Il destino del continente si gioca sulla capacità di scegliere la pace senza umiliare l’Ucraina né consegnarsi a Mosca.

(di Gianvito Pipitone – https://gianvitopipitone.substack.com) – Matteo Salvini è forse l’ultima persona a cui darei credito in questo governo, per le cose che dice, per quelle che pensa e per lo stile che incarna. Eppure, anche un orologio fermo due volte al giorno segna l’ora giusta. Stavolta la sua voce – pur intrisa di un amore mai nascosto per Mosca e di attestati di stima verso Putin, che sembrano più il tributo a un padre, a un maestro o a un artista che non a un leader politico – tocca un punto che non può essere liquidato con leggerezza.

Inaugurando la sede dell’Enac, ha auspicato di “riaprire i commerci e il dialogo con un paese con cui non siamo in guerra”, sottolineando che l’Italia non ha alcun interesse a nuove guerre, ma piuttosto a ricostruire ponti, magari prima di altri. È un auspicio che viene spontaneo condividere, perché l’alternativa resta una guerra che non solo continua senza tregua, ma rischia di trascinare con sé l’intera Europa. Certo, il ministro Salvini non spiega nulla sul come arrivarci, sul percorso concreto da seguire; ma in fondo, se il fine è la pace, allora persino il mezzo – il suo sconsiderato “amore” per Putin – diventa parte del gioco.

Al contrario, va registrato che l’Europa che conta continua a fare orecchie da mercante. Lo dimostrano gli appunti di una conferenza telefonica riportati da Der Spiegel: Merz e Macron hanno messo in guardia Zelenskyj, avvertendolo che gli Stati Uniti potrebbero tradire tanto l’Ucraina quanto l’Europa. “Devi essere molto prudente, stanno giocando con te e con noi”, si legge nelle carte. Parole tutt’altro che distensive, che rivelano la profonda diffidenza europea verso i mediatori americani e, in filigrana, verso lo stesso Putin. Ma soprattutto parole che non portano alcun passo avanti concreto verso la pace.

E invece, c’è oggi un bisogno urgente di Realpolitik, concetto tanto caro ai tedeschi e nato proprio da quelle parti. Terminata la tutela d’oltreoceano, l’Europa deve finalmente imparare a pensare con la propria testa. Non può continuare a vivere di regali della Nato o di favori di Trump che ne condizionino la volontà. I leader del continente – da Merz a Macron fino a Meloni e altri- hanno il dovere di mantenere la lucidità necessaria: non cadere nelle provocazioni di Putin e, al tempo stesso, non lasciare che sia Zelensky a dettare per intero l’agenda.

Mentre Putin continua a ribadire che “l’Occidente non deve minacciare la sicurezza della Russia e deve accettare nuove realtà territoriali”, l’Europa ha il dovere di affrettarsi a definire una posizione autonoma e una soluzione credibile: una via che non mortifichi la resistenza ucraina e, al tempo stesso, riconosca all’orso russo solo ciò che rappresenta il massimo sacrificabile.

Se il prezzo da pagare per evitare che questa catastrofe si prolunghi all’infinito è sacrificare una parte di territorio, allora si abbia il coraggio di lavorare in quella direzione. Bisogna essere realistici e non inseguire illusioni. Allo stesso tempo, la diplomazia deve attivarsi per garantire le migliori forme di sicurezza contro il ritorno di un attacco da parte di Mosca. La pace, insomma, non può avere alternative: occorre limitare i danni. Se il congelamento del fronte è il compromesso necessario per riportare un minimo di stabilità, ci si adoperi subito, perché troppo tempo è stato perso e troppe vite civili e militari sono state immolate sull’altare della “difesa della patria”.

I problemi si potranno riaffrontare in futuro, a bocce ferme, ma oggi serve una pace concreta, possibile. E lo ripeto, come sa chi mi segue, con un senso di responsabilità personale: mi vergognerei di più a dover spiegare a mio figlio di nove anni che, per colpa di una diplomazia testarda e ottusa, l’Europa e l’Italia sono entrate in guerra; piuttosto che raccontargli che, a causa di un regime arcaico e di un leader prepotente, due popoli – quello russo e quello ucraino – stanno pagando un prezzo altissimo.

Una posizione sensata, se l’obiettivo principale fosse davvero quello di scongiurare il rischio di trascinare Europa, Russia e America in una terza guerra mondiale capace di cancellare ogni traccia di umanità dal pianeta. Ma se, invece, l’obiettivo di questa Europa fosse un altro – salvare tardivamente la faccia dopo una sconfitta cocente, o restare ancorati alle proprie poltrone perché finché c’è guerra c’è speranza di sopravvivenza politica – allora sì che avremo un problema.

Un grande problema, Houston …