Costretta alla «retraction» la rivista scientifica che lo aveva pubblicato. Dubbi già nel 2018, ma l’articolo fin qui è sempre stato citato per sostenere il no a ogni divieto

(Andrea Capocci – ilmanifesto.it) – Uno degli studi che scagionava l’erbicida glifosato dalle accuse di nocività era stato scritto direttamente dalla Monsanto, l’azienda che il glifosato lo produce e lo vende. Per questo ieri la rivista che lo aveva pubblicato nel 2000 lo ha ritirato dalla letteratura scientifica. La «retraction» è quanto di peggio possa accadere a una ricerca: uno studio scientifico viene infatti ritirato quando si manifestano palesi errori scientifici nella sua preparazione o quando nasconde una frode. Come in questo caso.
Il glifosato oggetto dello studio è un potente erbicida commercializzato dalla Monsanto insieme alle varietà coltivabili geneticamente modificate per resistergli. Grazie alla modifica, gli agricoltori possono spruzzare il prodotto in grandi quantità senza danneggiare il raccolto. Nel tempo però le accuse per i danni dovuti al glifosato per la salute di chi lavora nei campi si sono moltiplicate. La sostanza, tuttavia, non è mai stata vietata perché diverse analisi come quella in discussione l’hanno regolarmente scagionata dalle accuse. Oggi il glifosato è classificato come «forse cancerogeno» dall’Agenzia internazionale per la ricerca su cancro dell’Organizzazione mondiale della sanità, una categoria ampissima di cui fanno parte anche la caffeina o le foglie di aloe.
Lo studio ora ritirato era intitolato «Safety Evaluation and Risk Assessment of the Herbicide Roundup and Its Active Ingredient, Glyphosate, for Humans». Lo avevano pubblicato sulla rivista Regulatory Toxicology and Pharmacology tre studiosi, Gary Williams del New York Medical College, Robert Kroes dell’università di Utrecht (Olanda) e Ian Munro della società di consulenze canadese Cantox (oggi Intertek). In apparenza, era una valutazione obiettiva sulla sicurezza dell’erbicida Roundup, nome commerciale del glifosato e uno dei prodotti di punta della società agrochimica. Nelle rassicuranti conclusioni, si legge che «il glifosato non pone un rischio per la salute umana».
In realtà, dai documenti interni resi pubblici per un’inchiesta sul legame tra glifosato e linfoma, già nel 2018 era emerso come quell’analisi fosse stata scritta dall’azienda stessa. I tre autori si erano limitati a prestare i loro nomi alla pubblicazione per conferirle rispettabilità accademica, senza rivelare i legami con Monsanto. Su quelle rassicurazioni oggi pesano molti dubbi. Come avviene in questi casi, la redazione ha fornito le motivazioni complete del ritiro: oltre al ghost writing aziendale, dietro a cui si cela probabilmente un compenso per gli scienziati-prestanome, l’analisi presentata nello studio omette anche risultati scientifici negativi per il glifosato al fine di presentarlo in una luce migliore.
Malgrado lo scandalo fosse emerso da tempo, lo studio non era stato ritirato immediatamente e ha continuato a inquinare il dibattito accademico e sanitario sulla sicurezza dell’erbicida. Nello scorso settembre, gli storici della scienza Alexander Kauros e Naomi Oreskes (autrice di «Mercanti di dubbi. Come un manipolo di scienziati ha nascosto la verità, dal fumo al riscaldamento globale», 2025, Edizioni Ambiente) avevano ricostruito in dettaglio l’influenza dello studio. La pubblicazione è stata citata in oltre seicento ricerche successive e ha rappresentato «una pietra miliare nella valutazione della sicurezza del glifosato», come afferma ora la stessa rivista che lo ha ritirato. Ma solo in tredici casi la citazione segnalava anche i dubbi sulla solidità della ricerca.
Lo studio invece è citato senza alcun avvertimento in diverse linee guida internazionali sull’uso del glifosato – l’ultima volta dal ministero della salute neozelandese un anno fa – e persino dalla Corte Internazionale di Giustizia che ha dovuto dirimere la causa tra Ecuador e Colombia sull’uso degli erbicidi spray. Lo studio ha anche influenzato il contenuto dell’enciclopedia online Wikipedia, che a sua volta fa da banca dati per le intelligenze artificiali che sempre più spesso vengono utilizzate per accedere all’informazione digitale.
Gliaffossato
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B@stardi maledetti.
Qualcuno ha mai sentito parlare dello Studio 329?
Mai ritirato per quanto ne so, dove la Glaxo aveva fatto dimostrare che ops, un suo antidepressivo faceva bene anche ai bambini.
Study 329 – Wikipedia
E non era vero. Però intanto ci hanno fatto 12 mld di ricavi questi criminali.
The JAACAP article on study 329 has not been retracted.[3][4] The journal’s editors say the negative findings are included in a table, and that therefore there are no grounds to withdraw the article.[25] In September 2015 the BMJ published a re-analysis of the study. This concluded that neither paroxetine nor imipramine had differed in efficacy from placebo in treating depression, that the paroxetine group had experienced more suicidal ideation and behaviour, and that the imipramine group had experienced more cardiovascular problems.[26][9][3][27][28]
Qualcun altro ha mai sentito parlare del dottor Andrew Wakefield? Lì stranamente non si sono fatti molti scrupoli a ritirare lo studio che ipotizzava correlazioni tra autismo e vaccini.
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Al di la del singolo episodio, già grave di suo, il problema ancora più grave è la struttura del modello di divulgazione scientifica e, soprattutto, l’influenza di grandi imprese, del ghost writing aziendale sulla “filiera” dell’evidenza scientifica.
Il caso Monsanto non è isolato: in diversi settori (farmaci, pesticidi, tabacco, combustibili fossili, alimentazione) ci sono stati tentativi di scrivere internamente articoli, farli firmare da accademici e pubblicarli come “ricerca indipendente”.
La cosa che colpisce è il ritardo: lo scandalo era noto dal 2018, ma la retraction arriva solo adesso.
Il motivo è chiaro: siamo in un territorio dove scienza, politica ed economia si sovrappongono, e dove ammettere un errore significa toccare interessi molto forti.
L’obiettivo di un’impresa è proteggere il valore dei propri prodotti;
quando un settore dipende dalla percezione di sicurezza (pesticidi, farmaci, alimenti, combustibili) anche un dubbio scientifico può spostare miliardi.
Non stupisce che aziende potenti tentino di costruirsi una reputazione “scientifica”, evitare regolazioni più stringenti, mantenere mercati aperti, ritardare provvedimenti.
E qui che nascono due problemi: il primo nasce quando la protezione economica arriva ad alterare la produzione scientifica, il secondo è l’inerzia (quando non la complicità) della politica nel porre fine a pratiche di questo tipo.
La politica potrebbe fare due cose: maggiore trasparenza (rendere pubblici i dati, peer review firmata, banche dati sui conflitti di interesse) e soprattutto finanziare la ricerca.
Purtroppo la scienza sa come proteggersi dagli errori, ma non sa farlo dalle manipolazioni e quando c’è manipolazione salta la trasparenza e la scienza diventa solo uno strumento di potere.
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Diobono, veleno puro spray! C’erano video di persone che lo spargevano sui campi di qualche coltura che stavano con gli scafandri tipo Cassandra Crossing. Te lo immagini mangiartelo sulla verdura?!
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