(di Ugo Mattei – ilfattoquotidiano.it) – La crisi del M5S non riguarda soltanto gli iscritti al non-partito fondato da Grillo, ma ha una portata più generale, collegata all’astensionismo, che delegittima l’intero sistema democratico fondato sulla rappresentanza. Basterà andare indietro di una quindicina d’ anni per vedere quanto l’origine e il rapido successo della creatura di Grillo fosse legata proprio alla crisi della forma partito e della rappresentanza.

Nel 2009, il neonato M5S pose le proprie radici nelle battaglie per la difesa del territorio e dei beni comuni contro l’estrattivismo del capitale, il quale dal Tav in Valsusa ai tentativi di privatizzazione e di svendita dei servizi pubblici, saccheggiava il Paese. In quella temperie culturale, il M5S aveva saputo incassare il risultato clamoroso del referendum sull’acqua pubblica del 2011, una battaglia “né di destra né di sinistra” ma del 99% contro le élite, l’immagine coniata da Occupy Wall Street. Insomma, le radici del M5S non stanno in una contrapposizione che già in quel periodo storico si vedeva come pura forma di divide et impera di un popolo che invece reclamava la tutela dell’interesse pubblico nazionale, contro una classe dirigente corrotta dal potere economico delle corporation. Una simile storia, mutatis mutandis, l’aveva percorsa la Lega di Bossi una ventina di anni prima, proponendosi come partito antisistema radicalmente critico della struttura dello Stato centralista, la cui corruzione cercava in ogni modo di denunciare. Non è un caso che dopo la reazione dei poteri forti al movimento per i beni comuni vittorioso nel referendum sull’acqua (austerity montiana 2013), il primo voto politico, quello del 2018, abbia premiato Movimento e Lega. Nell’impresentabilità di Di Maio e Salvini è nata la stella Conte il quale non proveniva né dall’una né dall’altra di queste due culture, che il mainstream chiama con disprezzo populiste. Dopo l’esperienza gialloverde, la pandemia ha riportato il Conte-2 nel mainstream, nell’ambito di un’interpretazione della politica più vicina alla sua natura e personalità (aveva dimostrato ambizione e coraggio mettendosi con Salvini!) ma distante anni luce dalla sensibilità del movimento di cui, cacciato Grillo, ha preso le redini. Mi pare si spieghi così la critica di Appendino, che ricordo ragazzina in Valsusa, e che da quella stagione proviene. Il grande astensionismo riguarda in larga misura elettori del M5S e della Lega, ossia di tutti quegli italiani che sono disgustati dal trasformismo di una classe politica davvero interessata solo alla propria carriera. Molti di questi elettori, dopo la parentesi di Draghi su cui si sono appiattiti 5S e Lega, hanno provato a votare Meloni, solo per essere di nuovo traditi. L’elettore italiano, che rifiuta l’ ideologia ormai calcistica che contrappone destra e sinistra (xenofobia e woke rispettivamente), non sa più chi votare e si astiene.

Occorrerebbe saper declinare la critica antisistema in chiave di visioni politiche mondate dal neoliberismo atlantista, davvero inclusive e innovative, coerenti con il bisogno di restituire al 99% la guida del Paese e al Paese la propria sovranità politica. La contrapposizione fra destra e sinistra va denunciata senza più remore come ideologia borghese, frutto di una stagione di costituzionalismo liberale ormai distrutto dal capitale concentrato e dagli oligopoli. Ciò seppero fare, per una breve stagione il Movimento di Grillo e prima ancora la Lega di Bossi, senza tuttavia costruire una classe politica capace e meritevole. Temi come i beni comuni, il federalismo e il decentramento, il governo democratico dell’economia, le diseguaglianze eccessive e il Reddito di cittadinanza, la tutela del paesaggio, la sorveglianza tecnologica, non possono essere portati avanti credibilmente nella contrapposizione ormai interamente neoliberale fra centrodestra e centrosinistra.