Meloni, Nordio e la brigata berlusconiana in linea con le destre autoritarie di Trump e Milei, Orbán e Erdogan azzardano l’ennesima riforma contro la Costituzione.

Il ministro Carlo Nordio

(di Massimo Giannini – repubblica.it) – I sostenitori del no alla riforma della giustizia del governo Meloni hanno aperto la caccia ai volti noti della campagna referendaria. Gratteri, Carofiglio, Ranucci, Mannoia: tutti bei nomi. Ma mi permetto un sommesso consiglio. Il testimonial perfetto c’è già, ed è il più “eccellente” di tutti. Si chiama Carlo Nordio. Nessuno meglio del ministro che l’ha firmata è riuscito a spiegare così bene il senso della legge di revisione costituzionale sulla quale in primavera andrà alle urne il popolo sovrano. In un sussulto di trasparenza, o forse di incoscienza, l’ha ribadito anche a Elly Schlein a Montecitorio: “La mia riforma è un affare anche per voi dell’opposizione!”. Curioso, no? Da mesi le destre al comando ci propinano le spiegazioni più farlocche e fantasiose, col supporto del solito drappello di dotti legulei in cerca di poltrone e prebende.

Sorelle e Fratelli d’Italia, già missini mozzorecchi e giustizialisti, folgorati sulla via del garantismo più peloso. Prefiche e orfanelli berlusconiani, già ingrassati a pane e leggi ad personam, bramosi di vendetta postuma contro le toghe rosse. Camicie verdi e leghisti salviniani, già clienti dell’hotel Metropol gravati da 49 milioni di rimborsi illeciti restituibili allo Stato in comode rate settantennali, ansiosi di riprendersi i “pieni poteri”. Tutti lì, a ripetere come una sola donna: questo “traguardo storico” renderà “il sistema giudiziario più equo ed efficiente”, lo libererà dal “cancro del correntismo” e lo “avvicinerà ai cittadini”. Tutti lì, a evocare a vanvera orrori ed errori giudiziari, dal caso Tortora al giallo Garlasco. Come se la salvifica “separazione delle carriere” possa generare in provetta magistrati infallibili e geneticamente incapaci di sbagliare un’ordinanza o una sentenza. Ma niente è vero, di tutta questa bassa propaganda per gonzi. La “Grande Riforma” serve a tutt’altro. Lo si era intuito dopo l’ultimo via libera al Senato, quando uno sparuto corteo di forzisti aveva issato in effigie il Cavaliere, e sua figlia Marina aveva commentato “questa è la vittoria di papà”. Ma ora finalmente abbiamo la certezza definitiva, l’interpretazione autentica di quella legge.

Il candido ministro Nordio rivela al Corriere della Sera: la separazione tra magistratura giudicante e requirente “fa recuperare alla politica il suo primato costituzionale, il governo Prodi cadde perché Mastella, mio predecessore, fu indagato per accuse poi rivelatesi infondate, e mi stupisce che Elly Schlein non capisca che questa riforma gioverebbe anche a loro, nel momento in cui andassero al governo”. Nella sua ingenua sincerità, il fool scespiriano ha detto l’indicibile. Questo è l’obiettivo vero della riforma Meloni, per ammissione del suo guardasigilli: “Far recuperare alla politica gli spazi che ha abbandonato, in modo talvolta codardo…”. Cioè proteggerla dalle inchieste, metterla al riparo dalle magistrature, ridarle lo scettro perduto una volta per tutte. E il ministro è talmente naif che lo dice anche alla segretaria del Pd, nell’intervista e poi alla Camera: votate sì al referendum, così se vincete le elezioni non rischiate la fine di Prodi nel 2008, quando un avviso di garanzia a Mastella per abuso d’ufficio nell’inchiesta Why not fece cadere il governo. Più sincero o sfacciato di così, si muore.

