La fondatrice di FdI è leader assoluta di una maggioranza che non fiata. La segretaria dem invece, tra alleati e regole interne, parla con il freno a mano

Giorgia e Elly, duello impossibile

(Flavia Perina – lastampa.it) – Di solito dopo le sfide televisive ci si chiede chi ha vinto e chi ha perso. Nel caso, il giudizio è arduo: Giorgia Meloni ed Elly Schlein hanno parlato ciascuna al suo popolo, ai suoi elettori, ai suoi simpatizzanti. Ma il colpo giornalistico di Enrico Mentana va valutato con un altro metro, e cioè immaginando quale altro nome, personalità, e soprattutto faccia potrebbe essere appaiata con possibilità di vittoria a quella della premier in un futuro e più autentico confronto in diretta. Chi risulterebbe più efficace? A suo tempo, il popolo delle primarie scelse Schlein anche per questo, giudicandola simmetrica alla leader di FdI per età, energia, carica innovativa e assolutamente alternativa per biografia e contenuti politici. Non un’imitazione ma un credibile alter ego. Ora quel sentimento si è alquanto appannato, e tuttavia: ciascuno provi a raffigurarsi la doppia intervista con un’altra faccia al posto di Meloni, e poi valuti.

Per il resto, il duello in differita tra Elly Schlein e Giorgia Meloni è stato (soprattutto) il confronto tra due posizioni politiche disallineate. Schlein è capo di un franchising correntizio irrequieto, è proiettata verso una candidatura a premier che non può ammettere nemmeno come desiderio ( “deciderà il partito”), è vincolata a regole interne datate ma immodificabili. Insomma: deve parlare tenendo tirato il freno a mano. Meloni è leader assoluto di una maggioranza che non fiata, regina senza bisogno di congressi, primarie, conferme, che mette a sistema pure le bizze degli alleati scrollando le spalle alle obiezioni di Matteo Salvini sull’Ucraina ( «La linea del governo rimane la stessa, la pace si costruisce con la deterrenza») e in molti passaggi si può permettere anche di scordarsi il classico «noi politico»: dice «io» ed è sufficiente, perché quella prima persona personale è il riassunto di tutto il resto.

Anche per questo la rappresentazione delle posizioni dei due poli (uno reale, l’altro ancora immaginario) sui temi del momento è risultata zoppa. Sulla politica estera, sul premierato e sulla prospettiva stessa di una potenziale alleanza progressista, Schlein ha dovuto esprimersi a titolo di segretario del Pd, perché un patto nazionale ancora non c’è. Il suo rifiuto di una pace senza Kiev e l’Europa al tavolo della trattativa sarebbe condiviso dal campo largo? Oppure risulterebbe indicibile pure la battuta su Matteo Salvini con la maglietta di Putin, visto che il Movimento Cinque Stelle ha sempre coltivato analoghe simpatie? E anche sul netto no al premierato con la connessa riforma elettorale, vai a vedere. Giuseppe Conte ha già detto che vuole tenersi mani libere addirittura fino al prossimo autunno, tempi infiniti, rischi infiniti. Al contrario, l’”io” di Meloni riassume l’intero centrodestra. È tanto solido da riuscire ad aggirare anche la notizia di giornata della nuova Strategia nazionale pubblicata dalla Casa Bianca, che inquadra l’Europa come un nemico, le intima di cambiare la sua politica e la sua economia, strapazza i suoi governi come deboli e antidemocratici. La premier nega la rupture («non parlerei di incrinatura») e si appella al processo storico inevitabile, al quale bisogna rispondere dotandosi di una difesa indipendente: pure qui il noto dissenso salviniano è derubricato a ordinaria discussione su come servire al meglio gli italiani. Stesso copione per i sì della premier alla riforma della giustizia e al premierato come norma di stabilità, o per il ragionamento sul sostegno ai salari limitato dalle spese per il superbonus: sono paletti che non contemplano dubbi o controcanti.

Sarebbe stato davvero interessante vederle sullo stesso palco per una sfida vera e personale: la donna del popolo così sicura di sé e la ragazza che si fece le ossa nella campagna di Obama, quella che dice Nazione e quella che dice Paese, la signora che rivendica il miracolo italiano citando il costo dell’instabilità dei precedenti governi (265 miliardi) e quella che demolisce i record governativi raccontando l’incontro con l’anziana che non si può curare perché la Tac costa troppo e l’ospedale pubblico non la mette in lista. Ma non succederà a breve e forse mai: se il destino della candidata Meloni è chiarissimo, quello della sua possibile sfidante lo è assai meno, e la premier ieri ha rigirato pure il coltello nella piaga: prontissima alla sfida col capo dell’opposizione «ma mi dicano chi è», se no basta l’ordinario confronto in Parlamento.