I 15 ospedali italiani d’eccellenza: performance, divari regionali e sfide per la sanità pubblica. Il programma nazionale Esiti di Agenas certifica le strutture con livelli alti di standard e di performance in almeno sei aree terapeutiche ma dà conto della frattura tra Nord e Sud del paese con regioni ancora al palo su indicatori strategici

(di Barbara Gobbi – ilsole24ore.com) – Dai tumori agli infarti, dalla gestione di gravidanza e parto alla frattura del collo del femore: sono 15 gli ospedali su 1.117 strutture di ricovero per acuti pubbliche e private valutate, che raggiungono il top in Italia, rispettando gli standard fissati con legge nel 2015 e mostrando performance buone o ottime in 8 aree della sanità pubblica o privata. “Rimandati” cioè da sottoporre ad audit (volontari) mirati per il miglioramento, 198 ospedali (il 22% delle 871 strutture valutate con un meccanismo di analisi definito treemap) che presentano in tutto 333 punti critici soprattutto in ambito gravidanza e parto e cardiocircolatorio. Con i centri da “verificare” per lo più concentrati al Sud anche se pure il Meridione è in miglioramento come tutto il Paese: 51 centri in Campania, 43 in Sicilia, 19 in Puglia, 12 della Calabria ma anche 14 della Lombardia.

A tracciare il quadro, che per l’ennesima volta certifica il gap nelle cure tra Nord e Sud del Paese con il Meridione in recupero ma ancora drammaticamente lontano dalla media nazionale per alcuni indicatori come la gestione del cancro del pancreas e del retto, la tempestività di accesso a procedure salvavita e il ricorso eccessivo al cesareo, è il Programma nazionale Esiti dell’Agenzia per i servizi sanitari regionali (Agenas), che da 12 anni monitora le performance della Sanità italiana. Questa volta, con l’intento di tracciare un bilancio sull’attuazione del Dm 70 del 2015, che a 10 anni dall’entrata in vigore necessita di un tagliando a cui sta lavorando il ministero della Salute. Era stata proprio quella norma a introdurre a livello nazionale standard quantitativi per la riorganizzazione delle cure in ospedale, nel segno della qualità e della sicurezza delle cure. E se i risultati si vedono, molta strada verso un’omogenea appropriatezza ed efficienza delle prestazioni in tutto il Paese resta da fare.

L’identikit

Oggi il Pne dà il polso della sanità italiana grazie a 218 indicatori (dai 146 del 2015) di cui 189 relativi all’assistenza ospedaliera e 29 relativi a quella territoriale, valutata per il momento ancora indirettamente in termini di ospedalizzazioni evitabili, esiti a lungo termine e accessi impropri in Pronto soccorso. Ma il territorio è un’area ancora in grande parte da esplorare ed è questa una delle prossime sfide di Agenas, chiamata nei prossimi anni a verificare l’attuazione del “gemello diverso” del Dm 70: quel Dm 77 del 2022 che in attuazione del Pnrr ha riscritto l’organizzazione delle cure primarie.

Gli ospedali top

Ma quali sono gli ospedali che secondo l’edizione 2025 del Programma nazionale Esiti presentano un livello “alto” o “molto alto in almeno sei aree tra le otto valutate? Per la Lombardia, l’Ospedale Bolognini, l’Ospedale Maggiore Di Lodi, Fondazione Poliambulanza, l’Ospedale Papa Giovanni XXIII, l’Istituto Humanitas. Per l’Emilia Romagna, l’Ospedale Bentivoglio e l’Ospedale di Fidenza. Per il Veneto, l’Ospedale di Montebelluna, quello di Cittadella e quello di Mestre. Per l’Umbria, l’Ospedale di Città di Castello. Per la Toscana, il Presidio ospedaliero Lotti Stabilimento di Pontedera. Per le Marche, lo Stabilimento Umberto I – G.M. Lancisi. Per la Campania, unica regione del Sud a comparire in questa lista, l’Azienda ospedaliero universitaria Federico II di Napoli.

