C’è un pezzo di maggioranza che vorrebbe giocarsi il prossimo voto politico in stile trumpiano

La tentazione Maga della destra italiana che così aiuta Putin

(Flavia Perina – lastampa.it) – S’ode a destra uno squillo di tromba (“all’arme!”) che ci avvisa dell’incombente complotto contro la riconferma di Giorgia Meloni. Chi trama, chi mesta nel torbido, chi inquina la volontà del popolo sovrano? Non bastano i magistrati impiccioni, la Corte dei Conti No-Ponte, i giornaloni ipercritici, le università Pro-Pal, quelli del cinema asserviti alle sinistre, la macchinazione deve essere di massimo livello, il botto più rumoroso del normale trantran dei nemichetti alle porte. Mirare in alto, mirare al Colle più alto, anche se poi more solito finirà con il consueto «qui lo dico e qui lo nego» e il capogruppo di FdI alla Camera Galeazzo Bignami preciserà: mica ce l’avevo con Sergio Mattarella, chiedevo solo un chiarimento al consigliere del Quirinale che avrebbe auspicato “uno scossone” per rivitalizzare il centrosinistra ed evitare il bis delle destre.

Sono almeno tre le tracce da seguire per capire che cosa sta succedendo. La prima riguarda la tentazione Maga che attraversa un pezzo di destra, cioè l’idea di giocarsi il prossimo voto politico in stile trumpiano, chiedendo al popolo elettore di mobilitarsi non in virtù di un progetto ma contro chi nelle segrete stanze vorrebbe restaurare il monopolio progressista. Nel 2022 il consenso fu conquistato con promesse esagerate – blocchi navali, flat tax, abolizione della Fornero, pugni sul tavolo europeo – ma oggi quel copione è inutilizzabile. L’istinto porta verso un racconto differente per radunare le truppe. Le macchinazioni segrete, il deep state che briga nei corridoi. Il pericolo di restaurazione dell’egemonia progressista per il tramite di misteriosi tranelli. Ovviamente non esiste nulla. Lo stesso virgolettato dello scandalo, attribuito da La Verità di Maurizio Belpietro al consigliere del Quirinale ed ex deputato Pd Francesco Saverio Garofani, risulta una banalità, ammesso che sia vero. Avrebbe detto: «Un anno e mezzo non basta per trovare qualcuno che batta il centrodestra, ci vorrebbe un provvidenziale scossone». Con tutta la buona volontà: mica ha chiamato al golpe.

E tuttavia quella banalità diventa scoop, e lo scoop richiesta formale di smentita da parte di Bignami («dovendone diversamente dedurne la fondatezza»), e la smentita quirinalizia («un attacco che sconfina nel ridicolo») non soddisfa, e il sottosegretario Giovambattista Fazzolari interviene per giurare che problemi con Mattarella non ce ne sono ma chiedere spiegazioni è legittimo, e dunque Belpietro si rimette l’elmetto: «Quando c’è un consigliere che auspica un provvidenziale scossone per impedire a un presidente del Consiglio regolarmente eletto di potersi ripresentare, mi faccio delle domande sul tipo di democrazia in cui viviamo. Mi aspetto quantomeno un chiarimento; al momento non mi sembra sia stato chiarito nulla». Il voto del popolo è minacciato, e se in Italia non sono disponibili scalmanati con le corna in testa e i tatuaggi Maga per occupare palazzi, ci si accontenterà di una tempesta social che denunci il nemico nell’ombra.

Ma la destra, la destra di potere, la destra che due giorni fa si è seduta al Quirinale per parlare di difesa, Europa, guerre ibride, e soprattutto la destra di FdI che sottolinea ogni giorno il suo sostegno a Kiev, dovrebbe riflettere sulla seconda suggestione collegata alla vicenda. Picconare l’indipendenza degli uffici di Sergio Mattarella (Garofani è pure consigliere per gli Affari del Consiglio di Difesa) e avanzare addirittura il sospetto di manovre in alto loco contro la democrazia italiana, in questo momento rischia di delegittimare la voce più autorevole a sostegno delle scelte del governo sullo scenario ucraino. Una voce così rilevante che il Cremlino non solo ha attaccato il nostro Presidente più volte, ma lo ha inserito addirittura nell’elenco dei leader “russofobi”. Bisognerebbe almeno domandarsi se assecondare certi giochi scandalistici e farli propri non renda felice un nemico alle porte ben più autentico, armato e pericoloso di un consigliere quirinalizio. Bisognerebbe chiedersi se convenga prendere di mira la figura istituzionale che riscuote la massima fiducia del Paese, con il 70 per cento degli italiani che ne apprezzano il ruolo.

Poi, certo, c’è la terza traccia, la traccia dell’inconsapevolezza e dello scarso uso di mondo che molte volte ha agito a destra. Conduce a giudicare l’intervento del capogruppo Bignami una super-gaffe compiuta per leggerezza e poi amplificata dai tentativi di tutti gli altri di metterci una toppa. Un “All’arme!” da esercitazione Sturmtruppen, pronunciato per vedere l’effetto che fa, senza immaginarne le conseguenze istituzionali e politiche. Per molti versi sarebbe rassicurante (per molti altri: che tristezza).