(di Antonella Mascali – ilfattoquotidiano.it) – La riforma costituzionale per il pm antimafia Nino Di Matteo è il suggello dell’azione della maggioranza di governo sul fronte giustizia.

Di Matteo, lei collega la riforma ad altre leggi?

C’è un disegno unico nelle riforme che sono state approvate negli ultimi anni. A partire dalla legge Cartabia e via via fino alla riforma costituzionale approvata. Improcedibilità che fa svanire i processi in Appello e Cassazione (Cartabia, ndr). Criteri generali di priorità dell’azione penale indicati dal Parlamento (Cartabia, ndr). Limitazioni al diritto di cronaca anche per notizie non più coperte da segreto (Cartabia-Nordio, ndr). Abrogazione dell’abuso d’ufficio; sterilizzazione del reato di traffico di influenze; interrogatorio preventivo in caso di richiesta di custodia cautelare; limiti temporali alle intercettazioni e alla loro utilizzabilità processuale. Fino alla riforma delle riforme, quella costituzionale.

Quale sarebbe l’obiettivo complessivo?

Lo scopo ultimo è quello di garantire spazi sempre più ampi di impunità alla politica e più in generale di creare un vero e proprio scudo di protezione per i potenti. Tutto in un’ottica di rivalsa contro la magistratura.

Effettivamente sia la presidente Meloni, sia il ministro Nordio hanno dichiarato che la riforma costituzionale serve per stoppare le invasioni di campo della magistratura. Magari anche per responsabilità di voi toghe…

In realtà si vuole limitare l’azione di quella magistratura che in ossequio alla Costituzione ha preteso di esercitare il controllo di legalità a 360 gradi, anche nei confronti dei potenti. Semmai la magistratura è responsabile di non aver contrastato con forza quei fenomeni di gerarchizzazione, carrierismo e collateralismo politico di una sua parte minoritaria.

Entriamo nello specifico della riforma costituzionale. Partiamo dalla separazione delle carriere.

Intanto un dato di fatto: in tutti i Paesi in cui vige la separazione delle carriere sono previste forme di controllo dell’operato delle procure da parte del ministro della Giustizia e questo fatalmente accadrebbe anche in Italia. Ma già nel Duemila, il comitato dei ministri del Consiglio d’Europa auspicava che tutti gli Stati adottassero provvedimenti con il fine opposto alla separazione: consentire a un magistrato di ricoprire nel corso della carriera le diverse funzioni di pm e di giudice. È un valore aggiunto per migliorare la qualità complessiva della giurisdizione. Giovanni Falcone, citato tante volte a sproposito, fece sia il giudice che il pm. Come Rocco Chinnici, Paolo Borsellino, Rosario Livatino e Antonino Saetta, solo per citare i magistrati uccisi per mano mafiosa.

Ma il ministro Nordio ribadisce che nella riforma non è previsto un pm sotto l’esecutivo…

Il rischio che ho paventato è desumibile da quello che è accaduto in tutti gli altri Paesi. In ogni caso già ora la separazione delle carriere provocherebbe danni irreparabili. Si verrebbe a creare un corpo di magistrati che tenderebbe inevitabilmente a perdere la cultura della terzietà. I pm sarebbero avvocati della polizia, accusatori a tutti i costi. Un grave rischio per i diritti e le garanzie di ogni cittadino.

Lei è stato consigliere e giudice disciplinare del Csm. La riforma prevede la novità dell’Alta Corte disciplinare dato il fallimento, dice il governo, dell’attuale processo disciplinare. È d’accordo?

Questa è un’altra bugia. Il numero dei magistrati sanzionati dal Csm è certamente maggiore a quello di altri dipendenti pubblici o degli avvocati, dei medici e di altri professionisti. Con l’Alta Corte si sposta il baricentro del giudizio disciplinare in una direzione più politica: tre membri sono scelti dal presidente della Repubblica; tre estratti a sorte, ma tra i nominati dal Parlamento, mentre i magistrati saranno scelti da un sorteggio secco e solo tra coloro che abbiano svolto funzioni in Cassazione. Si escludono quindi proprio i magistrati di merito, quelli più abituati a valutare ogni possibile aspetto del fatto contestato. Anche questo suscita perplessità come la previsione che i magistrati condannati potranno impugnare la decisione davanti alla stessa Alta Corte e non più innanzi alla Corte di Cassazione. Mi chiedo se il proclamato garantismo valga per tutti ma non per i magistrati.

Sorteggio secco anche per la scelta dei membri togati del Csm, per contrastare – è la motivazione politica – il potere delle correnti sulle nomine.

Per evitare le candidature precostituite dei capi corrente non era necessario cambiare la Costituzione e mortificare con il sorteggio secco la stessa dignità della magistratura. Sarebbe stato sufficiente adottare con legge ordinaria il sorteggio temperato. Una doppia fase: un sorteggio di una platea di candidati, poi la vera e propria elezione dei togati del Csm scelti tra i sorteggiati.