
(ANNA FOA – lastampa.it) – Stiamo ogni giorno di più interrogandoci sulla democrazia, su cosa la definisca, su come si sia trasformata a partire dalla seconda metà del Novecento, quando si è affermata sulle rovine della guerra e delle dittature, sul suo declino o forse sulla sua morte imminente, da troppi profetizzata. Era per tutti, almeno per chi come noi viveva in un continente come l’Europa, al sicuro nelle nostre tiepide case, un dato scontato, acquisito, e pensavamo che non sarebbe mai tramontata. Dico un continente, ma dovrei dire la nostra parte, quella occidentale, del continente, perché nella parte orientale invece imperversavano mancanza di libertà, processi, gulag, invasioni, come nell’Ungheria del 1956 o nella Praga del 1968. E anche in Occidente, come non ricordare la Spagna di Franco, il Portogallo di Salazar, la Grecia dei colonnelli? No, era davvero piccola la parte dell’Europa in cui potevamo farci forti della nostra storia passata, richiamare Locke e Kant, la Rivoluzione francese e la lotta contro il nazifascismo, fin dimenticare i nostri crimini coloniali.
Ma la democrazia non resta tranquilla nel suo nido privilegiato, ha bisogno di essere difesa, riedificata ad ogni cambiamento, rinnovata. I nazionalismi, i populismi, ne sono il peggior nemico. Ed ecco oggi il gran parlare che se ne fa, il bisogno di capire cosa effettivamente sia, quale ne sia stata l’origine. Quali i suoi rapporti con le guerre, negli anni in cui un paese dittatoriale come la Russia attacca un paese vicino per distruggerne la libertà. Quali i suoi rapporti con quella Europa senza confini che stiamo cercando faticosamente di rendere più forte e viva, un’Europa che richiede per esservi accettato alcuni criteri indispensabili, come la democrazia politica, la libertà, e perfino il rifiuto della pena di morte.
E poi l’ignoranza: provate a chiedere cosa caratterizzi la democrazia, e tanti avranno un’unica risposta, il voto. Certo, la scelta popolare garantita dalle elezioni ne è una precondizione, ma molte altre ne sono le condizioni, e fra esse la libertà di parola, di coscienza, di religione, l’uguaglianza davanti alla legge, il rifiuto delle discriminazioni, la limitazione delle disuguaglianze sociali. E non tutti i paesi di questa nostra Europa hanno oggi saputo mantenersi dentro questi limiti. E fin gli Stati Uniti, l’altra patria della democrazia e dello stesso pensiero democratico, assiste ora ad una crisi senza precedenti della sua struttura politica. E tanto sono minacciate le democrazie che si sente il bisogno di inventare altri nomi per definire il loro stato ibrido, come “democratura”.
Fra tutte queste riflessioni e queste domande, che tanto ci confortano in questa crisi ma che anche tanto ci inquietano sul nostro futuro, vorrei ricordare l’iniziativa di Gariwo, che ha creato una Carta della Democrazia e che su questo tema si interrogherà nei prossimi giorni a Milano, in presenza di studiosi dell’Occidente e dell’Est, e la proporrà ai rappresentanti della rete dei trecento giardini dei Giusti nel mondo che saranno presenti con le Nazioni Unite. Al centro del dibattito non possono non essere gli esiti della guerra della Russia contro l’Ucraina e le minacce che pesano su questa nostra piccola parte d’Europa, ma anche l’emergere della forza contro il diritto, l’attacco sempre più violento al diritto internazionale da parte degli Stati Uniti e di Israele, i nazionalismi dilaganti, i crimini contro l’umanità, i nuovi razzismi. «Dopo la fine della Seconda guerra mondiale e la caduta del Muro di Berlino sta accadendo nel mondo qualche cosa di inaspettato per chi ha creduto che i valori della democrazia, del dialogo, della pace e della nonviolenza fossero qualche cosa di garantito su cui si poteva costruire il futuro. Invece, le nuove immagini delle autocrazie del XXI secolo, che perseguitano e mettono a tacere ogni voce differente, così come il clima di odio e di contrapposizione che si percepisce sulla scena pubblica, ci fanno capire come si sta perdendo il gusto e il richiamo ai fondamenti della democrazia».
