Intervista al presidente del Senato: “Se ci sarà la volontà politica il premierato verrà approvato. Altrimenti toccherà alla legge elettorale”

Il presidente del Senato Ignazio La Russa

(di Tommaso Ciriaco – repubblica.it) – ROMA – Sul tavolo di Ignazio La Russa c’è una panchina in miniatura. È lui stesso a mostrarla. Marroncina, con sopra una scritta: Benito. Dice il presidente del Senato che il modello è spagnolo e che alcune giunte municipali di Roma ne stanno posizionando alcune a grandezza naturale nei quartieri della capitale. Nulla a che vedere con il Duce, giura. Sorride. Parleremo anche di neofascismo e cori che inneggiano a Mussolini. Prima, però, la giustizia e le riforme.

Presidente, anni fa diceva: sono contrario alla separazione delle carriere.

«Era la posizione di An, che ritenne di poter raggiungere un risultato utile senza una riforma costituzionale. Noi “saggi” ci accordammo per la separazione delle funzioni. Doveva essere il primo passo per quella delle carriere, di cui già si parlava. Fini frenava. E io di conseguenza. Quindi non si può dire che non l’abbiamo voluta, piuttosto: non l’abbiamo voluta allora».

Oggi, però, è al centro della riforma.

«La parte meno importante della riforma è proprio la separazione delle carriere. Forse si poteva puntare di più sulla seconda parte, quella che cambia il Csm e lo assoggetta al sorteggio. L’ho detto l’altro giorno a Nordio, a pranzo. Capisco che la separazione è simbolica, ma conta meno del resto. Il vero obiettivo, mi ha confermato, è limitare le correnti con il sorteggio e assoggettare i giudici a un controllo disciplinare terzo».

Avete cambiato idea?

«Noi della destra siamo sempre stati la parte più restia a fare la guerra ai magistrati. Pensate all’Msi con Mani Pulite, ad An che preferì separare le funzioni. Oggi gli atteggiamenti verbali e la postura di FdI sono di chi vuole la riforma, ma senza dare battaglia alla magistratura».

A sentire Meloni non sembra: ha giustificato la riforma anche come reazione ad alcune sentenze. Volete che i pm dipendano dal governo?

«Giorgia non vorrebbe mai un assoggettamento dei pm al governo, che pure in altri Stati c’è. Se qualcuno anche solo lo prospettasse, in futuro, sarei ferocemente contrario».

Meloni e Mantovano, di fronte a decisioni avverse al governo – ad esempio sul Ponte – hanno inquadrato la riforma quasi come fosse una ritorsione politica. È così?

«Questa riforma è nel programma del centrodestra, quindi prima della nascita del governo. Dunque, non può essere una ritorsione a cose avvenute dopo. Nella nostra storia abbiamo sempre tentato un colloquio con le toghe».

Resta il fatto che Berlusconi non ci è riuscito, mentre la destra approva la riforma più odiata dai giudici.

«A Berlusconi contestavano un interesse personale alla riforma. Con Giorgia, invece, questa accusa non c’è. E perciò, è più libera».

Esiste un tema di abbassamento dei toni da parte di Palazzo Chigi?

«Certo che esiste, ma non è mai chiaro da dove dobbiamo partire. Pensate agli hub in Albania: il governo non voleva andare contro i giudici, ma affrontare il tema dell’immigrazione clandestina. Quando si rende conto che questa iniziativa è contrastata dalla sinistra grazie a una interpretazione ritenuta ultronea dai giudici, allora c’è stata una reazione».

Lei voterà sì al referendum?

«Sì, convintamente».

Anche sul premierato lei ha espresso dubbi. Persistono?

«Se fosse toccato a me decidere, sarei partito dall’elezione diretta del Capo dello Stato. Per arrivare poi, eventualmente in sede di discussione, al premierato. Si è tentato invece di trovare lodevolmente un terreno di confronto con le opposizioni. Ma si è trattato di un errore perché vi è stata una contrarietà totale».

L’opposizione vi accusa di cercare i pieni poteri. Con la riforma della giustizia e il premierato, il dubbio non è legittimo?

«In tutto il mondo c’è la separazione delle carriere e il premierato, o addirittura il presidenzialismo. Questi pieni poteri non capisco proprio cosa siano…».

Ma il premierato non indebolisce troppo il capo dello Stato?

«No. Viene annullato un potere, quello di intervenire nei casi in cui non c’è una maggioranza parlamentare. Ma con la riforma questa situazione non può più verificarsi. Perciò, nessun potere in meno».

Riuscirete ad approvare il premierato?

«Se c’è la volontà politica, si può fare. Se poi non ci si arriva, c’è la legge elettorale. Però penso che la volontà ci sia, è nel programma. È la forza di questo governo realizzare ciò che ha promesso. Con il premierato sarà necessario adeguare anche la legge elettorale».

Considera quindi scontata la rielezione di Meloni?

«I risultati del governo presuppongono almeno un bis. Ne sono convinto».

Meloni rischia di andare al Colle al posto suo, in questo scenario?

«Se c’è una cosa certissima, è che nelle mie aspettative, ambizioni e prospettive non c’è quella di andare al Colle. Già il ruolo di presidente del Senato restringe il mio modo di fare politica, figurarsi immaginarmi Capo dello Stato. Non avrei le chance e non ho nemmeno il desiderio».

E Meloni ci punta?

«Dimenticatevi che lo voglia fare, la conosco. Ci abbiamo anche scherzato sopra. Non ci pensa proprio, neanche lontanamente».

Il Cremlino, per bocca di Zakharova, ha di nuovo attaccato l’Italia. Cosa ne pensa?

«Fa parte della recrudescenza di un certo modo violento della Russia di affrontare, per ora verbalmente, i rapporti con l’Occidente. Dopo tre anni e mezzo di guerra la Russia può vantare conquiste territoriali marginalissime, nonostante la sua forza bellica. Per questo inaspriscono i toni».

Salvini sostiene: non possiamo armare l’Ucraina per cinquant’anni. Non indebolisce il fronte?

«Ha ragione se si riferisce ai cinquant’anni. Se invece significa non aiutare oggi Kiev, non saremmo d’accordo con lui».

È di ieri la notizia di una inchiesta giudiziaria pesante in Sicilia. Schifani rischia di cadere?

«Perché dovrebbe? Non ho segnali di crisi. E so che è persona perbene».

A Parma i cori “duce, duce” nelle sede di FdI. Di nuovo, La Russa.

«FdI esiste da 13 anni. Di questi episodi, quanti? Due?».

Beh, pensi solo al caso di Gioventù nazionale…

«Quello e quanto altri? Cinque? Mai i nostri giovani hanno impedito ad altri di parlare in scuole o università. Mai hanno aggredito agenti o, che io sappia, avversari politici. Sono solo episodi di folklore neofascista sbagliati e utili solo ai nostri avversari».

Non è colpa dei vostri messaggi a volte ambigui?

«No, proprio no. Pensi che a Parma sono stati commissariati prima che la notizia venisse alla luce. Crosetto ha detto che andrebbero presi a calci: ma se prendiamo a calci loro per una canzone, allora che facciamo con chi tira le molotov alla polizia? Li impicchiamo? Io non voglio impiccare nessuno, ma voglio spiegare a questi ragazzi che la reazione a questo antifascismo violento o di maniera non può essere il folklore neofascista. È quello che ci disse Almirante già nel 1979. Sarebbe sbagliato, da stupidi e controproducente, ci spiegò, continuare a usare nostalgie, canzoni e segni distintivi del fascismo nelle nostre sedi. Allora come oggi, è al futuro che bisogna saper guardare».