Il governo sfila altri 100 milioni per gli emendamenti dei senatori. Stop Bce all’emendamento di Fratelli d’Italia sull’oro della Banca d’Italia. E il Pd annuncia: «Ostruzionismo sui Lep» 

(Stefano Iannaccone – editorialedomani.it) – Comunque vada i deputati potranno giusto votare, senza nemmeno il tempo di leggerla fino in fondo. Perché, se proprio tutto andasse per il meglio, il testo non arriverebbe a Montecitorio prima del 20 dicembre per l’avvio dell’iter. E il testo deve essere approvato entro il 31 dicembre per evitare l’esercizio provvisorio.

palazzo Madama non va tanto meglio. I senatori dovevano giocare la parte del leone, visto che a loro spettava la prima lettura, ma sono stati esautorati dai vertici tra leader. E tanti saluti al lavoro delle commissioni e dell’aula.

È una legge di Bilancio “extraparlamentare”. Nella sostanza una manovra da premierato, se non da presidenzialismo sudamericano. E questo nonostante la «madre di tutte riforme», che dopo mesi fuori dai radar è riapparsa nel calendario di gennaio della Camera, non abbia nemmeno affrontato la seconda lettura.

Blitz differenziata

Lo strapotere del governo è inarrestabile. Il colpo di mano prevede addirittura l’inserimento, alla chetichella, di disposizioni a favore dell’autonomia differenziata, aggirando i rilievi della Corte costituzionale un ampio dibattito parlamentare. «Deve essere chiaro che con i Lep dentro la manovra (presenti nel ddl del governo, ndr) la legge non si approva. Se vogliono un duro ostruzionismo siamo qui», ha puntualizzato il capogruppo del Pd al Senato, Francesco Boccia.

La famelicità della destra ha travolto e divorato finanche la possibilità di spendere le risorse a disposizione, nel piano triennale della manovra, degli emendamenti parlamentari. Il cosiddetto fondino da 100 milioni di euro già drasticamente ridotto rispetto agli anni scorsi.

«L’unica comunicazione al parlamento è il taglio di 100 milioni di euro nel 2028. Sono 100 milioni in meno per poter individuare misure utili», ha sottolineato il senatore del Pd, Daniele Manca. Così, tanto per fare un esempio, vengono azzoppati stanziamenti per fondi pluriennali, come quelli per la scuola o per supportare la morosità incolpevole sugli affitti.

Appena i senatori hanno provato a modificare il provvedimento, l’esecutivo ha stoppato tutto e avviato trattative secretate, rigorosamente fuori dai luoghi istituzionali.

È successo con le banche: l’idea di un’aliquota aggiuntiva, proposta dalla Lega, è stata affidata a summit sotto chiave tra esecutivo e Abi. Il confronto in parlamento? Da sale della democrazia a chimera.

Il Senato resta spettatore di una partita che si gioca su altri campi, collocati tra palazzo Chigi e via XX Settembre, sede del Mef. Mentre, come accennato, alla Camera non c’è alcuna speranza di sfiorare il provvedimento. Andrà ingoiato già impacchettato.

Parole di facciata

Eppure il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, di fronte alle questioni più delicate della legge di Bilancio, ha sempre usato la formula «decide il parlamento». Belle parole, cariche di fiducia nell’iter istituzionale, ma smentite dai fatti; che portano dritti al premierato.

Giorgia Meloni, da presidente del Consiglio, ha inferto un altro colpo al parlamentarismo in questa manovra, ricalcando i passi di quanto avvenuto negli anni scorsi. Nel 2023 aveva lanciato l’incredibile modello di finanziaria a “emendamenti zero” (all’epoca premier e ministro dell’Economia avevano imposto il silenzio ai parlamentari della maggioranza). E dire che, da leader dell’opposizione, Meloni attaccava duramente i governi che comprimevano gli spazi di confronto in parlamento.

Certo, rispetto a due anni fa le proposte parlamentari sono state depositate dalla maggioranza, solo che il livello di incidenza dei senatori è prossimo allo zero. Un ulteriore scivolamento verso la mortificazione del parlamento con gli eletti ridotti a schiaccia-bottoni agli ordini del governo. Un altro pezzo del puzzle del premierato di fatto dopo i cento voti di fiducia chiesti dall’inizio della legislatura. Un dato che aumenterà nei prossimi giorni.

I tempi di esame del provvedimento, infatti, rischiano seriamente di comprimersi. Il presidente della commissione Bilancio di palazzo Madama, Nicola Calandrini (Fratelli d’Italia), ha confermato che l’obiettivo resta quello di far approdare il testo in aula il 15 dicembre.

La sfrontatezza di Fratelli d’Italia arriva a sfidare le istituzioni europee. Il partito di Meloni insiste sull’oro della Banca d’Italia che appartiene al popolo, come recita l’emendamento firmato da Lucio Malan, presidente dei senatori meloniani.

Opzione scartata dalla Banca centrale europea. «La detenzione e la gestione delle riserve auree spettano esclusivamente alle banche centrali nazionali, e la Banca d’Italia non fa eccezione. Non è una questione banale», ha detto la presidente della Bce, Christine Lagarde.

Un ragionamento approvato dall’eurodeputato del Movimento 5 stelle, Pasquale Tridico: «Questo tesoro dell’Italia appartiene a tutti ed è garanzia di benessere e stabilità per il nostro paese».

I meloniani non hanno intenzione di arretrare su una loro bandiera ideologica. «Si fa fatica a comprendere la polemica», ha detto il deputato di FdI, Francesco Filini, che ha rilanciato: «L’emendamento è chiaro, non mette in alcun modo in discussione l’autonomia della Banca d’Italia».

Un premierato fortissimo che non teme nemmeno l’Eurotower.