
(Flavia Perina – lastampa.it) – C’è un vulnus evidente nel «Ghiglia si dimetta» intonato a gran voce da Movimento Cinque Stelle e Avs, e il vulnus è che l’Ufficio del Garante della Privacy – da quel che si legge, da quel che ha rivelato Report – è un consesso di potenziali Ghiglia: tutti con vincoli di obbedienza politica evidenti perché tutti nominati dai partiti per via diretta e per ragioni poco attinenti alla trasparenza e all’interesse pubblico che dovrebbe essere la missione della struttura.
La corsa alle nomine nel 2020, quella che ha insediato l’attuale autority, fu una commedia in più atti dominata dalla «caccia al settantenne» perché si temeva che Ignazio La Russa – designato da FdI – in caso di mancato accordo conquistasse la presidenza per anzianità (la surreale regola è questa). Pd e M5S trovarono l’accordo su Pasquale Stanzione, due anni in più di La Russa, e dopo dodici mesi di conciliaboli fu fumata bianca. Il resto venne di conseguenza: sciolto quel nodo, ciascuno si sentì libero di assegnare i restanti ruoli ai fedelissimi. E tutti accettarono il gioco, in piena consapevolezza: voto parlamentare a scrutinio segreto, nessuna sorpresa.
Ora è doveroso chiedersi se una struttura costruita così possa far fronte al suo incarico, se sia in grado di mantenere la barra dritta nei doveri di routine – la vicenda Report e altri ordinari casi di conflitto tra informazione e politica – ma soprattutto in scenari più complessi nell’Italia della violazione permanente della riservatezza, di Paragon e di Equalize, delle manipolazioni e dei ricatti online, dell’abuso digitale sulle donne, delle prospettive distopiche di sorveglianza e condizionamento aperte da realtà come Palantir. E tutto questo a fronte di nuove generazioni che sembrano inconsapevoli delle conseguenze delle loro attività in rete e ignare della natura stessa della rete: adolescenti che chiedono all’intelligenza artificiale come suicidarsi e ne ricevono consigli e poi si ammazzano davvero (negli Usa c’è già una causa giudiziaria in corso).
Sì, il «caso Ghiglia» è in realtà un «caso Garante». Quel tipo di selezione politica forse risultava adeguato all’epoca della fondazione, trent’anni fa, quando i cellulari erano gli StarTac con l’antennone e in tutto il mondo c’erano appena cinque milioni di persone collegate a Internet. Adesso la sproporzione tra le manovre piccine dei partiti e l’enormità delle responsabilità in gioco è accecante. I dati personali, come ci ha spiegato Shoshana Zuboff, sono il “petrolio” del capitalismo delle piattaforme: davvero possiamo mettere a guardia dei nostri giacimenti il non-eletto da risarcire, il fedelissimo che si è speso in campagna elettorale, quello abbastanza anziano da garantirci la presidenza?
Articolo senza senso: parte dal presupposto che il nominato dalla politica debba PER FORZA non essere autonomo. Pertanto, per forza, debba favorire l’uno e danneggiare l’altro. Allora, dovrebbero agire così anche le più alte Cariche dello Stato alla faccia della terzietà e dell’interesse pubblico. Se così fosse davvero o ci affidiamo all’estrazione a sorte tra tutti i maggiorenni oppure rinunciamo anche a quel simulacro di Democrazia che abbiamo.
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