Non sostenuta dagli Usa, vista con sospetto dalla maggioranza politica dell’Ue, la premier rischia l’irrilevanza politica per sé e per l’Italia. Indebolirebbe l’Ue in questa fase cruciale nella quale è indispensabile alzare il tiro decisionale. In una Unione indebolita anche il nostro paese sarà inevitabilmente più debole sulla scena europea e mondiale. E certamente meno sovrano

(Gianfranco Pasquino – editorialedomani.it) – La diplomazia è anche un esercizio, spesso acrobatico, di equilibrismo. Ma è vero che la politica estera di un paese che sia media potenza deve essere improntata alla ricerca degli equilibri, di volta in volta preferibili, tenendo nel massimo conto le alleanze, gli impegni presi, le promesse fatte agli elettori e, non da ultimo, le posizioni ideali del proprio partito.
Fin dall’inizio della sua esperienza di governo, Giorgia Meloni ha dimostrato di avere consapevolezza del fascio di problemi che il suo esplicito, mai nascosto, sovranismo implicava nei rapporti con gli Stati-membri dell’Unione europea e con la Commissione, motore delle iniziative e attività.
Pur rimanendo con la testa fuori dalla maggioranza che ha espresso e sostiene la Commissione è spesso riuscita a mettere piede nelle decisioni che contano. Lo ha fatto ridefinendo, ridimensionando il suo sovranismo senza tagliare i ponti con i partiti populisti al governo in Ungheria e in Slovacchia o all’opposizione, in particolare in Spagna. Però, la risposta alle furibonde e maleducate critiche all’Ue formulate in un documento di strategia del National Security Council degli Usa e alla profezia, quasi un augurio di smembramento dell’Unione, non può essere quella di un delicato pontiere.
Quel ponte, già traballante, fra Usa e Unione, Trump e i suoi collaboratori lo hanno distrutto. Non casualmente e non per una infelice e cattiva scelta delle parole, ma perché da tempo nutrivano astio per la costruzione di una unione di Stati che, secondo loro, si facevano/fanno proteggere militarmente senza pagare il conto, in maniera furba e egoistica, non più accettabile.
La presidente del Consiglio italiana non ha condiviso le risposte severe e preoccupate dei maggiori leader europei. Ancora una volta il suo invito a cercare di capire il punto di vista di Trump è molto ambiguo, potendo essere interpretato come sostegno alla posizione del presidente appare come un indebolimento preventivo delle risposte che l’Unione riuscirà ad approntare e dare. Per di più la reazione di Meloni ha lo sguardo molto corto. Non vede che le elezioni americane di metà mandato nel novembre 2026 potrebbero già trasformare il presidente in carica, se i repubblicani perdessero la maggioranza in una o entrambe le Camere, in un’anatra zoppa, comunque già non rieleggibile nel 2028.
Non dovrebbe essere difficile neanche per i dirigenti politici che non sappiano ragionare sul lungo periodo, come fanno gli statisti, cogliere la volatilità della situazione. I molto eventuali vantaggi derivanti da un rapporto privilegiato con l‘attuale presidente dovrebbero essere valutati alla luce degli inconvenienti e delle critiche che causeranno nei rapporti con gli stati-membri dell’Unione europea. Quegli ipotetici vantaggi non contemplano affatto una crescita di prestigio per il governo Meloni e per la Nazione Italia, anzi sono vantaggi limitati, di breve periodo, effimeri. Da un momento all’altro possono rivelare la contraddizione congenita e insanabile del sovranismo.
Se ciascun governante antepone e impone il suo interesse nazionale, lo Stato più forte vincerà cosicché il sovranismo Maga è regolarmente destinato ad avere la meglio su qualsiasi concorrente solitario. Qui sta l’altra contraddizione del sovranismo che intenda sfruttare vantaggi dalla sua tanto orgogliosa quanto presunta autonomia. Non sostenuta dagli Usa, vista con sospetto dalla maggioranza partitica e politica dell’Unione europea, Giorgia Meloni rischia l’irrilevanza politica per sé e per l’Italia. Indebolirebbe l’Ue in questa fase cruciale nella quale è indispensabile alzare il tiro decisionale e migliorare il coordinamento politico in senso federalista, l’esatto contrario di qualsivoglia sovranismo.
In una Unione indebolita anche l’Italia sarà inevitabilmente più debole sulla scena europea e mondiale, certamente meno sovrana.