Nella nostra agenda però, non potrà esserci solo l’elaborazione di una linea meramente difensiva. Difendere la democrazia di fronte a tutte queste minacce, oggi, non può non comportare un difficile lavoro di ricostruzione, che non può venire solo dall’alto, da un rinnovamento delle istituzioni, ma deve venire anche dal basso, dai giovani che chiedono di capire e di sapere. La mancanza di una prospettiva realmente politica, non solo ancorata ai partiti, ai voti, al potere; i timori di fronte alle assunzioni di responsabilità, propri degli individui come dei governi, l’acquiescenza di fronte alle prepotenze degli Stati e dei potenti, l’ignoranza e l’incultura prese a modello, tutto questo fa parte delle minacce alla democrazia, delle prospettive più angosciose sul futuro nostro e dei nostri figli. Ma forse, se le riconosciamo, siamo ancora in tempo a creare un mondo a misura degli esseri umani.
Meno appuntutita del solito,quando di solito parla di Gaza e Israele, ma sempre qualità sopra la media.Dissento dal rischio di invertire Causa ed Effetto:rimango fedele a Montesquieu: non è la democrazia che si deve difendere dalle minacce, ma il malfuzionamento di essa che le genera. Un “eterno e ciclico ritorno” nulla di nuovo sotto il millenario sole umano.
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IL TEMPO DELLA CRISI-Viviana Vivarelli
Duemila anni fa finiva l’Impero romano che sembrava il dominatore del mondo, oggi finisce l’impero americano che vantava un analogo imperio.
Entrambi erano nati dalla lotta di uomini che avevano una fede semplice, sentivano l’amor di patria, difendevano un’idea di nazione, amavano la loro terra, incarnavano principi e valori solidi e robusti. Entrambi gli imperi si sono dilatati oltre l’impossibile, in lotte di predominio sempre più azzardate e lontane, perdendo il senso di una identità comune, dimenticando i valori nazionali, il nerbo delle primitive generazioni, l’accoglienza che li aveva resi grandi, mentre il potere passava nelle mani di élite sempre più avide e egoiste, le guerre erano cedute ai mercenari, le leggi erano fatte dai banchieri, e la plebe veniva sedata con elargizioni e vacuità, mentre, con la scusa dalla difesa contro il nemico, si toglievano ai cittadini i diritti repubblicani e le prerogative di libertà. L’Impero americano come quello romano aveva portato a popoli lontani le sue leggi, le sue architetture, le sue strade, i suoi beni… poi era rimasto solo l’egoismo mentre sparivano le tracce di quella che poteva essere una grande civilizzazione e che diventava sempre più una usurpazione.
Oggi dopo duemila anni, questa gigantesca mole di egoismo sedimentato e fatto sistema sta franando.
Siamo sull’orlo di una profonda crisi dello Stato che si è voluto ergere a sceriffo del mondo, generata proprio dal sistema neoliberista che implode su sé stesso. L’ineluttabilità di quanto accade sta nelle scelte scellerate con cui le amministrazioni difendono l’avidità dei più ricchi contro i diritti umani in una corsa scellerata contro i propri poveri, contro i poveri del mondo. Altri governi li imitano in modo dissennato per altri fallimenti, altre distruzioni, altre guerre.
Dalla crisi dell’impero romano si salvarono i barbari che sapevano solo devastare, e si salvarono gli uomini nuovi che allora furono i cristiani e che oggi saranno i portatori di un progetto nuovo che unisca tutti gli uomini della Terra. Pensavamo di vederlo col pensiero no global e il Movimento di Casaleggio che lo rendeva Movimento politico con la democrazia dal basso. Il tentativo è abortito per colpa di uno dei suoi fondatori e delle mezze calzette che hanno preferito fare carriere a vita, ma la speranza di vedere di nuovo questo sogno diventare lotta e utopia non morirà mai.
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Sarà che la speranza e l’ultima a morire, ma chi di speranza vive disperato muore. Vede in lontananza qualcuno a cui affidare la speranza?
A chi vuole affidare quella speranza? A Conte? a Fico o a Virginia che, nonostante le angherie subite, non ha ancora trovato il coraggio di mandarli a quel paese?
Forse é giusto lasciar perdere la speranza e, sapendo che gli amanti del potere sono disposti a tutto, utilizzare il sistema democratico per impedire che chi si siede sulle poltrone vellutate non ci resti più di 5 o al massimo dieci anni.
