Eredi di B. la priorità dei reati e le altre norme

(di Antonella Mascali – ilfattoquotidiano.it) – La separazione delle carriere, approvata dalla maggioranza giovedì, insieme alla costituzione di due Csm e dell’Alta Corte disciplinare è, per usare le parole di Paolo Borsellino, “un cavallo di Troia per disarticolare la forza unitaria dell’azione giudiziaria”.

La riforma costituzionale sembra essere la chiusura del cerchio del disegno politico del governo Meloni di indebolire il potere giudiziario. La prossima mossa sarà, come ha detto più volte il ministro Carlo Nordio, quello dell’abolizione dell’obbligatorietà dell’azione penale o il progetto mai smentito della sottrazione al pm del controllo della polizia giudiziaria. Poi vanno ricordate le norme approvate o in progetto, anche queste tutte mirate a indebolire le indagini e a favorire l’impunità dei colletti bianchi: cancellazione dell’abuso d’ufficio, svuotamento del traffico di influenze, interrogatorio preventivo per chi ha un mandato d’arresto, giro di vite sul sequestro degli smartphone, divieto di usare le intercettazioni a strascico anche per reati gravi. E poi la proposta Zanettin-Stefani che sia la politica a dettare alle procure le priorità delle indagini. Un rafforzativo di quanto fatto dal governo Draghi, con la riforma Cartabia: le procure, dice la norma del 2021, “nell’ambito di criteri generali indicati con legge dal Parlamento”, devono stabilire “criteri di priorità trasparenti e predeterminati…” Quindi si prevede la “manina” della politica su cosa si debbano orientare i pm.

E pensare che appena nel giugno 2022 il referendum promosso da Lega e radicali sulla giustizia, con 5 quesiti, fra cui la separazione delle carriere e la riforma del Csm, non ha raggiunto il quorum. Matteo Salvini, durante la campagna referendaria, ripeteva: “Fuori le correnti dai tribunali”. Per il sì era il centro destra ( con un distinguo di Fdi, contro la limitazione della custodia cautelare e l’abolizione della legge Severino) ma anche Azione di Calenda, e Italia Viva, che però, giovedì scorsa si è astenuta perché, ha detto Renzi, è una “riformicchia”.

Gaetano Pecorella, storico avvocato del fu Cavaliere, che si è battuto in Parlamento, senza successo, per la separazione delle carriere, ai tempi di Berlusconi premier, all’Huffpost, si dice soddisfatto, ma non del tutto. È vero, dice, che la riforma “riprende in gran parte” quella del 2010 (separazione, due Csm, Alta corte disciplinare), ma “noi ipotizzavamo che le procure dovessero rispondere a qualcuno. Ogni iniziativa del pm ha un sottofondo politico”. E spiega perché oggi sì e ieri no: “La riforma arriva ora perché la magistratura non è più intoccabile e la sinistra è debole”. D’altronde sono almeno 30 anni che ci sono tentativi di voler mettere sotto il tacco della politica, in un modo o in un altro, pm, in particolare, e giudici, per evitare inchieste su leader politici e colletti bianchi. Da Silvio Berlusconi, passando per la Bicamerale del 1997, a Matteo Renzi, al governo Draghi fino all’attuale governo Meloni.

La separazione delle carriere e dei Csm era stata proposta nel programma elettorale di Forza Italia e del PDL nel 2001, 2006 e 2008. Per provare ad avere un pm sotto controllo politico, nel febbraio 2009 il governo Berlusconi approvò anche la cosiddetta legge bavaglio , una riforma del processo penale e delle intercettazioni, che interferiva nelle indagini dei pm e imbavagliava i giornalisti. Non andò in porto così come la riforma della separazione delle carriere, del 2010, per la caduta del governo, nel 2011.

Ecco spiegato perché Forza Italia si è intestata la riforma appena approvata in Parlamento dedicandola, ha detto il senatore Pierantonio Zanettin, “al nostro compianto Presidente Silvio Berlusconi”. E indica lo scranno dove era seduto. Marina Berlusconi, poche ore dopo dice: “La riforma è una vittoria di mio padre”. Ma con la riforma Cartabia un magistrato può passare da una funzione all’altra solo una volta. Una separazione delle carriere di fatto. Tanto che il professor Enrico Grosso, presidente onorario del comitato per il No, dell’Anm, dice che la separazione delle carriere prevista dalla riforma “è lo specchietto per le allodole, il punto vero è il depotenziamento del Csm”” per realizzare “il controllo della politica” su pm e giudici.