
(Alessio Mannino – lafionda.org) – Un partito di massa. Lo ha evocato Alessandro Di Battista alla conferenza “Che fare?”, organizzato da La Fionda venerdì 24 ottobre scorso. Sarebbe l’unico modello di riferimento che avrebbe senso adottare, per quanto lo riguarda, nell’eventualità che “fra un anno” decidesse di volgere il suo attuale impegno di attivista indipendente in una corsa elettorale. “Le nicchiette ci sono già, bisogna prendere i voti”, ha scandito il cofondatore dell’associazione Schierarsi. È una formula che colpisce, nel 2025. Evidentemente, l’esperienza del Movimento 5 Stelle, con i suoi forti limiti organizzativi , non sono passati invano. Tuttavia, a titolo di contributo può essere utile approfondire il concetto. In modo da evitare, caso mai una simile opzione dovesse concretizzarsi, di rifare certi errori.
Nell’attuale vulgata la forma-partito richiama, in contrapposizione ai movimenti o ai “partiti leggeri”, il radicamento territoriale. La memoria corre alla vecchia “sezione”, che tanta nostalgia suscita in chi porta i capelli bianchi. Provare nostalgia è un sentimento umano, con una sua poesia. Ma ha il difetto di essere regressivo, vale a dire di tenere mentalmente in vita un passato che, in quanto tale, non può tornare. In una società spoliticizzata che da questo punto di vista ha subìto una netta involuzione, la possibilità di una presenza capillare, Comune per Comune, non è più sostenibile. Perché non è più disponibile una “base” di militanti sufficiente, banalmente, a coprirne i costi. Né a dedicare il tempo adeguato per renderne sostenibile l’esistenza. Solo un piccolo numero di partiti, a tutt’oggi, può permettersi una relativa diramazione locale (non casualmente, Fratelli d’Italia e Partito Democratico, eredi di partiti storici, o la Lega, ultimo partito della Prima Repubblica ancora in piedi). Con ciò non si vuole sostenere che un recupero della fisicità, in un tempo così dominato dal virtuale, non rappresenti la giusta direzione verso cui tendere. Anzi: fosse per chi scrive, ad esempio, di contro a modalità elettroniche di votazione poco impegnative e suscettibili di sospetta opacità, una forza realmente partecipativa dovrebbe ripristinare, una volta aperte, o al limite affittate per l’occasione, delle sedi apposite, l’obbligo di voto in presenza per eleggere i dirigenti. Lasciamo agli informatici la fascinazione per trasformare tutto in un comodo pigiar di tasti col sedere inchiodato a casa.
No, quel che voglio dire è che non è la sola diffusione sul territorio, a costituire il carattere discriminante di un partito. E meno che meno di un partito di massa. Riassumendo, gli elementi fondanti che ne delineano il profilo sono quattro, interconnessi l’uno all’altro:
- Organizzazione verticale, dal semplice iscritto fino a vertici, con una gerarchia interna più o meno articolata;
- Formazione dei militanti, dei dirigenti e, naturalmente, dei candidati alle elezioni;
- Selezione della classe dirigente, in parte, almeno tendenzialmente, impegnata a tempo pieno;
- Contendibilità democratica degli incarichi.
Già il primo punto rappresenta un pugno in un occhio per quanti siano vissuti nel mito della cosiddetta “orizzontalità”, di quell’assemblearismo, benvenuto e rivitalizzante in momenti di spontanea eruzione della rabbia popolare, che tuttavia, se eletto a schema permanente, denota immaturità e inconsistenza strategica. Non c’è discussione: più un collettivo è esteso e numeroso, più sarà fisiologica al suo interno la divisione di compiti e, di conseguenza, la stratificazione di responsabilità. In ogni gruppo si forma un sotto-gruppo che decide per la maggioranza: a dirlo è la sociologia, oltre che la storia. A determinare, nel nostro caso, la sopravvivenza e la crescita di un partito è la qualità del suo gruppo dirigente. Vien da dire a maggior ragione oggi, che gli attributi richiesti per correre a un’elezione, a parte l’ovvia fedeltà alla leadership di turno, corrisponde in sostanza alla capacità comunicativa, all’abilità di vendere, su media e social media, la propria persona e il marchio, l’identità, di regola evanescente e ridotta a pochi slogan, del partito in questione.