Era questa l’illusione che mi portò, nel 2018, a votare per quel movimento che si proponeva di smantellare quel sistema, in inglese chiamato DEEP-STATE che si era impossessato di ogni potere. Purtroppo, anche il mio voto aveva contribuito a far eleggere come parlamentari i peggiori politicanti di sempre. Gentaglia che in quattro anni si accordarono con cani e porci pur di stare con le terga comodamente appoggiate sulle comode poltrone del potere.
Oggi, penso, che prima di tutto bisogna operare per far tornare nel nulla dal quale erano apparsi quei lestofanti e poi, chi avrà il tempo, se comune mortale, non si lasci trascinare nelle lotte violente degli amanti del potere e scelga, di volta in volta il modo migliore per evitare che si possa ripresentare il sistema vigente nella cosiddetta prima repubblica, quando la finzione democratica non prevedeva l’alternanza maggioranza opposizione.
Insomma, se io fossi un campano oggi voterei per affossare quel traditore di Fico.
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L’ESSENZIALE-Viviana Vivarelli
Un’amica chiede che l’uomo ritorni all’essenziale
Ma cosa vuol dire? Non credo che significhi portare i propri bambini a vivere in un bosco.
Chiaramente ciò è prima di tutto un rifiuto di quella società del consumismo, dell’apparenza, del potere e della vanità, che ha contraddistinto l’era di Berlusconi e che si perpetua con l’attuale Governo, con l’obiezione che non solo erano pochissimi quelli che il suo stile se lo potevano permettere, uno stile pomposo e vacuo che lasciava vuota l’anima e misero il cuore, un sistema profondamente nocivo e illegale, artificiale e falso, che portava a profonde immoralità e disumanità, segnando un tempo in cui ognuno avrebbe dovuto essere pieno di invidia per chi si poteva permettere tutto come i grandi magnati ed era pronto a vendersi corpo, reputazione ed anima per ottenere qualche briciola di quello spreco infinito o offensivo che connotava l’uomo di potere.
A cosa abbia condotto questo modello è sotto gli occhi di tutti, la dissoluzione economica e morale di una Nazione.
E ora sarà giocoforza sognare un modello diverso, anche perché quello è tramontato per sempre anche agli occhi dei più fatui e perversi.
La parte bella e mai attuata della Costituzione mette nell’essenziale la sovranità del popolo, l’essere cittadini nella pienezza di questo significato, cioè partecipare a buon diritto alla cosa pubblica. Non si è degni di chiamarci cittadini quando si è schiavi, quando si soggiace a un governo che non si è eletto, quando il nostro governo soggiace a poteri superiori che il cittadino non riconosce come protettori dei propri interessi, quando si subiscono leggi inique o che favoriscono solo caste o corporazioni, quando la volontà del popolo non è consultata o viene ignorata, quando i cattivi amministratori non sono cacciati per sempre e non sono puniti ma anzi ai peggiori si danno alte cariche per familismo o fedeltà servile, quando solo alcuni pagano e altri godono, quando troppi soffrono, quando il peso dei sacrifici si abbatte sulla parte maggiore della popolazione a vantaggio totale di pochi.
La libertà politica non può essere che uguaglianza di tutti sotto leggi giuste e partecipazione democratica, in un clima di equità e di uguaglianza. Questo deve venire prima di qualsiasi altra cosa, perché senza questo non viene tutto il resto.
Ma, affinché l’uomo possa rivendicare l’essenziale, la partecipazione democratica e la libertà politica non bastano.
Ad ognuno deve aver riconosciuto il rispetto alla vita.
Ciò vuol dire che la sua persona, la sua salute, la sua sopravvivenza e la sua reputazione sono inviolabili. Che non è lecito ad alcuno (potere politico, chiesa, media o soggetto qualsiasi) attentare alla sua vita, condizionare la sua libera morte, imporgli farmaci, vaccini o mezzi di sussistenza o al contrario farlo vivere sotto il minimo della sussistenza vitale e imporgli ostacoli di ordine economico o sociale che impediscano il suo pieno sviluppo come persona, come cittadino, come lavoratore.
L’uomo che fa parte di uno Stato civile ha il diritto di vivere con un minimo di decenza e dignità. Non ci devono essere soggetti abbandonati ed emarginati.
Lo Stato sociale non può essere tagliato in nome di maligne teorie iperliberiste, per arricchire classi già ricche ed esose, perché nulla è essenziale come la vita e questa deve essere protetta allo stesso modo per ognuno.
