Anche le regionali in Campania, Puglia e Veneto confermano che non siamo davanti a un fenomeno fisiologico né a un semplice sintomo temporaneo. Si tratta di un segnale profondo e strutturale che richiede interventi immediati. È per questo che diventa urgente costruire, subito e con decisione, le condizioni per una nuova stagione di partecipazione consapevole. Serve agevolare il voto, più educazione civica, più attenzione alle donne e alle periferie

(Pierpaolo D’Urso* – editorialedomani.it) – Il Rapporto BES 2024 dell’Istat, che fotografa lo stato del benessere equo e sostenibile in Italia nel 2024, delinea, con riferimento al dominio Politica e istituzioni, un quadro segnato da un paradosso evidente: mentre nel lungo periodo si registrano avanzamenti significativi in specifici ambiti, soprattutto nella rappresentanza femminile e nella fiducia verso alcune istituzioni, la partecipazione elettorale continua a deteriorarsi in modo costante e profondo.
La metà degli indicatori del dominio peggiora nell’ultimo anno e, fra questi, quello più cruciale per la vitalità democratica del paese si colloca su livelli ormai insostenibili. Alle elezioni europee del 2024 la partecipazione si ferma al 49,8 per cento, scendendo per la prima volta sotto la soglia simbolica del 50 per cento.
È un dato che da solo racconta la trasformazione culturale e civica di una nazione che, nel 2004, registrava il 73,1 per cento di affluenza e superava la media Ue di oltre 27 punti percentuali. Oggi quella distanza si è completamente azzerata e ribaltata: mentre la media europea cresce di 5,3 punti in vent’anni e raggiunge il 50,7 per cento, l’Italia perde 23,3 punti e si colloca un passo indietro rispetto alla media Ue.
La caduta non è episodica ma strutturale, perché investe anche le elezioni nazionali, configurando una traiettoria discendente che attraversa territori, generazioni e condizioni sociali.
Fiducia nelle istituzioni
L’analisi territoriale rivela un’Italia che continua a muoversi in ordine sparso, con un Nord più partecipativo – 55,1 per cento nel Nord-ovest e 53,9 per cento nel Nord-est –, un Centro che regge al 52,5 per cento e un Mezzogiorno che fatica a superare il 43,7 per cento. Le Isole si fermano al 37,7 per cento e rappresentano da oltre un decennio l’area più distante dall’urna. Il divario territoriale si restringe da 26,7 punti del 2019 a 17,7 nel 2024, ma questa apparente convergenza si spiega soprattutto con la flessione più rapida delle regioni del Nord, come il Nord-est che perde dieci punti in un solo quinquennio. Anche le dinamiche di genere presentano elementi di interesse: gli uomini continuano a votare leggermente più delle donne, 50,6 per cento contro 49 per cento, ma il divario cala sensibilmente rispetto al 2019.
In controtendenza, nelle Isole la partecipazione femminile cresce di 2,1 punti pur restando su un livello drammaticamente basso, pari al 36,5 per cento. Accanto al declino della partecipazione, il BES 2024 registra un miglioramento della fiducia nei confronti delle istituzioni politiche, che pur restando lontane dalla sufficienza mostrano segnali di recupero nel medio-lungo periodo. I partiti politici ottengono un voto medio di 3,5 (su una scala 0-10) contro il 2,4 del 2014, il parlamento sale da 3,5 a 4,7 e il sistema giudiziario da 4,2 a 4,9. Aumenta anche la quota di cittadini che assegna un voto almeno sufficiente: nel caso del parlamento si passa dal 21,3 per cento al 40,8 per cento, mentre per i partiti la quota raddoppia dal 10,2 per cento al 22,4 per cento. Si riducono contestualmente gli sfiduciati totali, soprattutto verso i partiti, nei quali i giudizi pari a zero scendono dal 35,7 per cento al 22,1 per cento. Resta invece molto alta e stabile la fiducia verso le istituzioni della sicurezza, con le Forze dell’ordine che mantengono un voto medio di 7,4 e i vigili del fuoco che raggiungono 8,1 e sfiorano il 90 per cento di giudizi positivi.
Le differenze per titolo di studio e fascia d’età confermano che la fiducia non è distribuita in modo uniforme: i laureati esprimono i livelli più alti di fiducia verso quasi tutte le istituzioni, mentre la fascia 25–44 anni è la più diffidente. I meno istruiti, sorprendentemente, mostrano una fiducia leggermente maggiore nei partiti rispetto ai laureati, soprattutto tra i 25 e i 64 anni.