Qui, in totale controtendenza rispetto a questo andazzo superficiale e vacuo, si imporrebbe un livello di istruzione propedeutica rigorosamente formativo (se non educativo, nel senso che spiegavamo in un articolo precedente). Un’azione politica che non preveda l’assimilazione di una cultura politica almeno di base, è destinata a mandare nei consigli comunali, regionali o in parlamento una pletora di individui inetti a muoversi nella cornice e nelle dinamiche specifiche di quella dimensione. Con gli effetti che si sono visti e vediamo ogni giorno. Non si tratta solo di acquisire nozioni fondamentali di diritto costituzionale o di marketing elettorale, ma di dotarsi di un robusto bagaglio di conoscenze in storia, in economia, in psicologia sociale e, certo, anche in linguaggi mediatici. E non ultimo, di interiorizzare il pensiero del proprio partito, posto che se ne sia elaborato, o almeno abbozzato, uno (sperabilmente di vasto respiro). Ci sarà stata una ragione per cui tutti i classici partiti di massa, nel cursus honorum interno, obbligavano a far tappa in scuole che erano dette, appunto, di partito. Qua sì che la rete telematica aiuta: l’istituzione di corsi può essere realizzata con poca fatica, a patto di poter contare su un corpo docenti. E a condizione, beninteso, che si tratti di un’istruzione vera, con prove ed esami per ottenere una certificazione senza la quale la candidatura in lista, poniamo, un aspirante candidato brocco e somaro se la scorda.
Altro punto decisivo, ed estremamente dolens, è proprio il criterio, o i criteri, di selezione dell’organigramma. E, ancor più dolens, la natura professionale dei quadri dirigenti. Veniamo da decenni di contestazione feroce della partitocrazia, sviluppo degenerato e tumorale della vita dei partiti i quali, ricordiamolo, pur essendo associazioni private sono espressamente citati nella Costituzione. Cosa che non giustificava la loro presa di possesso di ogni ganglio e anfratto dello Stato e del para-stato, durante quella Prima Repubblica oggi anche troppo spesso guardata – ci risiamo – con nostalgia. La figura del professionista della politica è stata il bersaglio principale dell’onda lunga che, da Tangentopoli al risentimento verso la “casta”, ha alimentato quello che in politologia si chiama “momento populista”. Che non è proprio un momento passeggero, visto che prosegue nonostante il naufragio del soggetto che ne è stato il massimo beneficiario: il M5S. Un partito, però, per esser tale, come si diceva, piaccia o meno deve essere strutturato. E una struttura, se non vuol risultare una scatola vuota, ha bisogno che chi si trovi ai gradi apicali possa investirci il proprio tempo, se non 24 ore su 24, di sicuro in misura prevalente. Non si scappa: impegnarsi in politica, fra incontri pubblici, colloqui, visite, riunioni, raduni e, se fatta seriamente, lettura e studio di dossier, equivale a un lavoro. E il lavoro, di qualsiasi tipo sia, va pagato.
Dice: ma se a ispirare l’attività politica è la passione, può bastare la volontarietà. Assolutamente no, perché così si taglia fuori in partenza chi non è abbastanza benestante, o comunque non svolge un impiego tale, in termini di tempo rapportato ai costi, da concedersi il lusso di fare il militante con incarico dirigenziale. Ecco spiegato fra l’altro uno dei motivi per cui, al contrario della militanza, l’attivismo comune in genere si configura, salvo eccezioni, come una vocazione di durata variabile, oscillante fra subitanei entusiasmi e cocenti delusioni, o a volte rifluente nelle sembianze, un po’ patetiche, dell’agitatore sempre prolifico di nuove sigle, siglette, partitini e versioni psicopatologiche di una “passione” in cerca di un ubi consistam. Ma diamo per buona l’ipotesi che, da questo lato, si trovi un equilibrio soddisfacente (che poi sarebbero le risorse economiche necessarie). Anche più ostica è l’ultima questione: il metodo selettivo interno. La pre-condizione l’abbiamo già sottolineata, e non si sottolineerà mai a sufficienza: il livello di preparazione. Ma formati i quadri, come gestiranno il partito?
