Per capire ciò che accade in Venezuela, occorre comprendere ciò che accade in Guyana, uno Stato di circa 800.000 abitanti, capitale Georgetown, che confina con Maduro. Nel 2015, gli […]

(di Alessandro Orsini – ilfattoquotidiano.it) – Per capire ciò che accade in Venezuela, occorre comprendere ciò che accade in Guyana, uno Stato di circa 800.000 abitanti, capitale Georgetown, che confina con Maduro. Nel 2015, gli Stati Uniti hanno scoperto un grande giacimento petrolifero nell’Essequibo, una regione della Guyana rivendicata dal Venezuela. ExxonMobil, colosso petrolifero americano, ha rapidamente assunto la guida dell’estrazione dell’oro nero. L’Essequibo rappresenta due terzi del territorio della Guyana. Oltre al petrolio, è ricco di oro (miniera di Omai), bauxite, diamanti, uranio, manganese e altri minerali.
Il 1° marzo 2025, Irfaan Ali, presidente guyanese, ha denunciato lo sconfinamento di una nave di Maduro nella regione dell’Essequibo. Delcy Rodríguez, vice di Maduro, ha negato. Il 27 marzo 2025, Marco Rubio, segretario di Stato americano, si è recato a Georgetown, dove ha tenuto una conferenza stampa con il presidente Irfaan Ali. Nell’occasione, Hugh Todd, ministro degli Esteri guyanese, ha firmato un’intesa con la Casa Bianca sulla sicurezza, con cui Trump è stato nominato, in sostanza, protettore ufficiale della Guyana. Il giorno prima della firma, Mauricio Claver-Carone, inviato di Trump per l’America Latina, aveva detto che la Guyana era sulla via di superare Qatar e Kuwait come maggiore produttore di petrolio pro capite al mondo. Torno per un attimo alla prima amministrazione di Trump per dimostrare che il narcotraffico è una scusa. L’11 luglio 2018, il Washington Post pubblicava un articolo contro l’intenzione di Trump di invadere il Venezuela: “La pericolosa fantasia venezuelana di Trump”. Trump aveva addirittura indicato ai suoi consiglieri due modelli di invasione per rovesciare Maduro: l’invasione dello Stato insulare di Grenada del 25 ottobre 1983 sotto Ronald Reagan (Operation Urgent Fury), e l’invasione di Panama del 20 dicembre 1989 sotto George W. Bush (Operation Just Cause). Il 29 gennaio 2019, il consigliere alla Sicurezza nazionale di Trump, John R. Bolton, uscì da una riunione alla Casa Bianca con un foglio sotto il braccio rivolto alle telecamere. I giornalisti fotografarono il foglio manoscritto con il numero di soldati americani (5.000) da inviare in Colombia, stretto alleato degli Stati Uniti. Il narcotraffico non c’entrava niente. Trump voleva piazzare un suo burattino, Juan Guaidó, al posto di Maduro per impossessarsi del Paese. Siccome un’invasione via mare sarebbe stata problematica, Trump pensava di inviare i soldati in Colombia e da lì sfondare il fronte, ma adesso i rapporti tra Trump e la Colombia sono tesi: il 24 ottobre scorso, Trump ha sanzionato il presidente, Gustavo Petro. Quindi, Trump deve risolvere il problema per mare.
Nel suo libro, The Room Where It Happened (2020), Bolton ha rivelato che Trump gli disse: “Sarebbe figo invadere il Venezuela”. Perché? Se gli Stati Uniti riuscissero a instaurare un governo fantoccio in Venezuela, raggiungerebbero obiettivi geopolitici notevoli, giacché il Venezuela è seduto sul più grande giacimento petrolifero della Terra. Il rapporto tra gli Stati Uniti e la Guyana è già un rapporto di dominio e di subordinazione, come quello che esiste tra la Casa Bianca e l’Italia. Trump vorrebbe piazzare una Giorgia Meloni al posto di Maduro per trasformare il Venezuela in uno Stato satellite, unendo il petrolio guyanese a quello venezuelano. In tal modo, gli Stati Uniti acquisirebbero nuove quote di potere mondiale a scapito della Cina. Se la Cina ha bisogno di petrolio, gli Stati Uniti hanno bisogno di controllare i produttori di petrolio. Gli obiettivi prioritari che Trump vuole raggiungere in Venezuela sono numerosi. La lotta al narcotraffico non è tra questi.
