Ucraina e Gaza, nel loro orrore, hanno un percorso, un obiettivo per quanto cinico e terribile. Nel cuore dell’Africa, dal Darfur al Kordofan, il dolore non ha più una ragione a cui aggrapparsi

(Domenico Quirico – lastampa.it) – C’è chi infila, subdolamente, la guerra in Sudan nella comoda categoria delle guerre dimenticate. Bugia. Bugia comoda. Serve a tirare un sospirone fatalistico e a passare oltre. Sotto l’aggettivo si insinua una confortante auto-assoluzione: se nessuno si occupa con la memoria di un massacro vuol dire che è faccenda secondaria, carnaio periferico, una locale manifestazione di stupidità umana. E allora possiamo lavarcene le mani. Morite pure, per favore in silenzio. E se arrivano le urla dei moribondi e dei seviziati, beh!, lo stratagemma di Ulisse, tapparsi le orecchie, funziona. Abbarbicatevi al timone e alzate le vele, i marosi del rimorso son presto alle spalle.
La guerra in Sudan non è una guerra dimenticata. Quelli che contano, a Washington e a Riad, al Cairo e ad Ankara, la ricordano benissimo. La finanziano, la prolungano, vendono armi moderne (ah i droni! Anche l’Africa è entrata nel millennio della morte tecnologicamente avanzata), hanno piani per il dopo. Questa è una guerra senza senso, la sua tragicità è proprio in questo orribile vuoto. Prendete tutte le categorie di conflitti, guerre di dio e di Mammona, guerre giuste e ingiuste, guerre di aggressione, ideologiche, di liberazione. Guerre rivoluzionarie e reazionarie, guerre di status, guerre inutili… Tutte hanno un orribile senso. In Ucraina l’infinito dolore degli uomini è legato a uno scontro per il territorio, forse indirettamente per il dominio del mondo. La guerra di Gaza è la lotta per una terra che due popoli vogliono tutta. C’è un filo, una spiegazione.
La guerra tra Mohamed Dagalo detto Hemetti, il capo dei paramilitari delle forze di intervento rapido e il generale Abdel al-Burhan, golpista al potere è tra due buffoni sanguinari che non perdono tempo a indossare un frac ideologico o la mimetica di gala. Non date retta a certi pignoli, nessuno di questi due criminali parla a nome del popolo. Sono dei Bokassa senza le incoronazioni di cartapesta che servono solo a abbagliare i babbei.
Una volta i colonnelli africani golpisti si camuffavano con una “buona causa”, il comunismo casermesco, il populismo un po’ gauche. Poi ci aggiungevano nepotismo, corruzione e l’indispensabile terrorismo poliziesco. Ora son rimasti orfani. Prendete il potere sotto la mira di una pistola: guidare una rivoluzione non garantisce più niente, ciò che una pistola dà, un’altra lo riprende. In ciascuno dei subordinati sonnecchia un rivale. I due sgherri sudanesi puntano al sodo, le miniere d’oro, con cui pagano il disturbo di alleati pesanti, l’Egitto, l’Arabia Saudita, gli Emirati, la Turchia. Gli americani stanno a guardare, un po’ per impotenza un po’ perché Trump non ha ancora trovato qui motivi di business privato sufficienti. La Russia c’è, ma attende, per scegliere, prima di vedere chi vincerà. Intanto fanno affari mercenari di tutte le risme e passaporti con la ferocia di una maledizione.
È una guerra di predoni, con nessun obiettivo ideologico, senza memorie, perfino senza un esito perché chiunque vinca, il futuro sarà lo stesso, ovvero gente ebbra di potere denaro sangue. Tra i due rivali è impossibile anche al più meticoloso degli analisti stabilire dove sia il male minore, il preferibile, il buono. Mettono da parte i complessi: lo stupro di una donna, il massacro di vecchi e bambini, il martirio di intere città, undici milioni di fuggiaschi tallonati dalla fame e dalle pestilenze. Suvvia: è il battesimo del sangue che distingue tra amici e nemici.