Tramite il voto, democraticamente. Ogni carica deve essere eleggibile, contendibile. Da quella più bassa a quella più alta. Leader o capo compreso. Altrimenti, il partito diventa, o resta, un partito personale. E di partiti personali ce ne sono stati e ce ne sono già troppi. Ora, su questo aspetto vanno puntualizzate un paio di cose. La prima è che l’odierna cultura, come si dice, di massa, incornicia e impacchetta ogni segno (che non è il significato, il contenuto, ma la sua superficie visibile) in formati personalizzati. In politica, si parla infatti di personalizzazione. Fratelli d’Italia è Giorgia Meloni, la Lega è Matteo Salvini, il Pd è (un po’ meno) Elly Schlein. È un dato culturale, questo, dovuto a varie cause la prima delle quali è l’egemonia del marketing, della comunicazione di mercato, sull’immaginario collettivo. È chiaro quindi che nessuno può sottrarsi a una tendenza universale. In ambito politico, inoltre, come spiegava già Max Weber cent’anni fa, il carisma identifica un fattore determinante nella mobilitazione, ancora una volta, di massa. Le personalità con un fascino unico e irripetibile compongono un tassello essenziale nel mosaico finalizzato all’affermarsi di una forza politica (specialmente nella sua fase aurorale, movimentista, ma anche dopo).
Detto ciò, un frontman carismatico non è detto sappia anche guidare. Un capo non è solo colui che ha in mente una visione e sa tradurla in un legame emotivo-sentimentale con i seguaci. Non è, insomma, soltanto un influencer (così come un partito non può ridursi a una fanbase). Deve anche essere in grado di compiere tre operazioni non facili, ma indispensabili: delegare; dividere onori e oneri; mettere in conto di poter essere sostituito. E pertanto deve accettare che la strategia e l’articolazione del partito siano stabilite in congressi periodici, nei quali sia ammessa un’eventuale opposizione interna e tutte le scelte importanti vengano esaminate, discusse e messe ai voti. Per capirci: non esiste che il leader si svegli un mattino e decida in solitaria, o con il ristretto entourage dei suoi collaboratori (segreteria, nel gergo partitico), la prossima battaglia campale in cui si sostanzia la linea del partito. Questo, quanto meno, se parliamo di un leader all’altezza, e di una gestione democratica.
Intendiamoci: sappiamo tutti, o almeno si spera, che anche nel più formalmente democratico dei partiti, anzi proprio perché democratico, chi dirige poi tende a esondare, camuffando da democrazia un potere di fatto personalistico e cristallizzato in un cerchio magico, con il suo bravo codazzo di fàmuli e clientes. Dirò di più: possono esserci circostanze in cui il trascinatore di folle, il Beppe Grillo della situazione, può essere giustificato nel condurre con sistemi autoritari una realtà, com’era il M5S in ascesa, che nei fatti consisteva in una dittatura in alto e una caotica anarchia in basso. Ma un conto è agire con simili metodi per stato di necessità e impellenza (dovuta, fra parentesi, al rifiuto ostinato e insipiente di evolvere, per l’appunto, da movimento a partito). Altro, invece, sarebbe iniziare senza porsi il problema di creare qualcosa che viva, ci si augura, non di sola luce riflessa rispetto all’immagine e alle temporanee decisioni del capo. Dare vita a un partito di massa, oggigiorno, è impresa già di suo ciclopica. Se poi non dovesse rivelarsi nemmeno un partito, ma solo una massa, fluida e acritica, e per altro da vedere se e quanto numerosa, allora meglio dargli in partenza un altro nome.
In breve. Non sta scritto da nessuna parte che il modello sintetizzato sopra sia per forza l’unica strada. Ma se si intende percorrerla, occorre sapere cosa comporta. In ogni caso, quale che sia la formula, il calco originario del partito tradizionale racchiude le tre fondamenta di un qualunque progetto che voglia diventare politico e non essere solo elettorale: pensiero lungo, struttura solida e democrazia interna.
“formule”…..?? io vorrei sentir parlare, in prima battuta di “programmi economici” sui quali si possano fare delle valutazioni…..per ridurre in modo significativo l’ astensionismo che poi non è altro che il piu’ serio problema per la nostra “Politica”…….!!! Presentare un “progetto” e poi vedere chi ci sta’…chi lo condivide…
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Buon intervento, ha sintetizzato bene i principi del “come”, della forma di un’organizzazione di massa.