La civiltà di un popolo si misura anche sul modo con cui provvede ai suoi poveri nella sanità, nella scuola, nell’assistenza ai più deboli, nei trasporti pubblici, nella casa, nelle tasse, nell’informazione, nell’istruzione permanente, nella diminuzione del divario tra più poveri e più ricchi, perché soprattutto in questo, e non nella partecipazione a guerre o nel valore della sua valuta, si misura un buon governo.
E per questo, nell’essenziale di ogni uomo deve entrare a buon diritto il lavoro, perché sul lavoro si misura quanto ognuno partecipa al bene collettivo e viene rispettato dallo Stato e chiunque deve poter dare il suo contributo sociale e in esso esprimere le sue potenzialità. Il lavoro non deve essere un capestro o una prigione, deve ridursi con gli anni e finire o cambiare quando l’uomo è vecchio, deve essere organizzato con dignità e a misura umana, non può essere arma di ricatto o compravendita e deve avere le stesse regole in ogni gradino della scala sociale e veder riconosciuto e valorizzato il merito, per il bene di tutti.
Nell’essenziale che ogni uomo libero deve perseguire c’è il rispetto alla sua persona, la difesa del suo corpo, il divieto della tortura, del carcere ingiusto o del carcere disumano, ma anche la difesa della sua reputazione dall’attacco ingiustificato di chiunque che metta in dubbio la sua reputazione e il suo onore e la difesa dei suoi beni da imposizioni scellerate di confisca o rapina.
E poiché il popolo sovrano è padrone del suo territorio, è nostro corpo anche il suolo del nostro paese, la sua acqua, aria, terra, mare, le sue montagne, i suoi fiumi e tutto ciò che costituisce la nostra terra, per cui nel nostro essenziale deve esserci anche la difesa dell’ambiente, che fa parte della nostra ricchezza e questa difesa richiede che esso non venga espropriato, inquinato, manomesso, ceduto a potenze straniere, deturpato, messo in pericolo..e questo non fa parte ancora della Costituzione ma dovrebbe starci.
L’essenziale di ogni uomo esige che egli sia sottoposto a leggi giuste, che queste siano poche per essere più facilmente applicate, e siano uguali per tutti o farebbero venir meno la democrazia, e siano semplici da capire e la loro violazione dia luogo a procedimenti brevi ed efficaci, perché nulla come la disuguaglianza giuridica tra ricchi e poveri fa decadere il senso di uno Stato.
L’essenziale di un buon cittadino esige anche che egli possa crescere ed evolvere in un clima di libertà e possibilità, e questa crescita sia favorita dalla scuola, dai mezzi di informazione, da corsi di specializzazione, e da tutti quegli strumenti informativi, artistici e culturali che elevano la sua coscienza.
Non si vive di solo pane, l’uomo viene educato anche dall’arte, dalla musica, dalla letteratura, dal cinema, dalla televisione, dagli usi, dalle tradizioni e da tutte quello che costituisce la cultura dell’uomo, sia locale che universale.
Occorre infine che siano favorite e incentivate tutte quelle attività in cui ognuno può rendersi partecipe della vita di un altro più povero, più debole o più infelice.
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L’articolo offre in larga parte condivisibile; la democrazia va difesa continuamente e la sua crisi non è solo un rischio ma una realtà concreta, visibile nei nazionalismi, nei populismi e nelle violazioni dei diritti.
È corretto sottolineare il ruolo fondamentale dei giovani, dell’informazione e della partecipazione dal basso.
Tuttavia, questa analisi resta incompleta se non affronta la radice strutturale del problema: la concentrazione di ricchezza.
La democrazia non si ammala solo per le cattive intenzioni di leader autoritari o per la diffusione di narrazioni populiste.
Essa viene indebolita quando pochi individui o gruppi economici concentrano potere e risorse in misura tale da influenzare media, opinione pubblica e decisioni politiche.
In questo contesto, populismo e media non sono cause primarie, ma amplificatori della malattia in quanto creano illusioni, promesse facili, fanno leva sull’aspetto emotivo dei cittadini senza risolvere il problema alla radice.
Il popolo, come suggerisce l’articolo, può e deve essere il motore della democrazia, ma questa capacità non è automatica.
La stessa popolazione che può essere attratta dal populismo necessita di informazione indipendente ( e di lettura critica dell’informazione) , strumenti di partecipazione, risultati concreti nella vita quotidiana per diventare arbitro consapevole.
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