTINUANDO LO STESSO A COMANDARE COME PRIMA?? La risposta è una sola: accà nisciuno è fesso! E’ chiaro il concetto??
Se consideriamo, inoltre, che l’Ue è un mercato immenso che se ottenesse – una volta finita la guerra in Ucraina – l’indipendenza dai precetti economici filo americani, compreso l’obbligo di comprare da loro il gas liquido più costoso di 4-5 volte quello russo (questa la ragione della perdita di competitività delle merci Ue nel mondo, e quindi della crisi economica che attanaglia il continente che sciaguratamente pensa a convertire in armi l’industria metalmeccanica in crisi). Se, dicevo, ottenessimo indipendenza… diverremmo una potenza mondiale che è proprio ciò che gli Usa non vogliono assolutamente. Ma per procedere su questa strada occorrerebbe un ripensamento soprattutto culturale dell’Europa… opera di difficile attuazione, visto il livello infimo delle classi dirigenti che ci ritroviamo. Come dimostra ancora una volta l’analisi di Zhok.
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Bellissimo articolo.
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