Il “cosa” sarà l’argomento chiave, andrà affrontato prima possibile.
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Ma, meglio dire partito o movimento?
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Titolo fuorviante acchiappaclik
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“pensiero lungo, struttura solida e democrazia interna”
Tre pilastri. Io credo che il pensiero lungo sia fondamentale, perché la sua caratteristica percepita dalla massa è la assenza della ricerca immediata del potere a tutti costi .Il pensiero lungo esige sacrifici enormi, e nessuno dei partiti attuali è disposto a farli. Lo spettacolo che vediamo è a dir poco penoso.
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Beh, abbiate pazienza… uno che ogni volta che, da un po’ di tempo in qua, premette ostentatamente ad ogni sua altradichiarazione: “IO NON SONO DI SINISTRA”, stima a parte per le sue battaglie, non lo prendo neanche in considerazione come referente politico.
Resto dell’idea che se uno si dichiara “né di dx né di sx” , o “NON di sx”, per me è di dx.
Nessuna persona di sx NEGA o si vergogna di essere tale.
Se lo fa, essendolo nei fatti, non ha la mia fiducia.
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… Quindi, neanche affronto il papello, che, tra l’altro, a leggere i commenti, si risolve nel “come”, ma non tratta il “cosa”.
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DESTRA & SINISTRA sono categorie obsolete. Esiste una corrente di economisti, filosofi e antropologi che sostengono al tesi secondo la quale “Le risorse del pianeta devono essere ridistribuite”. Principio dedotto attraverso considerazioni di carattere logico-matematico, NON POLITICO. Il “Sistema Mondo” non può funzionare se un’esigua minoranza controlla la quasi totalità di queste risorse. La realizzazione di questo programma sarebbe compito della cosiddetta “Classe Politica”, ma essendo sotto il controllo di questa minoranza non verrà mai realizzato. Non riesce neppure a formalizzare un prelievo del 2% sui più grandi patrimoni!
DESTRA & SINISTRA sono solo “etichette”, utilizzate per imbrogliare la popolazione ignorante…
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“DESTRA & SINISTRA sono solo “etichette”
Ma certo che sono solo etichette! Sono state create appunto per capirsi quando si discute, tutto qua.
Infatti continuano ad usarle tutti, anche quelli che dicono che non esistono.
Ovviamente hanno caratteristiche diverse, sennò non avrebbe senso utilizzarle.
Quello che si può contestare è l’uso che se ne fa, come quei soggetti che si appiccicano il cartellino “sinistra” sulla fronte e poi sono un renzi o un calenda qualsiasi.
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Siii?????
E quale parte politica, COMUNQUE la si voglia chiamare, dai tempi più remoti ad OGGI, è favorevole alla redistribuzione e non all’accentramento nelle mani di pochi?
IGNORANZA è limitarsi ai termini e non al loro significato.
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Evidentemente non mi sono spiegato, pertanto lascio il compito di esporre la mia tesi, visto che la condivido con soggetti ben più autorevoli del sottoscritto, ad alcuni di loro. Dopo che avrete letto qualche loro pubblicazione, ne riparleremo…
Economisti e filosofi che vedono l’equità come razionalità sistemicaJohn RawlsFilosofo politico, autore de Una teoria della giustizia.Principio della differenza: le disuguaglianze sono ammissibili solo se migliorano la condizione dei più svantaggiati.Logica: una società equa genera consenso stabile e riduce conflitti.Amartya SenPremio Nobel per l’economia, noto per la teoria delle capabilities.Sostiene che lo sviluppo va misurato in termini di libertà e opportunità reali, non solo PIL.Logica: l’equità migliora la produttività e riduce sprechi umani.Thomas PikettyEconomista francese, autore di Il capitale nel XXI secolo.Ha dimostrato empiricamente che la concentrazione della ricchezza porta a instabilità economica e politica.Logica: la redistribuzione è necessaria per evitare crisi cicliche e stagnazione.Joseph StiglitzPremio Nobel, ex capo economista della Banca Mondiale.Critico della disuguaglianza e delle politiche neoliberiste.Logica: l’eccessiva disuguaglianza riduce la domanda aggregata e frena la crescita.Jeffrey SachsEconomista dello sviluppo, promotore degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDGs).Logica: l’equità è essenziale per la sostenibilità ambientale e sociale.
