I partiti della destra, pur litigando, trovano unità. I progressisti non riescono, colpa del radicalismo

(di Ernesto Galli della Loggia – corriere.it) – «Ciò che in Italia fa la vera differenza tra la destra e la sinistra quando si va alle elezioni è che i partiti della destra, pur litigando tra di loro riescono sempre a presentarsi uniti, invece i partiti di sinistra no. I quali quindi perdono, anche se magari la sinistra nel suo complesso raccoglie la maggioranza dei consensi». Ridotto al nocciolo è questo il modo in cui da tempo viene spiegata una tendenza elettorale ormai consolidata della politica italiana: con l’assai maggiore capacità della destra rispetto alla sinistra di fare squadra.
Mi pare tuttavia una spiegazione superficiale. Dal momento che non risponde alla domanda davvero cruciale: ma perché, allora, la destra riesce a coalizzarsi e la sinistra quasi mai?
Ciò dipende a mio avviso da una differenza decisiva, sebbene raramente presa in considerazione, esistente tra i due elettorati: il fatto che a destra non esiste, o è comunque scarsissimo, un elettorato radicalizzato, il quale invece è da sempre e in notevole misura presente a sinistra, potendo contare su scala nazionale all’incirca su almeno un milione – un milione e mezzo di elettori (ma forse di più considerando la sua incidenza sul fenomeno dell’astensionismo), tratti in specie dalle fasce giovanili. Per elettorato radicalizzato intendo quello che si nutre di scelte ideologiche forti, assai spesso decisamente polemiche verso il proprio stesso schieramento.
Un elettorato che vive tali scelte con un impegno altrettanto forte nella quotidianità, partecipando intensamente alle più varie attività di tipo politico (presenza alle manifestazioni, organizzazione di comitati «di lotta», altre forme di militantismo). Un elettorato che, quando vota, si distribuisce in modo ondivago tra 5 Stelle, Avs, e formazioni come Democrazia sovrana e popolare, Potere al popolo e altre consimili tipo Toscana rossa.
È evidente la difficoltà di coalizzare un tale elettorato. Di convincerlo a votare per un centro-sinistra di governo — vale a dire un centro-sinistra in cui l’istanza di centro sia almeno pari a quella di sinistra. Fondamentalmente, infatti, l’elettorato radicale non è interessato alle elezioni né a governare. La principale motivazione che lo anima sta altrove: sta nella testimonianza e nella lotta; esso non desidera esercitare il potere quanto soprattutto essere in grado ogni giorno di indignarsi contro di esso. Al radicalismo di sinistra non interessa la costruzione di un asilo o un aumento delle pensioni: interessa sentirsi dalla parte giusta della storia.
A destra invece non esiste nulla di simile. Formazioni come CasaPound o Forza nuova, a parte la loro sostanziale clandestinità sociale, anche elettoralmente valgono di fatto poco o niente: vuoi perché hanno una scarsa consistenza numerica vuoi perché probabilmente il più delle volte i loro iscritti indirizzano il loro voto verso uno dei partiti dello schieramento ufficiale della destra. Di questa diversa incidenza quantitativa che hanno il radicalismo di destra e di sinistra rispettivamente nei due elettorati si è avuto una prova nelle recenti elezioni regionali in Toscana: dove al flop delle candidature leghiste ultrà, ispirate dal generale Vannacci, ha fatto riscontro l’ottimo 4,51 per cento realizzato invece dalla già citata Toscana rossa.
A questo punto è inevitabile chiedersi il perché, in Italia, della presenza a sinistra di questo consistente elettorato antagonista, che dura inscalfibile da anni, che per il centro-sinistra di governo costituisce una sorta di continuo ricatto e all’occasione di paralizzante richiamo della foresta.
Una parte della spiegazione è innanzi tutto nella nostra storia. È nella lunga vicenda della Prima Repubblica, nei decenni e decenni di divulgazione di pensiero massimalista ad opera di un partito come il Pci — socialdemocratico e realista nella sostanza quotidiana — ma, nelle parole e nelle pose, denigratore sottile ma instancabile del capitalismo, dell’Occidente, della scuola «borghese», della miseria del riformismo, diffusore nel corso del tempo di decine di migliaia di copie di testi di Lenin e Stalin, cieco esaltatore di ogni rivoluzione pur se finita malissimo: dallo spartachismo al maoismo, da Cuba all’Etiopia.
Ma in questo modo si è creata e ha messo radici un’Italia insoumise, un’Italia di sinistra dura e pura. Che forse nella Seconda Repubblica avrebbe finito per esaurirsi se a fornirle continuo alimento non fosse intervenuta una forte sinistra culturale, anch’essa in qualche modo erede di lontane stagioni.