Scordatevi la sbobba qualunquista e demagogica che i patrioti spadelleranno di qui al referendum. Dimenticate i vaniloqui omertosi sulla “giustizia giusta” e gli sproloqui oltraggiosi in memoria di Falcone. Ignorate le menzogne sulle indagini più rapide e i processi più veloci. Qui non c’è salvezza per i cittadini: c’è solo salvaguardia dei potenti. Una causa civile continuerà a durare 8 anni e un processo penale 5, le udienze di pomeriggio continueranno ad essere off limits e nei tribunali e nelle corti d’appello continueranno a mancare i cancellieri e i computer. In compenso, sarà più difficile vedere indagati o imputati un ministro o un sindaco, un parlamentare o un industriale. Dicono che i magistrati resteranno autonomi e che la separazione delle carriere esiste anche in Francia e in Gran Bretagna.

Ma non dicono che la frammentazione di un potere dello Stato (il giudiziario) lo rende per ciò stesso più debole di fronte all’altro (l’esecutivo). Che due Csm distinti e un’Alta Corte disciplinare, con “togati” eletti a sorteggio, sviliscono l’istituzione e la rendono fungibile e permeabile. Che nessun sistema è esportabile perché in ognuno c’è un diverso check and balance, dal semipresidenzialismo francese al common law inglese. Che i padri costituenti del ’48 vollero carriere separate proprio per dare più peso alla magistratura, perché in nome del popolo garantisse la sicurezza dai poteri, non dei poteri. Prima della Costituzione, con il Codice Rocco il pm era “organo esecutivo” della politica penale e della sicurezza del governo: ora è proprio a quello schema che si vuole tornare. La separazione delle carriere è solo il primo stadio di un percorso: poi arriveranno l’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale e la sottomissione delle procure al ministero della Giustizia.

Se credete che questo sia solo un “teorema”, ascoltate cosa dice il sottosegretario Mantovano a Rete4: “Grazie a decisioni giudiziarie, oggi c’è il blocco delle espulsioni dei migranti, c’è il blocco della sicurezza e della politica industriale: c’è un’invasione di campo, e deve essere ricondotta…”. Traduzione: le toghe vanno rimesse a posto perché non ci lasciano governare. E se non vi basta, ascoltate ancora Nordio: “Non vedo perché il pm dovrebbe avere una supremazia etica o giuridica sull’avvocato: il pm deve essere garante della legalità delle indagini della polizia giudiziaria”. Di nuovo: ecco l’altra verità inconfessabile. Nel nuovo ordinamento meloniano, il pubblico ministero non dovrà avere più alcuna autonomia nelle indagini, ma dovrà limitarsi a fare “l’avvocato della polizia”. Come succedeva fino al 1987, quando entrò in vigore la legge delega 81 e il rito accusatorio voluto da Giuliano Vassalli, medaglia d’oro alla Resistenza che il Guardasigilli cita sempre a sproposito. Non fu un caso se proprio grazie a quella svolta normativa — che diede piena autonomia alle procure — tre anni dopo il pool di Milano riuscì a scoperchiare la cloaca di Tangentopoli.

I conti tornano: è esattamente quel rischio che Meloni, Nordio e l’allegra brigata berlusconiana oggi vogliono sventare. Per questo — in linea con le destre autoritarie di Trump e Milei, Orbán e Erdogan — azzardano l’ennesima riforma non della Costituzione, ma contro la Costituzione. Lo fanno rivendicando il diritto alla forza, e calpestando la forza del diritto. Lo fanno umiliando il Parlamento, privato del diritto a proporre emendamenti alla faccia di Piero Calamandrei, che diceva “quando si tocca la Costituzione, i banchi del governo restano vuoti”. Lo fanno attaccando tutti i presìdi della buona democrazia: le corti che sanzionano, i giornalisti che domandano, i sindacati che scioperano. Lo fanno per blindare l’unica cosa che adesso gli sta a cuore, per l’oggi e per il domani: la “verticale del potere”, che non sopporta limite, controllo, dissenso. La posta in gioco è questa. Non è abbastanza, per scrivere “no” su quella scheda?