P.S. non sono autori di “destra” o “sinistra” ma persone che “prima” riflettono e “poi” scrivono…
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Vuoi chiamarli progressisti? O in un qualsiasi altro modo?
Perché tutti sti giri di parole per non usare un termine ormai in uso, fin dai tempi della Rivoluzione francese, per esprimere ESATTAMENTE tutti quei concetti??
Seghe mentali.
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Proprio non vi entra in testa che un ragionamento scientifico, logico, matematico conduce alla conclusione che la “ridistribuzione delle risorse” è il modo più “razionale” di far “funzionare il Mondo”? Non ha più senso la distinzione tra “destra” e “sinistra”, vi sono “soluzioni razionali” e “soluzioni irrazionali”.
Cosa significa “progressista”? I nazisti si consideravano progressisti e in campo scientifico lo erano sicuramente.
Se vi prendete il disturbo di leggere qualcuno degli autori che ho citato, troverete Teoremi Matematici che dimostrano questa tesi e i Teoremi non sono di “destra” o di “sinistra” e non sono neppure “progressisti”!!!
Destra – Sinistra by Giorgio Gaber
https://www.youtube.com/watch?v=1dYXfhuu0zc&list=RD1dYXfhuu0zc&start_radio=1
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Esiste anche una corrente di economisti che arriva a conclusioni opposte sostenendo che la redistribuzione non sia necessaria o addirittura possa ridurre l’efficienza complessiva.
Questi modelli partono da assunti diversi su incentivi, produttività e comportamento umano.
In realtà non esiste un modello “universale”.
La redistribuzione funziona meglio in contesti dove c’è disuguaglianza iniziale elevata, fragilità economica diffusa, alta interconnessione e rischio collettivo.
Al contrario, in economie dinamiche, innovative e con elevata produttività privata, una redistribuzione eccessiva può ridurre il benessere collettivo.
E’ il contesto che determina quale modello è meglio applicare.
Siccome l’Italia è un paese dove c’è una certa disuguaglianza, c’è una fragilità economica estrema e questo dura da 30 anni, almeno, a questa parte allora la tua conclusione ha una sua logica vista in base al contesto ed al tempo che vivi.
Ma, ribadisco, questa logica non è universale.
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Lion, mi pare evidente che io abbia citato gli autori le cui premesse sono coerenti con la tesi che condivido. Se cambi le premesse (condizioni al contorno) ovviamente pervieni ad una diversa soluzione. Il mio obbiettivo non era affermare che vi sia un’unica soluzione ma semplicemente dimostrare come le categorie “destra” e “sinistra” siano del tutto inadeguate ad affrontare la gestione della Società attuale.
Non ne posso più di leggere commenti relativi a “quanto sia a sinistra” quel partito rispetto a quell’altro. Oppure se questa scelta sia “più a destra che a sinistra”. 😡 Sono proprio le “strutture” che s’identificano in queste categorie (i maledetti “partiti”) il cancro della nostra democrazia (degenerazione della Politeia, secondo Aristotele) 😡
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L’articolo di Alessio Mannino è ottimo. Ed allude al Metodo. Organizzazione e Formazione per far emergere “classi dirigenti” e “leader”.
Poi il “qualcosa di veramente nuovo e strutturato” e con contenuti/programmi condivisibili potrà avere il mio voto.
La parola magica “sinistra” ( come “destra”) non mi tocca neanche un po’.
E rimane la mia distanza totale da Anail ( e dai tantissimi come lei) e dalle sue conclusioni sul fatto che se dici di non essere di “sinistra” sei di destra. Quindi ADB è di destra….come d’altronde Travaglio.
E pensare a quel povero Lucio Battisti che si beccò pure del fascista ( ma fascista è di destra?) solo per “non essere di sinistra” ( Mogol dixit, perché Lucio in pubblico ai ciarlatani di allora neanche rispondeva).
C’è ancora tanta strada da fare per far capire l’errore anche a persone di qualità.