Okkio Orsini che qui su I.S. abbiamo un dirigibile Zeppelin gonfio e tronfio che sarà sicuramente di parere diverso e dissonante.
Non risparmierebbe nemmeno Pubble.
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A proposito, ma dei nostri amichetti e padroni se ne potrebbe parlare?
Pure gli americani hanno cominciato a realizzare il problema di essere governati in casa da qualche altro.
Ah, come era quel ritornello di L-70 detto Lord Zeppelin: ”con i soldi tuoi ci fai quel che vuoi, con i soldi degli altri quello che ti dicono di fare”?
Beh, non proprio.
Decisamente.
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Vi ricordate la balla dei 40 bambini decapitati da Hamazz?
Persino Wikipedia dice che è una truffa:
Hamas baby beheading hoax – Wikipedia
“there was no footage substantiating allegations of torture, sexual violence, and mass beheadings, including of babies or other children” (The Intercept‘s paraphrase).[22]
Although the Israeli government press office confirmed to Le Monde prior to the release of its April 2024 investigation that the baby beheadings did not in fact take place either in Kfar Aza or in any other kibbutz, the French newspaper estimates that Israeli officers maintain an attitude of opportunistic ambiguity towards the rumour, with the intention to “muddy the waters”, concluding that Israel has “more often tried to instrumentalize [the hoax] than deny it, fueling accusations of media manipulation.”[4]
Da notare che la storiella dei bambini al forno e decapitati l’ha ripetuta anche gente come Andrea Lombardi.
E più in generale l’articolo sulla disiformazione (per lo più per deumanizzare i palestinesi) di Gaza:
Pallywood – Wikipedia
Misinformation in the Gaza war – Wikipedia
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Ok, ma raccontala fino in fondo però caro prof.
La Cina ha investito un f0ttio di soldi(prestiti e non solo) in Venezuela da almeno un decennio,fin dal primo Celac continuando con la CCRC(petrolio)…e agli yankees ciò non piace molto.
Quindi si profila una situazione analoga al questione ukraina a parti invertite.
Nel parallelismo-geopolitico si procede allo stesso modo: c’è bisogno di una scusa per i polli per giustificare azioni militari (bluff o non bluff si vedrà presto) atte a non turbare equilibri economico-finanziari.
Per Putin c’era “La denazificazione”.
Per Trump c’è la “de-narcos-zazione”.
Suvvia Prof…così è più chiaro ed onesto fin da subito e non ci sarà da aspettare un paio di anni prima che qualche “libricino di qualche piccolo storico”venga dato alle stampe per spiegarci quello che è successo
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PINO ARLACCHI – LA GRANDE BUFALA DEL NARCO-VENEZUELA
Durante il mio mandato alla guida dell’Unoc, l’agenzia antidroga e anticrimine dell’Onu, sono stato di casa in Colombia, Bolivia, Perù e Brasile ma non sono mai stato in Venezuela. Semplicemente, non ce n’era bisogno.
La collaborazione del governo venezuelano nella lotta al narcotraffico era tra le migliori dell’America latina. Il paese era pieno di problemi, ma era del tutto estraneo al circuito della produzione, del traffico e perfino del consumo di droghe pesanti. Dati di fatto assodati che oggi, nella delirante narrativa trumpiana del “Venezuela narco-stato”, sostanziano una calunnia geopoliticamente motivata.
Le analisi che emergono dal Rapporto mondiale sulle droghe 2025 dell’organismo che ho avuto l’onore di dirigere, raccontano una storia opposta a quella spacciata dall’amministrazione Trump, che smonta la montatura costruita attorno al Cartel de los soles venezuelano, una supermafia madurista tanto leggendaria quanto il mostro di Loch Ness, ma adatta a giustificare sanzioni, embarghi e minacce d’intervento militare contro un paese che, guarda caso, siede su una delle più grandi riserve petrolifere del pianeta.