Schillaci: così migliora il Ssn

Intanto, a sintetizzare i principali dati del Programma nazionale esiti sui dati 2024 è intervenuto il ministro della Salute Orazio Schillaci, che ha ospitato la presentazione nella sede del dicastero a Roma: «L’edizione 2025 – ha ricordato – coincide con i dieci anni dall’entrata in vigore del DM 70/2015 e ci dà l’opportunità di fare un bilancio dell’evoluzione del Servizio sanitario nazionale. I dati di questa edizione confermano un principio fondamentale: quando il sistema opera con standard nazionali basati su riferimenti normativi precisi e con strumenti efficaci di monitoraggio, il sistema globalmente migliora. La concentrazione della casistica complessa in centri che garantiscono alti volumi di attività – correlati a maggiore efficacia – ha registrato miglioramenti notevoli: tra gli altri vorrei ricordare la chirurgia della mammella che è passata in quasi 10 anni dal 72% nel 2015 al 90% nel 2024, così come il tumore del polmone (da 69% a 83%) e della prostata (da 63% a 82%)», ha precisato il ministro.

Cosa ci dicono questi dati? Che in questi anni – ha commentato ancora Schillaci – «sono state garantite una maggiore qualità e sicurezza delle cure per quanto riguarda l’area oncologica, e ciò grazie proprio alla capacità propulsiva del Dm 70 che ha portato alla concentrazione degli interventi a maggiore complessità in strutture qualificate e, quindi, nelle mani di operatori più esperti. Riguardo all’area materno-infantile, c’è stata una graduale riduzione di parti cesarei che sono scesi dal 25% nel 2015 al 22% nel 2024 ed è lentamente cresciuta la percentuale di parti vaginali dopo taglio cesareo. Quindi si tratta di passi in avanti, ma dobbiamo e possiamo fare meglio per aumentare l’appropriatezza clinica in questo ambito». Anche gli esiti migliorano: ad esempio la mortalità per bypass aortocoronarico isolato scende all’1,5%, e quella a seguito di interventi sulle valvole cardiache al 2%.

«Non mancano tuttavia alcune criticità – ha avvisato il ministro -. Permane infatti, come in altri ambiti sanitari, un significativo divario Nord-Sud. Penso alla concentrazione di interventi oncologici complessi che al Sud fatica ancora a raggiungere gli standard previsti, specialmente per il tumore del pancreas (solo 28% in centri ad alto volume) e il tumore del retto. Anche la tempestività di accesso alle procedure salvavita varia considerevolmente tra il Nord e il Sud, come pure l’appropriatezza clinica in ambito materno-infantile, con particolare riferimento ai parti cesarei primari e ripetuti».

Il bilancio a 10 anni

«La novità di quest’anno – ha sottolineato Giovanni Baglìo, direttore scientifico del Programma nazionale Esiti di Agenas – sono i 10 anni dall’emanazione del Dm 70 e la riflessione si concentra su quanto questo strumento sia riuscito a condizionare le processualità e gli esiti rispetto alle soglie e la considerazione in generale che emerge è che il sistema è in grado di evolvere quando vi siano dei riferimenti chiari a livello nazionale e quando i sistemi di monitoraggio riescono a fotografare e a sostenere il cambiamento. Laddove questo non avviene o non è avvenuto, il sistema fa fatica a evolvere o addirittura va indietro». Tradotto: dove il Dm 70 ha prodotto soglie cioè ha fissato gli standard ed è stato recepito i miglioramenti ci sono. Ma le soglie non sono state fissate su tutto e il miglioramento è avvenuto dove i sistemi di monitoraggio hanno funzionato: ci sono casi in questo è avvenuto e altri in cui qualcosa è andato storto.

Tumori: retto e pancreas attenzionati

Emblematico il caso della chirurgia oncologica, Giano bifronte dal punto di vista di vista degli Esiti: da una parte, c’è il caso virtuoso del tumore maligno della mammella dove oggi si riesce a concentrare in centri ad alto volume quasi il 90% della casistica. Non a caso: per questa tipologia di cancro il Dm 70 aveva prodotto delle soglie e dispositivi di valutazione nazionale come il Pne ma anche regionali consentendo di monitorare l’andamento del fenomeno e c’è stata un’ampia mobilitazione delle regioni e dei professionisti. Tutt’altro discorso per il tumore del retto: qui in assenza di soglie nazionali i sistemi di monitoraggio hanno agito con difficoltà perché spesso questo tumore è stato confuso e accorpato con quello del colon, che è tutt’altro tipo di patologia e richiede una chirurgia con differente complessità. Addirittura per il tumore del retto si registra un peggioramento: le strutture ad alto volume diminuiscono e la capacità di concentrare gli interventi è diminuita dal 30% al 22 per cento. Ma perché per alcune patologie le soglie non sono state prodotte? «Perché per alcune patologie la letteratura nel frattempo è aumentata, vi è una maggiore documentazione rispetto all’esistenza di relazione tra volumi ed esiti e dunque il Dm 70 va aggiornato per ridefinire le soglie che ci sono e inserirne di nuove. Dieci anni fa il tumore della mammella rappresentava una priorità su cui ci si è giustamente concentrati ma altre patologie importanti sono rimaste in ombra», spiega Baglìo.