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L’uomo, da quando è sulla terra, suddivide il mondo in categorie al solo scopo di analizzarlo. Ha creato la categoria dei quadrupedi ma chiunque saprebbe distinguere una lucertola da un elefante, anche se hanno entrambi 4 zampe. Destra e sinistra è come est e ovest, non esistono in natura, ma ci servono per muoverci nello spazio. Storicamente, in politica, si rappresentano così per definire delle diverse sensibilità. Non è detto che essere di sinistra sia bene, così come non è detto che essere di destra sia male. Semplicemente tra i due estremi esistono infinite posizioni ed infinite variabili. E pensare che per definire una persona basti dire che è di destra o di sinistra è come descrivere il proprio gatto semplicemente come un quadrupede, mentre se ne potrebbe parlare per ore.
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Il reddito di cittadinanza è di dx o sx?
Venne varato durante il Conte 1
Il pd votò contro (come FdI e fi)
LeU si astenne
Dx o sx?
grasse risate
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Beh, certo se all’epoca il Pd era considerato di sx, mi sa che chi si attacca ai termini NON SONO IO.
Il m5s ha sempre avuto in programma riconoscibile come di sinistra, tant’è che è molto affine ad AVS e alla parte schleiniana del Pd, certo non alla parte riformista, che era quella che prevaleva con Renzi.
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Ho una doccia che stanca di etichette si dichiara “non di sinistra”. Sarà quindi di destra? E allora la vasca da bagno cos’è? Se anche la vasca da bagno confermasse di essere di destra allora non avrei un modo di sinistra per lavarmi.
A meno che… ci sono: vado a lavarmi nel fiume!
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Da un maestoso alloro ho appena raccolto delle bacche meravigliose e ora mi sciroppo una tisana.
Il dubbio che il mio sia un atto di destra mi sta paralizzando..
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Allora ditelo a Dibba, che ha il BISOGNO IMPELLENTE, ogni santa volta, di dichiararsi NON Di SINISTRA.
Chi è che è attaccato alla terminologia così OBSOLETA e da ignoranti?
Mettetevi d’accordo con il vostro cervello.
Kayo, come al solito, concordo alla grande🥰
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il movimento o partito si potrebbe chiamare la massa che paga le tasse ma presumo che di italioti idonei ce ne sarebbero pochini🤔
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Scomodare Gaber è sempre un abuso. Il tempo passa. Anche per concetti che però sono eterni. Ammetto di essere uno dei coglioni che si è fatto abbindolare dai concetti di sx e dx. Che sono sinonimi di progressismo Vs reazione. Il fulcro dirimente è il riequilibrio o meno delle opportunità sociali e civili, senza scomodare docce o tisane. I governi Conte sono stati I governi più progressisti della storia del paese, leggi alla mano, con spruzzi d acqua o aromi di tisana. Gli accordi di governo sono stati uno strumento intelligente per realizzare quelle norme e preservare. Il.pd renziano aveva votato contro nel Conte 1, li ingoio’ con deglutizione forzata nel Conte 2, allendosi poi per far finire quell esperienza con chi appunto teorizzava la non esistenza di dx e sx, e a cui andava bene il governo tecnico von Draghi, governo tecnico sinonimo di reazione. Il pd renziano, reazionario se di dx vi dà fastidio? Reazionario, come i partecipanti al governo che costrui la demolizione di quei provvedimenti, completati con governo attuale. I cui provvedimenti sono reazionari o progressisti? Di dx o di sx? Doccia o vasca? Il.pd lettorenziano è reazionario, come lo sono i prodiani che ne furono l anima.
La mia coglionaggine mi porta a preferire i programmi che vanno in direzione progressista, così mantengo la linea, oggi che ci vedo meno bene. Doccia o vasca non mene…, l acqua pubblica sì. La dignità del lavoro sì. Salario minimo, pure. Miglioramento servizi sociali, anche. È ciò che lasceremo ai nostri figli, loro volenti o meno. Ne di dx ne di sx, gli intelligenti possono fare degli esempi, per aiutarci a superare la nostra ignoranza?
Neo di dx né di sx significa che non avete idee sulla società e sul mondo? Che non votate perché Conte, Renzi, Meloni, Vannacci, Tajani pari sono, e va bene quello che fa chiunque di loro, tranne Conte che sbaglia sempre?
