Parla Vittorio Mete, ordinario di sociologia della politica all’Università di Firenze e coautore di un saggio sulle dinamiche dell’astensionismo elettorale in Italia e in Europa

Illustrazione di Maria Limongelli/Il Sole 24 Ore

(di Manuela Perrone – ilsole24ore.com) – La malattia? «Non tanto la sfiducia nella politica, ma l’idea che questa politica non serva e il mio voto men che meno». La cura? «Il buon esempio: rendere utile la partecipazione». Ne è convinto Vittorio Mete, ordinario di Sociologia dei fenomeni politici all’Università di Firenze e coautore con Dario Tuorto del saggio “Il partito che non c’è” (Il Mulino, 2025), che analizza le dinamiche dell’astensionismo elettorale in Italia e in Europa.

Insistete molto sull’attenzione ai «veri numeri dell’astensione». Che cosa intendete?

La percentuale di astenuti è ingannevole. Contiene al proprio interno tante cose diverse che è invece bene distinguere. Il giorno delle elezioni, per vari motivi, si trovano lontani dal seggio circa 5 milioni di elettori, pari al 10% del corpo elettorale. Principalmente lavoratori e studenti fuorisede. C’è poi un 15% di elettori iscritti all’Aire, che certamente non tornano in Italia per votare alle comunali o alle regionali. Entrambe queste categorie di elettori “ostacolati” sono più presenti nel Mezzogiorno che altrove. Depurare le liste elettorali delle diverse Regioni potrebbe allora riservare qualche sorpresa.

L’ultima tornata di regionali ha visto un calo medio del 14% della partecipazione al voto. Quali sono le cause della diserzione delle urne?

La partecipazione elettorale è da tempo su un piano inclinato. Meno gente va a votare, più il voto perde la sua natura di dovere civico. Di fondo, non c’è tanto la sfiducia nella politica, ma l’idea che questa politica non serva. E il mio voto men che meno. Malgrado ciò, ogni elezione fa (quasi) storia a sé. Si veda quanto successo di recente a New York. In generale, quando l’esito delle elezioni è scontato, molti elettori si risparmiano la fatica di informarsi e andare a votare. Si può leggere così l’esito di queste regionali e ancor prima quello delle politiche del 2022. Inoltre, a spingere in alto o in basso la partecipazione concorre il clima politico del momento, se acceso o sottotono. Spezzettare il voto regionale in più tornate ha ridotto la portata mediatica e politica di queste elezioni. E la mobilitazione ne ha risentito.

Oltre alla quantità, invitate a esaminare anche la qualità del non voto. Quale fenomeno racconta?

L’astensionismo non colpisce tutte le fasce sociali allo stesso modo. Gli elettori socialmente più centrali – chi vanta cioè alti titoli di studio, si trova in una fascia d’età intermedia, ha una buona occupazione ecc. – votano più spesso degli altri. Se alcuni gruppi sociali votano poco, la classe politica non avrà interesse a corteggiarli o assecondarli. Di conseguenza, le politiche pubbliche saranno orientate verso chi vota, piuttosto che verso chi non vota. Perciò, come una profezia che si autoavvera, gli astensionisti avranno ulteriori motivi per ritenere che la politica non si occupi di loro. La democrazia diventa così sempre più disuguale. Da questo punto di vista, forse in maniera un po’ provocatoria, si potrebbe dire che è preferibile avere un 30% di partecipanti ben distribuiti tra le fasce sociali che un 60% dal quale rimangono fuori però gli elettori più deboli.

Un consiglio ai partiti: si può rimediare? E come?

Evitare di escogitare soluzioni semplici e geniali per problemi complessi e radicati. In questi giorni abbiamo letto di voto elettronico, per corrispondenza, delegato, presidiato anticipato, di election day e molto altro ancora. A parte le difficoltà di rendere queste modalità compatibili con la nostra Costituzione, gli studi internazionali ci dicono che tali rimedi non servono a molto. Sono peraltro misure che mirano a facilitare il voto di chi ha già intenzione di votare. Non riguardano, se non marginalmente, chi decide di non votare. A chi la minestra non piace è inutile servigliela in un piatto di porcellana, anziché di plastica. Non la mangerà lo stesso. Per fargliela piacere bisognerebbe insistere sull’educazione del gusto, sull’importanza di un’alimentazione corretta ecc. Fuor di metafora, solo la convinzione che la partecipazione di ognuno sia utile e doverosa per il corretto funzionamento della democrazia ci salverà dalla deriva astensionista. Queste cose si imparano presto nella vita. In famiglia, a scuola, nelle associazioni, nei partiti, da politici che danno il buon esempio. Ecco allora da dove ripartire: dal buon esempio.