Presente in ogni circuito mediatico e nell’editoria, popolarissima in tutto il mondo dello show business, questa sinistra culturale è sempre pronta ad accogliere e a fare da eco, grazie ai mezzi di cui dispone, ad ogni punto di vista, a ogni libro, a ogni spettacolo, a ogni prodotto intellettuale, a ogni protagonista, capace di presentarsi come «nuovo», «critico», «d’opposizione», «alternativo». Così come è sempre pronta a schierarsi dalla parte del «progresso», di qualunque cosa si presenti con questi panni, e quindi a farsi sostanzialmente beffa di ogni valore della tradizione, ad abbracciare la causa di ogni «diritto», di ogni protesta, di ogni rivendicazione, specie se ad avanzarla sono «i giovani» o il mondo non occidentale. Ma — si dirà — non è forse ciò quanto avviene di solito in ogni democrazia europea? È vero, ma da nessuna parte la suddetta sinistra è influente come in Italia, perché solo in Italia essa è priva di qualunque efficace contrappeso nel discorso pubblico a causa della storica debolezza da noi di una cultura liberale o conservatrice.
È per l’appunto questo vasto retroterra culturale, diffuso per mille tramiti e portato per sua natura al radicalismo, che funge da continuo serbatoio di rifornimento e insieme da cassa di risonanza per la postura ideologica dell’elettorato antagonista, che ne alimenta quotidianamente l’esistenza. Rispetto a questo retroterra culturale la sinistra di governo è sostanzialmente indifesa. Essa subisce in silenzio la sua opera erosiva, la sua delegittimazione strisciante, la sua egemonia di fatto. Nel Pci di una volta un Amendola avrebbe di certo levato contro quel radicalismo la sua voce ammonitrice: ma nel Pd attuale sembra davvero assai difficile aspettarsi da chiunque qualcosa del genere.
E il gallo cantò …per la terza volta!
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In poche parole: l’elettorato di destra è bue,per questo li abbiamo al governo, mentre quello di sinistra pensa troppo e per questo resterà al governo la destra!
che intellettuale questo “Cappone della Terrazza”!!!🤣
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Alli Galli ha rielaborato,pensato ,riflettuto e un fine ha partorito la solita manfrina : la sinistra perde perché vi sono in giro i soliti estremisti disfattisti , quindi occorre correre a centro . Beh, innanzi tutto la sinistra(o quello che si definisce di sinistra per poter lucrare sulla bandierina)le ha vinte le elezioni e anche più di una volta ma ha tradito tutte le aspettative facendo politiche liberiste di stampo chiaramente patronale attente a non guardarsi banche, poteri forti, finanza, e industriali di alto borgo,quindi appoggiando governi tecnici portatori di
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di modifiche o riforme di leggi pensionistiche chiaramente danneggiatrici della classe lavoratrice oltre a non toccare mai l’ evasione endemica o cercare di riequilibrare gli scompensi economici che sono invece aumentati a dismisura mentre le retribuzioni andavano riducendosi anno dopo anno . Insomma tutto quello che rimproveravano alla destra ,privatizzazioni comprese, lo hanno fatto loro .
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Quindi perché eleggere costoro ?
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Bravissimo Cesare!! 👏🏼👏🏼👏🏼👏🏼
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Ora è diventato peccato avere dei.valori su cui non si discute. Non voterò mai il PD finché ci saranno le Picerne o i Gentiloni di turno.
Se al governo ci fosse il PD attuale la differenza sarebbe nulla.A riprova il PD in Europa vota uguale a Fratelli d’Italia .
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Ooohhh, bravo Allegro Pessimista! Dillo e ridillo, fallo sempre presente, perché qui tra quei dipendenti psicopatologici del PD che strenuamente lo votano ancora, nessuno si rende veramente conto che il PD, in qualità di opposizione a Fratelli d’Itagghia, a Bruxelles vota sempre tutte le stesse cose del partito dei cafoni di Giòggia!! Sulle grottesche schifezze più gigantesche, PD e FdI (anche con FI ai tempi di Scilvio) sono curiosamente sempre tutti d’accordo…! Prima fanno un mucchio di puzzo, si inventano dal nulla una figura pietosa come la Schlein per poi mandarla a cantare Bella Ciao tutta seria, ma poi alla fine della manfrina, votano le stesse cose e pretendono incomprensibilmente di distinguersi! Dillo e ribadiscilo, anche a costo poi di beccarti gli insulti (che tanto ormai fanno parte del pacchetto-regalo e non ci si fa neanche più caso, tantopiù che son sempre gli stessi: filoqui, filolà, cui puoi sempre rispondere fischiettando: firulì e firulà! 😅)…!
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il gallo della loggia dovrebbe sciacquarsi la bocca quando parla di amendola, per il resto il solito e inutile spreco di inchiostro
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Questo è quello che ha negato il genocidio a Gaza perché gli israeliani ne hanno accoppati ‘solo’ 60.000 in 2 anni.
Bel soggetto. Fa pari con Andrea Lombardi, per dirne un altro.
Però su una cosa ha ragione. Quando hai dei valori, sei meno disposto/a a buttarli via per un pò di soldi. E il popolaccio italiano ha sempre quello, di valore fondante: TENGO FAMIGLIA.
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