I ragionamenti sulla forma partito prefigurata nell articolo, partito, non movimento, competenza, due mandati max che?, sono di dx o di sx? È il partito con cui vi schiererete? Bene. Farete delle scelte nei programmi che presenterete. Il contenuto non di dx né di sx non esiste, sulla redistribuzione delke risorse pubbliche, su pace o guerra, migrazioni o reimmigrazione. O esiste? Forza, siamo ad attendere le vostre idee ed i programmi che né discendono.
Però, se Conte è peggio di Meloni, voi state scegliendo Meloni e il suo programma. È quello ad essere né di dx né di sx. Lo è. È quello che intendete.
Leggendo l articolo, sembrava di riascoltare l idea di Conte sull organizzazione del m5s. Statuto, idee, programmi,scuola politica.
La politica un mestiere? Due mandati perché mai? Dai, Dibba, meglio fare l opinionista? Ma anche il politico contro, ben pagato come è giusto, divertirsi senza grandi responsabilità. Tipo il suo primo mandato. Nostalgia canaglia. Alle europee il 3% era difficile con Santoro. Con gli schierati, alle prossime politiche, un 4-5% può essere più abbordabile. Tipo avs. Magari Cairo poi chiamerà ancora. La gratitudine per chi sa frammentare l opposizione lui la sa dimostrare.
gli accordi elettorali si fanno per far parte di un governo e provare a realizzare le proprie idee.
La vera alleanza elettorale è quella che si fa comunque non votando, con chi vince, che ha comunque il Vs plauso. Forse è questo il senso di né di dx né di sx.
Meglio ignoranti
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Caro Ottavio, la definizione “destra/sinistra” mi risulta nasca dalla Rivoluzione Francese. Sono quasi 250 anni fa. Ha avuto, a mio avviso, una valenza importante sino alla fine del secondo millennio, perché identificava realmente la diversità delle proposte politiche. In quasi tutto il mondo. Perché poi certe realtà politico/culturali, nonché storiche, vanno conosciute nei particolari.
Ad ogni modo la dicotomia progressisti/reazionari è parziale, quasi propagandistica, almeno oggi. Oltretutto desueta. Al limite ha senso progressisti/conservatori oppure liberal/sovranisti ( o comunitari).
Questo discorso potrebbe continuare per ore. La sintesi “gaberiana” era una splendida e ironica fotografia della crisi identitaria delle “appartenenze”. Per approfondimenti dovremmo intavolare una discussione devisu, con tempi equilibrati perché ogni opinione abbia la sua dignità.
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il re era certamente un conservatore.
Anche il Gattopardo
se un governo progressista fa cose che fanno progredire, i conservatori che cancellano quei progressi, sono tecnicamente dei reazionari. Non ho la sua competenza. I giudico le azioni dai loro effetti in termini di riequilibrio delle opportunità sociali e civili, oppure di aumento delle discriminazioni.
Se preferisce conservatore, il pd renzolettianoprodiano è un partito conservatore. Il progressista era Berlinguer. E i 5s dei governi Conte.
grazie
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Kayo ha detto, con poche parole, tutto ciò che c’era da dire.
Diamogli il nome che vogliamo, è IL CONCETTO che conta.
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https://www.argomentando.it/differenza-tra-destra-e-sinistra-nella-politica-italiana/
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Proprio non vi entra in testa che un ragionamento scientifico, logico, matematico conduce alla conclusione che la “ridistribuzione delle risorse” è il modo più “razionale” di far “funzionare il Mondo”? Non ha più senso la distinzione tra “destra” e “sinistra”, vi sono “soluzioni razionali” e “soluzioni irrazionali”.
Cosa significa “progressista”? I nazisti si consideravano progressisti e in campo scientifico lo erano sicuramente.
Se vi prenderete il disturbo di leggere qualcuno degli autori che ho citato, troverete Teoremi Matematici che dimostrano questa tesi e i Teoremi non sono di “destra” o di “sinistra” e non sono neppure “progressisti”!!!