Cuore tra luci e ombre

Un discorso che non vale solo per l’oncologia: per l’area cardiovascolare, in 10 anni si è ottenuta una diminuzione del 21% degli infarti ma soprattutto la casistica si è concentrata in strutture grazie alle reti dell’emergenza cardiologica dove sono presenti centri hub e spoke. Una persona con infarto quindi oggi ha un’alta probabilità di finire in strutture qualificate. Diverso il caso del bypass aortocoronarico: qui si fa fatica a concentrare gli interventi perché ci sono troppe cardiochirurgie e perché la casistica si sta riducendo a fronte della difficoltà di concentrare i pazienti in strutture ad alta qualificazione. Anche qui servirebbe uno sforzo maggiore dal punto di vista della programmazione regionale e delle reti e i dati dovrebbero servire proprio a questo.

Cruciale quindi il tema della governance: i dati del Pne srevono per governare il sistema ma bisogna farne tesoro, così come va aggiornata la bussola del Dm 70/2015. Un tema su cui il ministero ha formalmente avviato un tavolo da anni ma siamo ancora in attesa di un decreto con nuove soglie – che vanno manutenute esattamente come gli indicatori – su aspetti problematici della gestione delle cure.

Cesarei sempre sopra-soglia

Sul fronte cesarei, siamo in netta risalita rispetto agli anni in cui l’Italia viaggiava sul 40% e se negli ultimi anni vediamo una riduzione minima – spiegano da Agenas – è perché il grosso calo negli interventi c’era già stato. L’Italia resta comunque nettamente al di sopra dello standard del 15% fissato dall’Organizzazione mondiale della sanità (Oms): i tagli cesarei sono in lieve calo dal 25% del 2015 al 22% del 2024 ma con forti differenze tra Nord e Sud con valori mediani al Meridione spesso al di sopra del 25% con punte del 30 e del 35%. Inoltre, ci sono aree del Paese in cui si continua a mantenere aperti i punti nascita al di sotto dei 500 parti l’anno, malgrado la legge ne disponga la chiusura. Più in generale, il ricorso alla chirurgia per un evento che dovrebbe essere naturale come il parto è minore negli ospedali pubblici e nei centri ad alto volume generando una forte inappropriatezza.

La frattura Nord-Sud

A tracciare plasticamente la frattura che permane tra Nord e Sud del Paese con il Meridione in svantaggio è l’elenco delle eccellenze: solo l’Aou Federico II di Napoli in Campania rientra nella rosa delle 15 strutture valutate su almeno 6 aree che hanno raggiunto un livello “alto” o “molto alto”. Le altre sono ripartite tra Lombardia (5 centri), Veneto (3 centri), Emilia-Romagna (2 centri), poi Toscana, Marche e Umbria ciascuna con un centro. Questo significa che le grosse strutture sono quasi tutte al Nord e questo resta un problema, anche se il Sud nel tempo mostra dei passi avanti. Il nodo per il 2024 resta la grande frammentazione in ambito oncologico, ad esempio, con i centri per il pancreas in condizioni ancora drammatiche, e il gap permane anche nell’area materno-infantile.

Le novità in arrivo

La Chirurgia mininvasiva è tra la novità di quest’anno: aumenta l’approccio mininvasivo che espone il paziente a minori complicanze come le infezioni. Idem per la robotica, che va monitorata perché per alcuni ambiti mancano le evidenze. Sono soddisfacenti i dati relativi all’approccio mininvasivo e all’utilizzo della robotica che mostrano un utilizzo sempre più diffuso di queste tecniche, soprattutto in ambito urologico, anche con il superamento dell’approccio open (con percentuali anche superiori all’80%).
Sul territorio siamo ancora ai dati delle Sdo: si misura la qualità in modo indiretto, utilizzando indicatori di ospedalizzazione evitabile cioè ricoveri che sarebbero evitabili qualora l’assistenza territoriale fosse di buon livello.
Sullo scompenso cardiaco non c’è stato miglioramento e soprattutto c’è un’ampia variabilità all’interno dei territori, il che probabilmente è una misura indiretta del fatto che l’assistenza territoriale non è uniforme. Ancora più eclatante è questo dato per il diabete: le complicanze a medio e lungo termine e la più impattante come l’amputazione degli arti mostra un tasso di ospedalizzazione ancora doppio rispetto alla mediana nazionale.