Forza Italia ha celebrato l’approvazione della riforma con le foto di Berlusconi, la figlia Marina: «È la vittoria di mio padre». L’opera per collegare Calabria e Sicilia è un grande classico. Il ruolo di Ciucci e Lunardi è l’esempio del passato che è presente

Una gigantografia di Silvio Berlusconi e attorno le bandiere di Forza Italia, durante il flash mob di Forza Italia per celebrare l'approvazione definitiva della riforma sulla separazione delle carriere dei magistrati, subito dopo il voto al Senato, in piazza Navona, a Roma

(Stefano Iannaccone – editorialedomani.it) – Mancano solo i 6×3 in tutte le città con la promessa “Meno tasse per tutti” con il volto sorridente di Silvio Berlusconi, che rilancia il claim del presidente operaio. Poi la macchina del tempo, che riporta l’Italia all’inizio degli anni Duemila, avrebbe funzionato alla perfezione.

Le cronache di venti anni fa sono attuali, le parole sono identiche, come molti dei protagonisti sulla scena politica. La fotografia che sintetizza tutto è quella dei parlamentari Forza Italia che festeggiano con i cartelli la riforma giustizia, osannando i bei tempi andati. Che non sono tanto andati. Per strada si è persa solo la rivoluzione liberale, altro vecchio pallino berlusconiano annegato però dalla difesa delle rendite di posizione della destra e in particolare del governo Meloni.

Il micidiale mix di Ponte sullo Stretto, separazione delle carriere, attacco alle “toghe rosse”, condito dalle promesse di premierato e addirittura il ritorno della locuzione magica “flat tax”, ha portato le lancette della destra italiana ad almeno venti anni fa. O meglio, ha svelato che la destra è ferma lì, nonostante di mezzo ci siano state crisi economiche, la diffusione dei social, addirittura una pandemia e l’uso dell’intelligenza artificiale.

Poco male. Il centrodestra che era di Berlusconi è lo stesso di Giorgia Meloni. Anche l’ossessione della premier per la longevità è il prolungamento del pensiero berlusconiano. Del resto, l’attuale presidente del Consiglio, seppure giovanissima, rientrava in quell’album di famiglia, così come altri, per esempio il presidente del Senato, Ignazio La Russa.

Il Ponte sullo Stretto è la pietra angolare. Un esempio? L’amministratore delegato della società Stretto di Messina era Pietro Ciucci già all’inizio degli anni Duemila, quando a volere la grande opera era Berlusconi. In mezzo è successo di tutto: venti anni dopo lo stesso Ciucci è stato nominato ad della società Stretto di Messina. Il Ponte è stato sempre un sogno berlusconiano, inserito nel programma dal governo di centrodestra nel 2001.

Era nella cosiddetta legge-obiettivo. «Sarà pronto nel 2012», aveva detto l’allora ministro delle Infrastrutture, Pietro Lunardi. Il Cavaliere non c’è più, l’eredità della battaglia è stata raccolta dal segretario della Lega, Matteo Salvini. E ha riproposto gli stessi toni battaglieri, ha fatto ricorso alla stessa intensità nello scontro con i magistrati: l’Italia “del fare” contro quello dei no. Il centrodestra del 2001

Nelle stesse ore del pronunciamento della Corte dei Conti sul Ponte, ecco riemergere un altro tema del passato che è anche presente (e in vista del referendum diventa futuro): la riforma della giustizia con la riforma costituzionale della separazione delle carriere. Il Senato ha votato la quarta e ultima lettura, la parola finale spetterà ai cittadini su una questione che viene agitata dalla destra italiana da oltre venti anni. Era un punto inserito nel programma elettorale di Forza Italia nel 2001.

A fare da apripista è stata la riforma del ricorso alle intercettazioni, già limitato nel corso di questa legislatura, e la riproposizione delle leggi-bavaglio. Nello stesso capitolo rientrano gli attacchi alla magistratura, responsabile «di invasioni di campo», sebbene nella realtà abbia soltanto assolto alle proprie funzioni, come il pronunciamento sui centri migranti in Albania. Un modus operandi che ricorda molto da vicino gli affondi alle «toghe rosse».

La strategia delle leggi ad hoc (è vero, con Berlusconi erano proprio ad personam) è l’anello di congiunzione: proprio sui centri in Albania sono state approvate norme per cercare di limitare l’azione della magistratura. Il lodo-Albania. Il trittico è stato completato dalla riapparizione, tirata fuori dal cilindro leghista, della flat tax da inserire nella manovra economica, che ha iniziato l’iter al Senato. È una versione depotenziata rispetto al solito refrain, perché riguarderebbe solo i lavoratori autonomi con un reddito fino a 100mila euro.

Ma se tre prove bastassero a fare un indizio, ce ne sarebbero tante altre a testimoniare la destra ferma al passato. Il milione di posti di lavoro è stato già rivendicato da Meloni, riesumando un altro slogan che ha segnato il tragitto politico del centrodestra degli ultimi venti anni.

Il premierato, che è sparito dai lavori parlamentari ma che è stato comunque proposto dal governo in carica, riporta alla memoria la riforma tentata dal centrodestra e bocciata dal referendum costituzionale del 2026. Almeno in questo caso il testo è diverso. L’intestazione, invece, no. Tutto uguale a venti anni fa.