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L’ho già scritto decine di volte, anche in questa sede, i “rappresentanti del popolo” dovrebbero essere sorteggiati per un mandato dalla durata limitata . Nel Parlamento si troverebbe un CAMPIONE RAPPRESENTATIVO DELLA SOCIETA’, e nessuno potrà chiedere ai singoli rappresentanti se sono di destra o di sinistra (le aggregazioni si formerebbero in modo spontaneo). Le proposte di legge formulate da un governo di professionisti, ASSUNTI PER PROPORRE LE LEGGI da presentare al Parlamento, verrebbero democraticamente discusse e approvate o rigettate.
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Come si faccia a creare un partito di massa, senza massa o con una massa che ormai è mediatica, rimane un mistero ! Le masse intese come collettività con riferimenti valoriali, ideali , sociali e quindi politici non esistono più! Si vuole associare o costituire un’ idea di partito in grado di indirizzare le masse in un percorso politico quando la condizione direi antropologica, alla Pasolini, è stata ormai totalmente trasformata dal consumismo, dalla mediatizzazione e spettacolarizzazione della società e della politica…..siamo nel contesto della pubblicità, del mercato, della vendita del prodotto al consumatore, ed è un prodotto politico…..non esistono masse, da aggregare/organizzare idealmente ed ideologicamente, ma consumatori politici! Certo che non esistono più le categorie ideali e valoriali destra/sinistra , perché semplicemente non esiste più una società che abbia quei valori di riferimento….ad un giovane che abbia come unico obiettivo di fare quattrini smanettando sui social, ma cosa gliene frega del salario o della sicurezza sul lavoro di un operaio? Creata questa disgregazione, questa dissonanza, sociale, culturale e mentale, ognuno va da sé e compra il prodotto politico mediaticamente più attraente/funzionale al suo interesse! Come si fa a costruire massa , concetto che indica unità, identità e compattezza, con elementi tendenti mentalmente all’ individualismo? Un leader carismatico può tenerli insieme per un po’, ma senza la funzione educativa, pedagogica, svolta dai partiti di massa, strutturati nell’ organizzazione e nell’ idea che conta, ha forza e peso politico , non il singolo, ma la collettività strutturata intorno a quel partito o modello ideale/ideologico , non durerà…..perché nella testa delle persone l’ identificazione sarà personale sul leader, non nel partito……..Berlinguer è stato un leader carismatico, ma era il PCI a costruire massa! Come De Gasperi o Moro per la DC! Questa situazione non esiste più, culturalmente non esiste più, e Berlusconi e’ stato il prodotto mediatico intorno al quale si è costruito il partito, il SUO partito, prima e’ venuto lui, poi il partito, con un processo diametralmente opposto ai precedenti , ed ormai c’è un prima ed un dopo rispetto a questa trasformazione antropologica che per essere modificata o invertita necessita di decenni ! In attesa ci dobbiamo far bastare le persone perbene , che quantomeno sono oneste, eticamente corrette, sapendo che nel mercato politico pubblicitario saranno svantaggiate per non avere in disposizione gli strumenti mediatici che creano in laboratorio il consenso! Pasolini diceva che la TV era il laboratorio politico di acquisizione del consenso , ora ci sono anche tutti gli altri strumenti …….pure peggio!
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“trasformazione antropologica che per essere modificata o invertita necessita di decenni “
Che noi non abbiamo, perché la situazione sta precipitando, per cui:
“In attesa ci dobbiamo far bastare le persone perbene , che quantomeno sono oneste, eticamente corrette”
Ed aggiungerei pure dotate di senso della realtà e senso dello stato.
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Se pensi Ale..che in questi giorni è un problema Sgarbi… conoscendo la storia del soggetto!
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Per come la vedo io servono contenuti, magari sogni, ma obbiettivi che coagulino una massa di persone intorno ad un’idea.
Per B. era “impiegati vi tolgo le tasse, imprenditori arricchitevi”, per la Lega era la secessione, per FdI è l’idea di un leader che comanda senza noie dai contropoteri. Per il PD è il sogno di una svolta a sinistra.
Ill M5S si è col tempo, a mio vedere, troppo “ammorbidito”. Purtroppo con la sola onestà e onorabilità non si va lontano, bisogna cavalcare un’idea forte, che convinca tanta gente a votarli, almeno per vedere che succede.
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