Decine di migliaia di morti di kalashnikov, di droni, di fame, di colera, di machete, di torture e stupri sono morti senza martirio, all’orrore del morire è stato aggiunto quello di morire per niente. Senza neanche quella patetica consolazione della morte eroica per una causa, una giustizia, una fede. Si uccide, senza ragione e senza progetto. Così. La banalità dell’efferatezza. Carneficine mute.
Due anni, per una storia semplice: una pluridecennale dittatura, quella del volpino Al-Bashir, un frutto tardivo delle rivoluzioni arabe del 2011 ma altrettanto fragile, la speranza di un cambiamento, dura un nulla, un golpe militare quello del generale Al-Burhan, la ribellione di un suo complice Dagalo, il capobanda dei massacratori del Darfur all’epoca a libro paga del dittatore defunto. A lui non basta essere un vice, la parte di potere e ruberie che gli è stata assegnata. Vuole di più, vuole tutto. È iniziata così, ad aprile del 2023.
Il resto non appartiene né a von Clausewitz o a Hegel, neppure ad Allah: la battaglia per Khartum che sbriciola la grande città bianca sulle rive del Nilo, la vince il generale, la guerra si sposta a Nord. Ecco irrompe la città di Al-Fashir, e il suo assedio interminabile, una geenna di fuoco, una cloaca bollente dove si procede a una vivisezione crudele. Senza cibo e medicine decine di migliaia di abitanti scendono la scala della disperazione fino a nutrirsi del cibo per gli animali. Poi non resta più niente. La morte, sempre la morte. Perché quando Al-Fashir cade nelle mani impazienti di Dagalo è il massacro. A chi vuole fuggire, i miliziani chiedono taglie di migliaia di dollari, si paga online su banche fidate. Si prosegue il lavoro interrotto, nel Darfur le tribù non arabe devono scomparire. Ora il volenteroso macellaio va a sfogliare un’altra regione, il Kordofan.
Dove lo metteremo, nella storia del ventunesimo secolo, un suo generale, Abu Lulu al secolo Abdullah Idris? Non c’è bisogno di cercare prove contro di lui. Ha provveduto modernamente da solo, sui social. Facendosi filmare nelle vie della città espugnata mentre applica personalmente tra schizzi di sangue e mitragliate, l’arte del regolamento di conti. Alcune decine di sventurati in ginocchio gli chiedono pietà. Soldati sconfitti? Colpevoli di etnia sbagliata? Chissà. Lui sghignazza, dice che prima di perdere il conto ha già ucciso duemila persone. Provoca con la boria dell’impunità: «Continuerò a uccidere, se l’Onu vuol chiedermi spiegazioni venga qui…».
Il clamore sollevato dalle immagini (molto sommesso) ha indotto Hemetti a farlo arrestare. Per finta. Oggi sarà già nel Kordofan, antica terra dei razziatori di schiavi. Lavora. Uccide. Lulu è uno che ha compreso perfettamente dove va moralmente il terzo millennio.
Ad Al-Fashir hanno iniziato a cancellare le prove del delitto, i bulldozer scavano grandi fosse vicino all’ospedale saudita o usano le trincee di chilometri usate per l’assedio. Si deve fare in fretta.
Il quattro dicembre droni delle milizie hanno colpito nella città di Kalogi una scuola materna. Un altro drone è piombato su coloro che stavano cercando di portare soccorso: cinquanta morti, trentatré bambini. Sudan, anno del signore 2025.
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Il Sudan non rientra tra le priorita’ di Trump….e tantomeno degli altri…!!! Laggiu’ la vita media è di 60 anni….ma non frega un belin a nessuno….!!!
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Dove sono i sodoNATOmiti che ogni 3×2 quando si parlava della Palestina dicevano anche qui E ALLORA IL SUDAN?!?!?!!??!
Eccovelo.
Adesso spiegateci COSA potremmo fare di preciso per fermare questo massacro.
Mentre a Israhell l’abbiamo coccolato e tutelato in ogni modo e adesso abbiamo JR Delrio che vuole persino fare un DL antisemitismo.
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