Il rapporto Onu 2025, appena pubblicato, è di una chiarezza cristallina, che dovrebbe imbarazzare chi ha costruito la demonizzazione del Venezuela. Il documento menziona appena il Venezuela, affermando che una frazione marginale della produzione di droga colombiana passa attraverso il paese nel suo cammino verso Usa ed Europa.
Il Venezuela, secondo l’Onu, ha consolidato la sua posizione storica di territorio libero dalla coltivazione di foglia di coca, marijuana e simili, nonché dalla presenza di cartelli criminali internazionali. Il documento non fa altro che confermare i 30 rapporti annuali precedenti, che non parlano del narcotraffico venezuelano perché questo non esiste.
Solo il 5% della droga colombiana transita attraverso il Venezuela. Ben 2.370 tonnellate – dieci volte di più – vengono prodotte o commerciate dalla Colombia stessa, e 1.400 tonnellate passano dal Guatemala. Sì, avete letto bene: il Guatemala è un corridoio di droga sette volte più importante di quello che dovrebbe essere il temibile “narco-stato” bolivariano. Ma nessuno ne parla perché il Guatemala è a secco dell’unica droga non naturale che interessa Trump: il petrolio. Il paese ne produce lo 0,01% del totale globale.
Il Cartel de los soles è una creatura dell’immaginario trumpiano. Si potrebbe tradurre in italiano come “Il cartello delle sòle”. Esso sarebbe guidato dal presidente del Venezuela, ma non viene citato né nel rapporto del principale organismo mondiale antidroga né nei documenti di alcuna agenzia anticrimine europea o di altra parte del pianeta.
Solo la Dea americana gli dedica un riferimento fondato su “prove segrete”, che potete stare certi non lo sarebbero se avessero un minimo di consistenza e fossero corroborate da altre fonti. Come può un’organizzazione criminale così potente da meritare una taglia di 50 milioni di dollari, essere completamente ignorata da chiunque si occupi di antidroga al di fuori degli Usa?
In altre parole, quello che viene venduto come un super-cartello alla Netflix è in realtà un miscuglio di piccole reti locali e di qualche episodio di corruzione. Il tipo di criminalità spicciola che si trova in qualsiasi paese del mondo, inclusi gli Usa, dove – per inciso – muoiono ogni anno quasi 100 mila persone per overdose da oppiacei che nulla hanno a che fare col Venezuela, e molto con Big Pharma americana.
L’UE non ha speciali interessi petroliferi in Venezuela, ma ha un interesse concreto nel combattere il narcotraffico che affligge le sue città. L’Unione ha pubblicato il suo Rapporto europeo sulle droghe 2025. Il documento, basato su dati reali e non su wishful thinking geopolitici, non cita neppure una volta il Venezuela come corridoio del traffico internazionale di droga, e ignora del tutto “Il cartello delle sòle”.
Sta qui la differenza tra un’analisi onesta e una falsa narrativa. L’Europa ha bisogno di dati affidabili per proteggere i suoi cittadini dalla droga, quindi produce studi accurati. Gli Usa hanno bisogno di giustificazioni per il loro bullismo petrolifero, quindi producono propaganda mascherata da intelligence.
Secondo il rapporto europeo, la cocaina è la seconda droga più usata nei 27 paesi Ue, ma le sue fonti principali sono chiaramente identificate: Colombia per la produzione, America centrale per lo smistamento, e varie rotte attraverso l’Africa occidentale per la distribuzione finale. In questo scenario, Venezuela e Cuba non ci sono.
Mentre Washington agita lo spauracchio venezuelano, i veri hub del narcotraffico prosperano quasi indisturbati. L’Ecuador, per esempio, con il 57% dei container di banane che partono da Guayaquil e arrivano ad Anversa carichi di cocaina. Le autorità europee hanno sequestrato 13 tonnellate di cocaina in una singola nave spagnola, proveniente proprio dai porti ecuadoriani controllati dalle aziende Noboa Trading e Banana Bonita, appartenenti alla famiglia del presidente ecuadoriano, Daniel Noboa.