Parità di genere
Il fronte della parità di genere presenta dinamiche ambivalenti. Da un lato, la rappresentanza femminile nei consigli di amministrazione delle società quotate continua a migliorare e arriva al 43,2 per cento nel 2024, superando sia la soglia normativa sia la media europea. È un risultato di rilievo, reso possibile dalle misure introdotte nel decennio passato, ma che non trova corrispondenza nei ruoli esecutivi: soltanto il 2,2 per cento delle società ha una donna come amministratrice delegata e appena il 3,5 per cento ha una presidente. Anche nei ruoli manageriali l’Italia resta indietro rispetto alla media Ue27.
Nel parlamento italiano la quota di donne scende al 33,7 per cento dopo il picco del 35,4 per cento del 2018, mentre nel parlamento europeo si passa dal 46,1 per cento del 2023 al 32,9 per cento del 2024, con una perdita di oltre tredici punti che riporta il paese sotto la media europea e molto lontano dai paesi guida come Svezia e Finlandia.
Nei Consigli regionali la quota femminile raggiunge il 26,4 per cento – dieci punti in più del 2014 ma ancora molto distante dal target del 40 per cento previsto dalla Strategia nazionale – con un forte squilibrio territoriale: 37,8 per cento nel Centro, 31,7 per cento nel Nord-est, 27,7 per cento nel Nord-ovest, 16 per cento nel Sud e 19,2 per cento nelle Isole.
A livello locale le donne rappresentano il 34,9 per cento dei Consigli comunali e il 41,6 per cento delle giunte, ma solo il 15,3 per cento dei sindaci. In conclusione, con riferimento al dominio Politica e istituzioni, il Rapporto BES 2024 suggerisce implicitamente alcune traiettorie di policy.
Ricostruire la partecipazione
La prima riguarda la necessità di contrastare con decisione l’astensionismo, che non può più essere letto come semplice disaffezione contingente, ma come una forma strutturale di allontanamento dalla partecipazione democratica. In particolare, il contrasto all’astensionismo richiede una politica organica e continuativa che affronti non solo gli ostacoli pratici al voto, ma soprattutto la crescente distanza culturale tra cittadini e sistema politico.
Occorre intervenire su più piani: ampliare le modalità e i tempi di voto, includendo forme di voto anticipato o agevolato; investire in educazione civica fin dai primi cicli scolastici, non come materia accessoria ma come asse portante della formazione democratica; modernizzare la comunicazione istituzionale, rendendola trasparente e verificabile; restituire dignità e credibilità alla funzione rappresentativa, affinché il voto torni a essere percepito come un atto efficace e non come un gesto marginale. La ricostruzione della partecipazione non può essere delegata solo alla buona volontà individuale: è una responsabilità collettiva dello stato, della politica e delle comunità locali, che devono agire con continuità per ricomporre il legame fiduciario spezzato.
Altrettanto urgente è il rafforzamento della fiducia nelle istituzioni politiche, attraverso trasparenza, responsabilità e valutabilità delle decisioni pubbliche, senza dimenticare che la credibilità istituzionale si nutre anche di servizi pubblici efficienti e vicini ai cittadini. Nello stesso tempo diventa essenziale consolidare i progressi nella parità di genere, rafforzando gli strumenti che favoriscono l’accesso delle donne ai ruoli decisionali e intervenendo con misure più incisive laddove la presenza femminile resta marginale, in particolare nelle cariche esecutive, contribuendo così a infrangere in modo definitivo quel glass ceiling che ancora oggi limita talenti e leadership fondamentali per il paese.
Infine, la frattura territoriale che attraversa partecipazione, fiducia e rappresentanza impone una visione nazionale che porti al centro del dibattito politico le aree più fragili del paese, perché nessuna strategia di rafforzamento istituzionale può avere successo se intere porzioni del territorio continuano a sentirsi – e a comportarsi – come esterne alla vita civica.
Il dominio Politica e istituzioni del BES 2024 restituisce l’immagine di un’Italia che cambia più rapidamente di quanto il dibattito pubblico percepisca. La fiducia cresce, la rappresentanza femminile avanza, alcune istituzioni consolidano il proprio capitale reputazionale, ma tutto questo resta vulnerabile finché metà del paese sceglie di non partecipare. Non è un fenomeno fisiologico né un semplice sintomo temporaneo, come testimoniano anche le regionali in Campania, Veneto e Puglia. È un segnale profondo e strutturale che richiede interventi immediati. È per questo che diventa urgente costruire, subito e con decisione, le condizioni per una nuova stagione di partecipazione consapevole, perché l’astensionismo non è più sostenibile.