Bandiere, spiriti guerrieri e democrazie militarizzate
(di Fq) – •Draghi e zar. “L’Europa è fuori da un negoziato che la ignora bellamente. Riesce al più a giocare di rimessa, guadagnando sprazzi di tempo e cercando di limitare i danni di una pace, che nei termini attuali significherebbe solo la sottomissione di Kiev allo Zar e la fine di ogni illusione sulla nostra chance di vivere sovrani e sicuri nei prossimi decenni. (…) Invece di dire che faremo whatever it takes per sconfiggere Putin, l’Europa ripete che Putin deve essere sconfitto. (…) È giunto il tempo di un distacco ragionato ‘teso a minimizzare il danno che gli Stati Uniti a guida Maga sono in grado di infliggere all’Europa’. (…) E dobbiamo farlo nella difesa, costruendo un’alternativa europea con il finanziamento comune delle nostre capacità militari strategiche. È un buon inizio il successo di Safe, la linea di credito dell’Ue da 150 miliardi di euro per investimenti nella difesa di gruppi di almeno due Paesi. Ma è solo un bonsai. Non dobbiamo per forza farlo tutti. Draghi sostiene giustamente che possono iniziare a farlo gruppi di Paesi volenterosi, come Germania, Francia, Polonia, Italia e anche il Regno Unito”.
Paolo Valentino
(Corriere della Sera)
•Bandierine, bandierine. “Our Flag. The Flag of Freedom. #EU”
Roberto Burioni
(Su X, repostando Enrico Letta)
•Churchill e coccodrilli. “Perché la solidarietà nei confronti della popolazione civile ucraina in Europa va scemando? Lasciamo da parte i filoputiniani di casa nostra, siano essi pagati col denaro russo oppure vecchi stalinisti incartapecoriti ma incalliti, sono comunque inqualificabili. (…) Vedi, l’Ucraina, più ancora che la tragedia di Gaza, ci riguarda da vicino, ci convoca, ci interpella in prima persona. Ed è per questo motivo che in tanti, in troppi girano la testa, non vogliono vedere, si chiamano fuori. Sperano, come disse Churchill molti anni fa, che dando in pasto l’Ucraina al coccodrillo russo, non mangi noi, o forse ci mangi per ultimi. Ma se noi lo facessimo, sarebbe una bancarotta morale di proporzioni epocali”.
Antonio Scurati
(Che tempo che fa, Nove)
•Ricordiamoci che dobbiamo morire. “È difficile immaginare qualcuno così pazzo da desiderare la guerra. Ma la questione è un’altra: in ottant’anni di pace, s’è persa la memoria del dolore e questo rende più probabile nuovo dolore (…). Non sappiamo oggi se l’Ucraina sarà il fiammifero d’una santabarbara continentale. Ma, di fronte all’obiettivo russo nemmeno troppo celato di risospingere una Nato ‘addomesticata’ ai confini pre-1997, chiudere gli occhi è puerile. Non possiamo fare altro se non difendere, tra autocrazie armate, ciò che siamo diventati in questi ottant’anni. E se Trump, di concerto con Putin, cancellerà l’Occidente, dovremo fortificare un altro spazio per preservare le democrazie liberali: quello spazio non può essere che l’Europa”.
Goffredo Buccini
(Corriere della Sera)
•Armarli conviene. “All’Europa costerebbe meno finanziare la resistenza di Kiev, mettendola in grado di respingere i russi fino ai confini del 2022, piuttosto che gestire gli effetti di una vittoria anche parziale del Cremlino in Ucraina, perché porterebbe al disfacimento del Paese.
Gianluca Di Feo
(Repubblica)
“ambigua”…non solo…….anche “incapace” a governare visti gli insipienti risultati ottenuti in piu’ di 3 anni…e con “sodali” di infimo livello……!!!! Un disastro economico senza precedenti…..!!!
"Mi piace""Mi piace"
Non c’è nessuna ambiguità e nessun equilibrismo del governo, non lo e di questo è non lo sarebbe di nessun altro se fosse al posto di questo.
Attualmente in Russia operano 150- 170 imprese italiane, tra queste vale la pena citare Ferrero Pirelli, Barilla Calzedonia, Ariston, Camozzi, Unicredit
Rompere totalmente i rapporti significa per queste aziende subire perdite finanziarie di tutto rispetto perche Putin le nazionalizza.
Per info telefonare a Copenaghen o a Parigi.
Fino a quando questi fatti vengono sistematicamente ignorati c’è ampio margine di manovra per la narrativa e con buna pace del solito bene informato che scrive che tra Russia ed Italia non ci sono relazioni.
Quindi mi verrebbe da chiedere al giornalista: se al governo ci fosse il tuo beniamino, agirebbe in modo diverso?
"Mi piace""Mi piace"