Uno studio dell’Unione Europea documenta come le mafie colombiane, messicane e albanesi operano tutte alla grande in Ecuador. Il tasso di omicidi del paese è schizzato da 7,8 per 100.000 abitanti nel 2020 a 45,7 nel 2023. Ma dell’Ecuador si parla poco o nulla. Forse perché l’Ecuador produce solo lo 0,5% del petrolio mondiale, e perché il suo governo non ha la cattiva abitudine di sfidare lo strapotere Usa nel continente?
Una delle lezioni più importanti che ho imparato durante i miei anni all’Onu è che la geografia non mente. Le rotte della droga seguono logiche precise: vicinanza ai centri di produzione, facilità di trasporto, corruzione delle autorità locali, presenza di reti criminali consolidate.
Il Venezuela non soddisfa quasi nessuno di questi criteri. La Colombia produce oltre il 70% della cocaina mondiale. Perù e Bolivia coprono la maggior parte del restante 30%. Le rotte logiche per raggiungere i mercati americani ed europei passano attraverso il Pacifico verso l’Asia, attraverso i Caraibi orientali verso l’Europa, e via terra attraverso l’America centrale e il Messico verso gli Stati Uniti.
Il Venezuela, affacciato sull’atlantico meridionale, è geograficamente svantaggiato per tutte e tre le rotte principali. La logistica criminale rende il Venezuela un attore marginale del grande teatro del narcotraffico internazionale.
La geografia non mente, ma la politica può sconfiggerla. Cuba rappresenta ancora oggi il gold standard della cooperazione antidroga nei Caraibi. Isola poco distante dalle coste della Florida, base teoricamente perfetta per avvelenare gli Stati Uniti, ma che è totalmente estranea ai flussi del narcotraffico.
Ho riscontrato più volte l’ammirazione degli agenti Dea e Fbi verso le rigorose politiche antidroga dei comunisti cubani. Il Venezuela chavista ha costantemente seguito il modello cubano di ostilità alla droga inaugurato da Fidel Castro in persona. Cooperazione internazionale, controllo del territorio, repressione delle attività criminali. Né in Venezuela né a Cuba sono mai esistiti larghi pezzi di territorio coltivati a coca e controllati dalla grande criminalità.
Ma il Venezuela viene sistematicamente insolentito contro ogni principio di verità. La spiegazione l’ha fornita l’ex direttore dell’Fbi, James Comey, nel suo libro di memorie post-dimissioni, nel quale ha parlato delle vere motivazioni delle politiche americane verso il Venezuela: Trump gli aveva detto che quello di Maduro era “un governo seduto su una montagna di petrolio che noi dobbiamo comprare”. Non si tratta di droga, criminalità, sicurezza nazionale. Si tratta di petrolio che sarebbe meglio non pagare.
È Trump che meriterebbe una taglia internazionale per un crimine ben preciso: “Calunnia sistematica contro uno Stato sovrano finalizzata all’appropriazione delle sue risorse petrolifere”.
* da il fatto quotidiano 30 agosto 2025 – Dal 1997 al 2002 Pino Arlacchi ha ricoperto l’incarico di sottosegretario generale delle Nazioni Unite, direttore dell’UNDCCP (ufficio delle Nazioni Unite per il controllo delle droghe e la prevenzione del crimine) e direttore generale dell’ufficio delle Nazioni Unite a Vienna.
Come direttore esecutivo dell’UNDCP, Arlacchi ha proposto e fatto approvare nel 1998 all’Assemblea generale delle Nazioni Unite una strategia decennale di riduzione della domanda di droghe e di eliminazione delle colture di oppio e coca in tutto il mondo, chiamata “un mondo libero dalla droga”; si è inoltre fatto promotore della Convenzione delle Nazioni Unite contro la Criminalità Organizzata Transnazionale approvata a Palermo da 124 paesi nel dicembre 2000 e pienamente operativa dal 2003.