*Pierpaolo D’Urso è docente di statistica e data science per le decisioni politiche, preside della facoltà di scienze politiche, sociologia, comunicazione, direttore del Master in data science per la Pa dell’Università di Roma La Sapienza
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FRANCO FERRARI
Cari italiani che seguite: Chi non salta comunista é!
Svegliatevi! Ci hanno incartato come pesci al mercato rionale.
La Costituzione! Articolo uno, il potere appartiene al popolo, davvero? Veramente il potere é del popolo? Tralasciando le persone che tradiscono le promesse fatte per essere eletti( dove la costituzione dice: governare con coscienza ed onore.) Mi stupisce come noi stupidi italiani, abbiamo potuto cedere il potere ad una mafia, massoneria, sionista, alla ricerca della ricchezza monetaria, in ogni modo. Vi faccio degli esempi: Abbiamo fatto il referendum sull’acqua pubblica? Ditemi dove l’acqua noi l’abbiamo gratuita, e sana? In Veneto la bevono pure inquinata con il PFAS( veleno). Hanno inventato la manutenzione et voilà, si pagano servizi aggiuntivi a privati che ci privano di servi basilari senza averne nessun diritto, solo conoscenze.
Abbiamo autostrade costosissime? Con quali soldi sono stati costruiti? Con soldi dei contribuenti. Quindi siamo proprietari delle autostrade? Nemmeno per sogno! Le abbiamo regalate ai privati, e conoscete bene la scusa: Lo stato ci rimette, i privati le fanno funzionare benissimo. Si é visto sulla autostrada vicino ad Avellino, e soprattutto sul ponte Morandi a Genova, non sono serviti nemmeno 43 morti per poter togliere gli artigli dei Benetton sulla proprietà . Anzi, abbiamo scoperto che Berlusconi, con Salvini e Meloni e scorta di altri ministri, avevano assegnato una sanzione di ben 36 miliardi( circa) di danni, voi penserete a nostro favore? Invece no, a favore dei Benetton, nel caso avessero tolto loro la concessione.
Avevamo le infrastrutture e fabbriche di proprietà del IRI, tra cui, dico a piacere: Alfa Romeo venduta per mille lire alla Fiat, la Ford offriva tremila miliardi di lire, la Lancia, anch’essa venduta alla fiat per altre mille lire, la Motta, l’Alemagna , la Nuova Pignone,
Avevamo la migliore scuola del mondo, i norvegesi venivano a studiare il nostro piano di studi, e la nostra aperta a tutti, la Francia ci copiava la nostra sanità libera e gratuita. Un solo stipendio ci bastava per prendere moglie, casa, macchina e far studiare due figli fino ad oltre la scuola dell’obbligo. Se, da piccola nazione, che usciva da una disgrazia fascista, eravamo la quarta potenza mondiale per ricchezza. Coglioni di italiani, vi siete mai domandati perché ? Perché muovevamo il culo a milioni, perché eravamo persone, giovani e grandi, stufi del fascismo, e delle destre che ci avevano spolpati, letteralmente. A destra ci sono solo avvoltoi che studiano i momenti giusti per infilarsi dove c’è la ciccia, per arraffare, e sapete qual’é la ragione del suo successo, ogni volta? La paura dell’altro, del nero, del giallo, del povero, si proprio quello che aiutavamo, dovevamo guardarlo come un possibile ladro, ed averne paura. La paura richiede più sicurezza nei cuori pavidi, quindi meno libertà , non valgono più le leggi giuste che avevamo creato, ora dovremmo avere bisogno di armi.
Il nemico non esiste. Il nemico é la destra, ha bisogno della nostra paura, altrimenti come può farti credere che lei é capace di risolvere i tuoi problemi( che non hai).?
E Mattarella cosa fa? Chiede la riunione del gran consiglio, mica é il 25 luglio del 1943, che dovevamo far cadere mussolini. Oggi la riunione verte sul rinforzo del governo con le armi. Ma brutto falso lettore della costituzione, lo sai che noi ripudiamo la guerra? Non ce la menate con la decima mas, con la folgore, con gli alpini e bersaglieri. Noi combattiamo la guerra, semplicemente con la pace. Non volete capire che siamo milioni, e siamo comprensivi oltremodo, ma il piatto é colmo e la pazienza é terminata?
Forza italiani, svegliatevi
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