Fonte: “Contropiano”, Domenica 2 Novembre 2025
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Questo articolo NON E’ APPROVATO dall’associazione DIRIGIBILI TEDESCHI.
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Sì, è evidentissimo che gli interessi di Trump sono di tutt’altra natura che quella di combattere i narcotrafficanti. Detto questo e sottolineata la voglia matta di prendersi le risorse minerarie e petrolifere del Venezuela mi viene da chiedere per l’ ennesima volta,tenendo conto degli altri conflitti in corso , a chi interessa veramente l’ effetto Serra ,compreso tutti quei paesi che dicono di volerlo combattere da almeno trent’anni, visto che la causa di tutte queste guerre è la ricerca affannosa di fonti energetiche fossili.
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Per gli IUESEI è intollerabile che la Cina investa in Venezuela e compri il suo petrolio, da più di due secoli considerano tutto il continente Americano come il giardino di casa loro.
Tollerano appena il Canada, ma solo perchè il loro capo dello stato è il Re d’Inghilterra, loro fedelissimo alleato.
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Chissa’ se Arianna verra’ “interpellata” per la Guyana….dai…..Donald facci sognare…..!!!!!!! E che dire della coincidente protezione trumpiana questa volta per i “Cristiani” in Nigeria….??? Belin quasi quasi stavo dimenticando cha la Nigeria è il piu’ grande produttore di petrolio e gas in Africa……pero’..pero’….dai….basta commettere “peccati”……..”non devo pensar male….”
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Massimo Mazzucco
11 h ·
YIFAT, LA “STREGA” DI ISRAELE
Anche Israele ha la sua Francesca Albanese. La “strega” maledetta si chiama Yifat Tomer-Yerushalmi, ed è un General Maggiore dell’IDF, con il ruolo di Military Advocate General, ovvero una specie di Ministro di Giustizia dell’esercito.
Esattamente come la Albanese, anche Tomer-Yerushalmi ha commesso il più alto crimine che si possa commettere in questo momento contro Israele: raccontare la verità.
Nello specifico, Tomer-Yerushalmi è responsabile per il rilascio dei video della prigione di Sde Teiman, nei quali si vedevano i soldati israeliani maltrattare e violentare alcuni detenuti palestinesi https://www.nbcnews.com/…/israel-sexual-abuse… . Fu all’epoca uno scandalo mal represso, con i giornalisti di mezzo mondo che fecero a gara per dare la notizia (impossibile non darla) senza attribuirle troppa importanza.
Ma il vero putiferio si è scatenato in Israele, e l’odio della destra sionista si è riversato violentemente contro la Tomer-Yerushalmi. Netanyahu l’ha attaccata pubblicamente, dicendo che il video che mostra gli abusi sui detenuti di Gaza potrebbe essere “l’attacco di diplomazia pubblica più grave che Israele abbia mai affrontato”.
Ovviamente, nessuno ha mai contestato i contenuti del video. L’affronto – e quindi il vero problema, per Israele – sta nell’averlo rilasciato al pubblico.
Sopraffatta dalla pressione pubblica, la Tomer-Yerushalmi ha cercato letteralmente di scomparire, abbandonando la sua auto e il suo cellulare su una spiaggia vicino a tel Aviv. Ma è stata prontamente rintracciata ed arrestata.
Le forze dell’ordine hanno affermato che nei prossimi giorni verrà interrogata con l’accusa di a) ostruzione alle indagini, b) falsificazione, c) abuso di fiducia, d) fornitura di false informazioni a un tribunale, e) comportamento improprio e f) reati contro la legge sulla giustizia militare, che di solito comportano una pena fino a cinque anni.
Questo è quello che accade a chi oggi cerca di far conoscere la verità.
Ah già, dimenticavamo: Israele è l’unico stato democratico in Medio Oriente. Per questo dobbiamo stare sempre dalla sua parte.
Massimo Mazzucco
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